Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 25/11/2013, a pag. 13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Dietro ai sorrisi il futuro del ricatto atomico ". Da REPUBBLICA, a pag. 13, l'intervista di Vanna Vannuccini a Vali Nasr dal titolo " Per Teheran una svolta storica, si apre una nuova stagione ", a pag. 1-15, l'articolo di Vittorio Zucconi dal titolo " Satana e la Canaglia, l’abbraccio del dialogo nella guerra dei 30 anni ".
Salvo il commento (che riportiamo in questa pagina) di Fiamma Nirenstein sul Giornale, tutti i quotidiani di oggi si rallegrano per l'accordo con l'Iran.
La titolazione sulla prima pagina della Stampa rende l'idea, gli altri giornali non sono da meno:
L'Iran con il nucleare renderebbe il mondo più sicuro?
Ci è cascato pure Vali Nasr, decano della John Hopkins School of Advanced International Studies dopo essere stato consulente di Holbrooke e di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato. L'accordo di Ginevra, secondo lui, è una vittoria in politica estera.
Si spinge oltre Vittorio Zucconi, secondo il quale "una nuova guerra attorno alle centrali iraniane è più lontana e in quel negoziato con gli Usa si può sperare che vi sia — ancora impronunciabile ma già visibile — il germe della lenta, futura e forse inevitabile laicizzazione dell’Iran ". Una teoria fantascientifica. l'Iran degli ayatollah non sta andando incontro ad un processo di laicizzazione. Piuttosto, con questo accordo, è riuscito a ritagliarsi un ulteriore spazio di manovra in Medio Oriente.
Ovviamente le preoccupazioni israeliane non toccano minimamente Zucconi, troppo impegnato a lodare l'accordo per rendersi conto di quali sono i pericoli connessi al nucleare iraniano.
Bibi Netanyahu
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Dietro ai sorrisi il futuro del ricatto atomico "
Fiamma Nirenstein "Fidatevi di noi "
Ci sono tanti modi di considerare l’accordo siglato ieri dall’Iran e dai P5+1 a Ginevra. C’è la soddisfazione dell’Iran che vede riconosciuto dal mondo intero il suo diritto a arricchire l’uranio e guadagna l’alleggerimento delle sanzioni. C’è l’eco cacofonico della Siria di Bashar Assad, che considera l’accordo una vittoria della propria parte. Poi però c’è la determinata preoccupazione dei Paesi sunniti, l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Turchia (forse ormai d'accordo solo in questo): i sauditi già dichiarano che non resteranno con le braccia incrociate. Si prepara, cioè, un Medio Oriente atomico che nessuno avrebbe mai voluto vedere. Poi c’è Israele, dove Netanyahu eroicamente, nonostante il sofferto dissenso con l'alleato americano, ha ripetuto ogni giorno che l'accordo andava migliorato. Oggi dice: «È un errore storico». Soddisfatti invece gli Usa e gli altri Paesi (specie la signora Ashton, intellettualmente sedotta dal ministro degli esteri iraniano Javad Zarif, cui dedicava sorrisi supplicanti) che hanno perseguito disperatamente l’accordo di sabato notte. Dal punto di vista americano l'accordo è buono perchè congela per sei mesi sperimentali il programma. Si limita l’arricchimento, si deve procedere alla diluizione delle riserve fino al 3,5 per cento, tre quarti delle centrifughe già istallate a Fordow e metà di quelle di Natanz verranno congelate, non si istallano nuove centrifughe. Ma l’Iran seguita ad arricchire al 3,5. Il reattore di Arak non verrà smantellato come richiesto, e quando sarà pronto per produrre plutonio il suo sarà un ciclo completo per la bomba. L’accordo non smantella niente, l’Iran nell’eventualità di una decisione politica con ciò che ha produrrà e assemblerà subito l'atomica. Il diritto dell’Iran all’arricchimento sul suo suolo difficilmente fra sei mesi verrà cancellato. Lo stop