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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.11.2013 Israele/Arabia Saudita/Egitto: Iran, nemico comune
Yossi Klein-Halevi intervistato da Maurizio Molinari, Nathan Sharansky intervistato da Francesco Battistini, commento di Francesca Paci

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Francesca Paci - Francesco Battistini
Titolo: «Teheran è il vero vincitore ma rischia il blitz israeliano - Da Israele all’Arabia, i grandi perdenti fanno fronte comune - Non illudetevi, a Teheran non c’è il nuovo Gorbaciov»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 25/11/2013, a pag. 2, l'intervista di Maurizio Molinari a Yossi  Klein-Halevi dal titolo " Teheran è il vero vincitore ma rischia il blitz israeliano", a pag. 3, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "  Da Israele all’Arabia, i grandi perdenti fanno fronte comune ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 5, l'intervista di Francesco Battistini a Nathan Sharansky dal titolo " Non illudetevi, a Teheran non c’è il nuovo Gorbaciov  ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : "  Teheran è il vero vincitore ma rischia il blitz israeliano"


Maurizio Molinari, Yossi Klein-Halevi

«L’accordo di Ginevra sul nucleare iraniano apre la strada a sconvolgimenti epocali in Medio Oriente»: parola di Yossi Klein-Halevi, lo stratega americano in forza allo Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, a New York per una serie di seminari.
Quali saranno gli effetti immediati dell’intesa raggiunta?
«L’assedio internazionale a Teheran si allenta mentre l’Iran può continuare ad arricchire l’uranio fino al 5 per cento che, in poche settimane, può essere portato al 20 per cento necessario per l’atomica. L’Iran ha vinto ed è la potenza nascente in Medio Oriente, una regione dove la percezione vale assai più dei fatti concreti. E la percezione oggi è che l’Iran ha piegato le maggiori potenze, facendo accettare il suo programma nucleare».
Come reagirà l’Arabia Saudita, rivale strategico dell’Iran?
«Aumenterà l’impegno militare a sostegno dei ribelli anti-Iran e anti-Assad in Libano e Siria portando ad un inasprimento delle ostilità. Per Riad il cedimento di Obama sul nucleare iraniano è il seguito naturale del mancato intervento in Siria: l’America si riposiziona a favore degli sciiti contro i sunniti. Per questo Riad aprirà i cieli al blitz di Israele contro l’Iran».
Cosa avverrà nel Golfo?
«Le minoranze sciite sostenute da Teheran si sentiranno più forti e ciò spingerà anche altri Paesi sunniti all’intesa con Israele».
Quali le implicazioni della convergenza Israele-sunniti?
«È una scossa epocale agli equilibri regionali. Diventa possibile arrivare, in breve tempo, alla composizione del conflitto israelo-palestinese. Ma ciò che più conta sono gli aspetti militari: l’apertura dello spazio del Golfo a Israele».
Ma dopo l’intesa a Ginevra, Israele può ancora attaccare?
«Israele da solo non può più attaccare. Se lo facesse diventerebbe il paria del mondo. Prenderebbe il posto finora avuto dall’Iran. Senza contare che dopo il blitz contro l’Iran Israele sarebbe colpita da migliaia di missili di Iran ed Hezbollah. Fronteggiarli senza la cooperazione Usa sarebbe un incubo».
Ciò significa che l’opzione militare israeliana svanisce?
«Non svanisce, si modifica. Israele ha bisogno dell’alleanza con i sunniti perché gli dà la copertura che Obama non garantisce più».
Quali Paesi sunniti potrebbero seguire i sauditi?
«La maggioranza, a cominciare dall’Egitto. L’unica capitale sunnita in bilico è Ankara in ragione delle tensioni con Israele».
Netanyahu potrebbe lanciare l’attacco a dispetto degli Usa?
«Si preannuncia come la decisione più difficile, direi terribile, della storia di Israele. Ma credo che, alla fine, lo farà».
Quale è l’immagine degli Stati Uniti nella regione dopo Ginevra?
«Arabi sunniti, iraniani sciiti, ebrei israeliani e musulmani turchi sono d’accordo, per motivi diversi, nel considerare gli Usa una superpotenza che evapora».
Quale potenza è in grado di riempire tale spazio?
«Non la Russia, considerata opportunista, non la Cina, ancora non abbastanza presente, e non l’Europa per cui gli israeliani nutrono una sfiducia uguale e opposta a quella degli europei per loro».
Dunque, gli Usa sono senza eredi?
«A contendersi l’eredità dell’egemonia americana sono le potenze locali: Iran, Israele, Arabia Saudita, Turchia. E ciò apre la strada ad una nuova, imprevedibile, stagione di sconvolgimenti».

