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Il Giornale Rassegna Stampa
25.11.2013 Terrorismo: assolti due degli assassini di Fabrizio Quattrocchi
la sentenza, escludendo la motivazione terrorista, è un insulto alla sua memoria. Commento di Gian Micalessin

Testata: Il Giornale
Data: 25 novembre 2013
Pagina: 14
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «L’ideologia contro Quattrocchi: 'I killer non erano terroristi'»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 25/11/2013, a pag. 14, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo "L’ideologia contro Quattrocchi: «I killer non erano terroristi»".


Fabrizio Quattrocchi                        Gian Micalessin

Apparentemente la vicenda di Fabrizio Quattrocchi non dovrebbe riguardare le tematiche di IC.
La decisione dei giudici che hanno derubricato il suo assassinio come "atto di violenza comune" non è solo un insulto alla memoria di Quattrocchi, ma anche una connivenza di fatto con chi nega il pericolo rappresentato dal terrorismo. Ancora più grave, nessun commento su nessun altro quotidiano.
Ecco il pezzo:

Incredibile e raccapriccian­te. Non vi sono altri aggetti­vi per definire le motivazio­ni della sentenza della Corte d’Assise di Roma che manda as­so­lti due degli assassini di Fabri­zio Quattrocchi, la guardia pri­vata rapita in Irak assieme a Sal­vatore Stefio, Maurizio Agliana e Umberto Cupertino che il 14 aprile 2004 davanti agli aguzzi­ni pronti a freddarlo con un col­po alla nuca urlò «Vi faccio ve­dere come muore un italiano». Quell’atto di coraggio e di digni­tà gli valsero una medaglia d’oro al valor civile che il presi­dente della Repubblica Azeglio Ciampi così motivò: «Vittima di un brutale atto terroristico ri­volto contro l’Italia, con ecce­zionale coraggio ed esemplare amor di Patria, affrontava la barbara esecuzione, tenendo alto il prestigio e l’onore del suo Paese». Ma gli atti di un Presi­dente della Repubblica non val­gono nulla. Motivando la sentenza che la­scia impuniti Ahmed Hillal Qu­beidi e Hamid Hillal Qubeidi, due responsabili del rapimen­to catturati durante la liberazio­ne di Stefio, Agliana e Cuperti­no, i giudici spiegano che l’iden­tità dei due non è comprovata, il loro collegamento con grup­pi eversivi non è evidente e­ dul­cis in fundo ­l’esecuzione non è un atto di terrorismo. Insom­ma i due imputati, catturati mentre facevano la guardia a Stefio, Agliana e Cupertino, pas­savano di lì per caso e non sono stati identificati con precisione neppure durante gli anni tra­scorsi nella galera irachena di Abu Ghraib. I nostri giudici ev­i­dentemente la sanno più lunga degli inquirenti americani e ira­cheni che interrogarono i due imputati vagliandone generali­tà e responsabilità. Verrebbe da chiedersi come, ma porsi do­mande troppo complesse non serve. Dietro questa sentenza e le sue motivazioni non c’èil co­dice penale, ma l’ideologia.
La stessa ideologia formula­ta dal giudice Clementina For­leo che nel gennaio 2005 assol­se
dall’accusa di terrorismo il marocchino Mohammed Daki e i tunisini Alì Toumi e Maher Bouyahia pronti a trasformarsi in kamikaze islamici in Irak. Nella motivazione del caso Quattrocchi quell’ideologia raggiunge la perfezione. Pur di mandare liberi due assassini i giudici arrivano a mettere in dubbio che l’uccisione di un eroe italiano decorato con la medaglia d’oro sia un atto terro­ristico. E per convincerci scrivo­no che «non è chiaro se quel­l’azione potesse avere un’effi­cacia così destabilizzante da poter disarticolare la stessa struttura essenziale dello stato democratico». Una motivazio­ne sufficiente a far assolvere an­che gli assassini di Moro visto che neppure quell’atto bastò a disarticolare lo stato italiano. Ma i magistrati superano se stessi quando tentano di con­vincerci che il collegamento dei due sospettati con i gruppi eversivi non è provato.L’assas­sinio di Quattrocchi viene deci­so, come tutti sanno, per far ca­pire al nostro governo che solo accettando il ritiro dall’Irak ver­rà garantita la salvezza degli al­tri rapiti. Ma evidentemente ri­cattare l’Italia uccidendo un suo cittadino e tenendone pri­gionieri altri tre per 58 giorni non è un atto sufficientemente eversivo. E a far giudicare ever­sori e terroristi gli assassini di Quattrocchi non basta nean­che l’ammissione di uno degli aguzzini che racconta all’ostag­gio Cupertino di aver partecipa­to all’attenta­to di Nassirya costato la vita a 19 italiani. Quelle per i magistrati so­no semplici vanterie. Ma non stupia­moci troppo. Il problema anche qui non è la giusti­zia, bensì l’ideologia. In Italia, persino nelle aule giudiziarie, qualcu­no continua a ritenere che le uniche vite preziose siano quel­le di chi la pensa come lui. So­prattutto se quelli come lui so­no «umanitari» di sinistra co­me le due Simone o giornaliste «democratiche» come Giulia­na Sgrena. Le vite di chi non la pensa allo stesso modo invece valgono poco o nulla. Per que­sto uccidere l’eroe Fabrizio Quattrocchi non è reato.

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