all’arricchimento dell’uranio oltre il 20 per cento può essere rovesciato in quasiasi momento dato che sul territorio iraniano ci sono ormai 18mila centrifughe, e otto tonnellate di uranio arricchito al 3.5-5 per cento, abbastanza per 5 bombe come quella di Hiroshima. I residui 200 chili di uranio arricchito al 20 per cento possono in fretta diventare bombe atomiche. L’Iran si è impegnato a non usare le centrifughe IR2M superveloci, ma per ogni verifica l'Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica, dovrà lavorare duro: l’Iran è determinato a perseguire un’agenda islamista, deciso ad essere il prossimo leader mondiale con la forza del ricatto atomico. Khamenei, la «Guida Suprema» solo due giorni fa descriveva gli israeliani come «cani rabbiosi» da steminare, e guidava il coro «morte all'America». L’Iran è il Paese che produce terrorismo e arma gli Hezbollah, che nega ogni diritto umano. Ma un giornalista a Ginevra ha chiesto allo spokesman della Ashton di commentare le parole di Khamenei e stizzito il giovane ha detto di non averne intenzione. A forza di credere nella dottrina Obama, abbiamo scelto di non credere più in niente.
www.fiammanirenstein.com
La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : " Per Teheran una svolta storica, si apre una nuova stagione"
Vanna Vannuccini, Vali Nasr
La portata storica dell’accordo di Ginevra non sta solo nella limitazione del programma nucleare ma anche nel fatto che per la prima volta nella sua storia la Repubblica islamica ha concluso un accordo pubblico con gli Stati Uniti: l’opposizione contro l’America è stata uno dei pilastri dell’identità rivoluzionaria fin dagli anni di Khomeini. «Questa è una svolta storica per la rivoluzione iraniana. Qualunque cosa si possa pensare dell’accordo, esso mette l’Iran e i suoi rapporti con l’Occidente su una strada nuova. Il compromesso è stato raggiunto dopo anni di negoziati falliti e dopo 35 anni di ostilità. Per anni l’America ha pensato che solo un Iran indebolito dalle sanzioni potesse arrivare a un accordo. Poi ha capito che i negoziati non possono essere fondati solo minacce». A parlare è Vali Nasr, decano della John Hopkins School of Advanced International Studies dopo essere stato consulente di Holbrooke e di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato.
Una novità così importante suscita forti opposizioni. Quali pericoli possono intralciare il cammino verso l’accordo definitivo?
«Un accordo può sempre rompersi e questa sarebbe un’involuzione dalle conseguenze imprevedibili. Ginevra resta un primo passo, ma è un passo importante per costruire la fiducia, promuovere la democrazia e ridurre le possibilità di una guerra. Modifica la dinamica strategica nel Medio Oriente, e una volta che un’intesa definitiva sarà stata raggiunta molti cambiamenti possono avvenire nella regione. Altri paesi possono perciò reagire in modi imprevisti».
Per la crisi siriana un ruolo diverso dell’Iran sulla scena internazionale avrà effetti positivi?
«L’accordo può fornire una base perché l’Iran sia di aiuto a Ginevra 2. La stabilità nelle relazioni tra Iran e Stati Uniti crea lo spazio per una possibile cooperazione sui problemi regionali».
L’apertura dell’Iran all’Occidente e le aspettative di cambiamento nel paese possono avere effetti anche internamente? Potrebbero gli ayatollah temere per la propria sopravvivenza anche se l’obiettivo degli americani non è più il “regime change”?
«I grandi cambiamenti arriveranno con piccoli spostamenti, e questi gradualmente possono generare un impatto. Certo non sappiamo se le cose andranno così, ma Ginevra, ripeto, è stato un primo passo importante».
I falchi di entrambe le parti non smetteranno di provare a far fallire l’accordo; come neutralizzarli?