La STAMPA - Francesca Paci : "  Da Israele all’Arabia, i grandi perdenti fanno fronte comune "


Francesca Paci

L’altra faccia dell’accordo sul nucleare iraniano è quella torva dei Paesi che fino all’ultimo hanno remato contro e continuano a farlo. Israele, ovviamente. Ma anche l’Arabia Saudita, l’Egitto e, dietro la maschera triste del pagliaccio che ride, la Turchia, lesta a congratularsi con i negoziatori per guadagnare un credito presso il nuovo vincente fronte sciita dopo le ripetute batoste subite nel tentativo di porsi alla guida dell’islam sunnita.
In Israele l’umore tende al nero. Sebbene il presidente Peres si sia detto «cautamente ottimista» e le borse abbiano reagito positivamente, il premier Netanyahu ha definito «un errore storico» la fiducia accordata a Teheran. Secondo Yoel Guzansky dell’Institute for National Security Studies di Tel Aviv i nuovi sviluppi allontanano l’ipotesi di un attacco militare, che sarebbe visto ormai come «un sabotaggio dei 10 anni trascorsi tentando di spingere l’Iran a trattare». Ma Bibi, forte del malcontento regionale, insiste che «tutte le opzioni sono sul tavolo».
Riad non ama l’associazione con Israele e mantiene un profilo basso, ma lo schiaffo ricevuto da un’America sempre più prossima all’indipendenza energetica brucia. Il principe Alwaleed bin Talal afferma che «Obama è stato sopraffatto dall’Iran» e il consulente esteri dello Shura Council Abdullah al Askar ammette l’allarme nazionale per l’espansionismo di Teheran che «ha provato mese dopo mese di avere una brutta agenda regionale, rispetto alla quale nessuno dormirà più». La corona però, diversamente dai giorni della retromarcia di Washington sull’intervento in Siria, tace. Gli analisti ritengono che cercherà di avere una compensazione (più libertà di manovra in Siria?), essendogli impossibile condannare chiaramente un accordo applaudito dal governo sciita di Baghdad e dal presidente siriano Assad (contro cui Riad finanzia la rivolta).
«Il mondo arabo potrebbe preoccuparsi che, forti del successo con l’Iran, gli Usa facciano meno in Siria e in Egitto» twitta in serata il guru della Johns Hopkins University Vali Nasr.
Di certo il ritorno di Teheran non garba ai paesi sunniti del Golfo. Secondo l’ex ambasciatore americano a Riad Robert Jordan i sauditi potrebbero sentirsi addirittura meno minacciati dall’atomica iraniana (rispetto alla quale ripetono ancora di essere pronti ad acquistarne una dal Pakistan) che dalla neo superpotenza sciita, sponsor di Damasco, degli Hezbollah libanesi, dell’Iraq post Saddam, del Bahrain e delle irredente provincie orientali saudite.
Il terremoto mediorientale è appena cominciato. Eppure il premier turco, reduce dallo scontro a colpi di ambasciatori ritirati con l’Egitto, sta cercando riparo modificando in corsa la sua politica estera (che voleva avere zero problemi con i vicini e avendo invece sposato la causa perdente dei Fratelli Musulmani si ritrova nei guai). Così il ministro degli esteri Davutoglu è appena stato a Baghdad e si prepara a recarsi a Teheran.
L’Egitto vigila cupo. L’ex beniamino di Tahrir el Baradei si compiace dell’apertura all’Iran ma lui è ormai considerato un traditore in patria, dove il quotidiano governativo «al Ahram» sottolinea la vaghezza dell’accordo. Di certo la giunta militare al potere non apprezza, come s’intuisce da fonti vicine all’esercito («è la prova della debolezza di Obama, una vittoria netta di Teheran»). Dopo la deposizione dell’ex presidente Morsi il Cairo ha ricongelato i rapporti con la repubblica degli Ayatollah. Inoltre, alla ricerca di una posizione di forza, i generali si son messi a flirtare con Mosca per far capire a Washington che la vecchia alleanza non era garantita. Un bluff, concordano gli analisti, che potrebbe finire male se gli Stati Uniti, concentrati sull’Iran, li prendessero in parola.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : "  Non illudetevi, a Teheran non c’è il nuovo Gorbaciov "


Francesco Battistini, Nathan Sharansky

GERUSALEMME — Un regime dispotico. Un’ideologia liberticida. La corsa agli armamenti. Le sanzioni che strangolano. Il rischio della bancarotta. E di colpo, ecco spuntare un leader più caldo e più umano, diverso dai precedenti, che sorride e fa capire di voler buttare giù il muro di ghiaccio. «Dove l’ho già visto, questo film?». Qualche giorno fa Natan Sharansky se l’è chiesto sul Wall Street Journal e frugando nella memoria dei suoi 65 anni, soprattutto nel suo passato da dissidente sovietico scampato ai gulag, ha trovato una risposta: Michail Gorbaciov. Oggi Sharansky vive a Gerusalemme, è amico di Bush e dirige l’Agenzia ebraica, poco lontano dai giardini dedicati al suo maestro Sakharov: «Quest’atmosfera mi ricorda quel che si diceva a metà anni 80 della glasnost — commenta —. Io stavo in cella, e ci sarei rimasto ancora un po’, ma fuori erano solo elogi per quel giovane, nuovo, promettente leader».
Sta dicendo che ora c’è il coro, dietro a Rouhani, ma bisogna ancora capire se sarà per l’Iran quel che Gorbaciov è stato per l’Urss?
«Più o meno. Rouhani è capace di fare il Gorbaciov? Difficile. Anche al Cremlino cominciarono con cambiamenti superficiali e rivolti all’estero: un’immagine mediatica più accattivante, l’incontro strategico con Reagan... Gorbaciov in realtà voleva riformare il regime mantenendo il comunismo, i primi accordi che fece con l’Occidente non c’entravano nulla coi diritti umani e la democrazia. Poi la diffidenza di Reagan lo spinse a cambiare strategia. E partirono le riforme interne. Rouhani ha da Khamenei il compito di salvare la baracca, comincia dai sorrisi e dal nucleare. Ma per essere credibile, deve avviare riforme globali. Per questo l’Occidente deve fare come Reagan: aspettare. Finché non vedo, non credo...».
Ma questo accordo non è un buon affare?
«Io gioco a scacchi e quel che conta sono le mosse: tutto ciò che si basa sulla fiducia, con un regime come l’Iran, è destinato a fallire. Qualunque accordo con un dittatore finisce male, se il dittatore non apre veramente, perché per lui mantenere i patti poi è difficile. Non ci sono segni di cambiamento reale, a Teheran: il popolo non governa, i media sono censurati».
Fino a quando staranno buoni i falchi del regime?
«Se Rouhani spezzerà l’embargo, i conservatori non dovranno rinunciare alle loro aspirazioni. Più soldi significano più potere. Per ora non hanno interesse a fermarlo, anzi: lo incoraggeranno».
Israele ha già fatto capire che l’opzione militare resta in piedi.
«Spero che Israele non resti ancora più isolato. Però credo che l’idea d’una via militare rimanga nei piani di molti altri Paesi, compresi gli Usa: troppe volte ci hanno detto che l’arricchimento dell’uranio sarebbe stato interrotto».
Qual è l’errore da non ripetere, nei prossimi mesi con l’Iran?
«Dimenticare i dissidenti. Lo fecero anche con noi, dopo gli accordi di Helsinki del 1975. Tutti si congratulavano coi Paesi dell’Est per le conquiste sui diritti umani: nessuno veniva mai a controllare se li rispettavano davvero».

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