«Bisogna che i politici da entrambe le parti prendano posizioni forti a difesa dell’accordo e lo sostengano. Oltre naturalmente a mantenere accuratamente gli impegni presi. L’Iran deve aiutare Obama a fronteggiare i più intransigenti tra i suoi e Obama deve fare altrettanto verso Rouhani».
Nel suo ultimo libro “The dispensable nation” lei critica la mancanza di una chiara ed efficace politica estera americana nel Medio Oriente, dopo Ginevra ha cambiato parere?
«Ginevra è senz’altro una vittoria per la politica estera ed è importante che l’Amministrazione Obama abbia fatto questo passo. Agli occhi di molti nella regione l’accordo potrebbe però anche significare che gli Usa siano più pronti a lasciare il Medio Oriente ».
La REPUBBLICA - Vittorio Zucconi : " Satana e la Canaglia, l’abbraccio del dialogo nella guerra dei 30 anni "
Vittorio Zucconi
WASHINGTON - Svolta storica o inganno la stretta di mano fra il “Grande Satana” e la “Canaglia”? Sessant'anni esatti dopo il colpo di stato angloamericano in Iran per imporre al paese il regime del Grande Pavone, il perno dell’“Asse del Male” e il “Grande Satana” americano tornano a comportarsi non da amici, ma almeno da governi razionali. Quella stretta di mano fra il Segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif non raggiunge il pathos storico ed epocale dell’abbraccio fra Sadat e Begin a Gerusalemme e non stempera in amicizia e fiducia reciproca due generazioni di odio, ma è il primo segnale che fra la nazione leader dell’Occidente laico e lo stato chiave della rivoluzione fondamentalista sciita più intransigente è possibile parlarsi. In fondo era questo ciò che Obama aveva chiesto nel suo discorso del Cairo al mondo islamico, costruito sul principio kennedyano del «parlare soprattutto con i nemici », ed è la stessa logica razionale che impedì lo scoppio della TerzaGuerra Mondiale fra Usa e Urss. Ma ancora più di quanto fosse stato difficile per americani e russi passare dalla sfida mortale di Cuba allo smantellamento degli arsenali nucleari, la feroce ostilità fra Iran e Usa aveva, e ancora ha, radici di irrazionalità mistica e di intolleranza culturale che neppure la Guerra Fredda aveva mai prodotto. Nel comunismo e nel capitalismo, le due potenze vedevano avversari ideologici, sistemi politici ed economici opposti, ma ancora alimentati dalla vecchia cultura materialista del marxismo- leninismo contro il liberismo e il mercatismo. Ma gli Stalin e i Truman, i Kennedy e i Kruscev, i Breznev e i Nixon fino ai Reagan e Gorbaciov erano dirigenti politici, persone che si muovevano lungo percorsi diversi e comprensibili. Di fronte alla rivoluzione khomeinista del 1979, alla presa e al sequestro — inauditi nell’età moderna — di un’ambasciata e di 52 funzionari per 444 giorni, di fronte a quei turbantisopra barba fluenti, l’America, nata proprio dalla rigorosa speranza fra Stato e religione, era culturalmente disarmata. Per più di 30 anni, dal 1979 all’accordo — ancora molto vago e poroso — di Ginevra fra Kerry e Zarif, il discorso impossibile fra l’America della Costituzione e l’Iran della Sharia è stato quindi, inevitabilmente, una sequenza di gaffe, di errori, di passi falsi. Fin dagli anni dell’agonia politica, e poi fisica, dello scià, il comportamento dei governi americani era stato ambiguo e incerto, dando agli iraniani solo messaggi sbagliati, sempre troppo prepotenti per i ribelli, sempre troppo deboli per i conservatori. Nelle ore finali del regime monarchico, il presidente Carter e il suo braccio destro Zbigniew Brzezinsky esortavano in pubblico Reza Palhavi a «resistere» e incitavano l’esercito, armato dagli Usa, a un possibile colpo di Stato per fermare la rivoluzione. Ma in privato, lo stesso Brzezinsky considerava lo scià «uno zombie» con le ore contate. Toccò poi a Reagan, al quale Teheran aveva fatto il regalo della liberazione degli ostaggi per testimoniare il disprezzo verso Carter e il grottesco fallimento della tarda, dilettantistica operazione “Artiglio d’Aquila”, complicare la situazione cercando di utilizzare proprio il grande nemico in tonaca nera e turbante per finanziare e armare illegalmente i Contras anticomunisti che in Nicaragua volevano rovesciare i sandinisti. In un sensazionale pasticcio di armi vendute ai presunti e sempre immaginari “moderati” iraniani attraverso Israele per ottenere finanziamenti da passare ai Contras, vietati dal Congresso Usa, non mancarono momenti di comicità, come la torta al cioccolato destinata a Khomeini per addolcirglila bocca. L’Iran, dopo essere stato corteggiato, divenne così il perno dell’Asse del Male, surrogato a quell’Impero del Male, l’Urss, che si era autodistrutto. Nell’ossessione, nell’incomprensione di una nazione e di un regime che l’esperienza americana non riusciva a interpretare e a razionalizzare con i semplici criteri dei buoni e cattivi, fra i due paesi si arrivò alla guerra di sterminio per procura, quando Saddam Hussein fu incoraggiato appoggiato e aiutato proprio da Washington nella guerra all’Iran. I gas letali usati dal raìs per decimare le ondate di soldati bambini spediti contro di lui da Khomeini non sollevavano allora alcuna indignazione a Washington e in Europa. Anzi. L’intelligence americana forniva a Saddam le coordinate per condurre le battaglia, con la benedizione di quel Donald Rumsfeld che pochi anni dopo si sarebbe trasformato nel giustiziere del presidente iracheno. Nel groviglio di odi reciproci, alimentati nella sponsorizzazione di gruppi terroristici come Hezbollah da parte iraniana e dalla intensa propaganda israeliana contro Teheran divenuto il nuovo nemico numero uno con l’avvento di Ahmadinejad, l’America si era smarrita. Dopo l’11 settembre, nonostante mai alcun sospetto di complicità o di sostegno agli odiati sunniti di Osama bin Laden fosse emerso, l’Iran fu definitivamente promosso al rango di «Stato Canaglia». Un rango che lo sviluppo di tecnologie nucleari elevò a minaccia non più soltanto regionale, ma globale. Per lunghi mesi, nel corso del 2012, un attacco militare con bombardamenti massicci a migliaia di obbiettivi era sembrato inevitabile, di fronte all’apparente insuccesso delle sanzioni. Per giudicare dunque se la stretta di mano fra «Satana» e la «Canaglia» sia una storica inversione di marcia o un inganno che non fermerà le ambizioni nucleari dell’Iran, come insiste Israele davanti alla possibile perdita delmonopolio nucleare (mai ufficialmente ammesso) nella regione, si deve partire da quell’“orlo del precipizio” al quale gli Usa, Israele e Iran erano arrivati, appena ieri. Certamente l’accordo di Ginevra non è la Rejkiavik dove Reagan e Gorbaciov seppellirono per sempre la corsa nucleare fra Usa e Urss e non è neppure il trattato di pace fra Sadat e Begin che per 30 anni ha impedito ogni conflitto aperto in Medio Oriente. Ma la marcia della follia si è fermata e gli Stati Uniti hanno dimostrato di poter accettare, e di poter essere accettati come interlocutori in diplomazia anche del più importante fra gli Stati che si proclamano integralmente islamici. Per ora, una nuova guerra attorno alle centrali iraniane è più lontana e in quel negoziato con gli Usa si può sperare che vi sia — ancora impronunciabile ma già visibile — il germe della lenta, futura e forse inevitabile laicizzazione dell’Iran.
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