IC7 - Il commento di Federico Steinhaus Dal 17/11/2013 al 23/11/2013
Testata: Informazione Corretta Data: 25 novembre 2013 Pagina: 1 Autore: Federico Steinhaus Titolo: «Il commento di Federico Steinhaus»
Il commento di Federico Steinhaus Federico Steinhaus
Quella appena trascorsa potrebbe sembrare una settimana all’insegna del “niente di nuovo”, mentre in realtà ci troviamo forse nel bel mezzo di un drammatico periodo di transizione che esplicherà i suoi effetti fra qualche tempo.
Un’ondata di micro-attentati che quasi quotidianamente insanguinano le strade d’Israele fa ritenere che sia in atto un cambio di tattica da parte di chi aveva organizzato la terribile intifada del 2000-2005 ed i successivi drammatici bombardamenti delle città israeliane con i missili qassam ed altri di maggiore gittata e potenza. La barriera costruita da Israele, l’opera di altissima intelligence messa in atto, la durezza delle reazioni del nuovo regime egiziano e, forse, anche una minore disponibilità della popolazione di Gaza a sopportare gli inevitabili sacrifici di uno stato di perenne aggressività, impediscono la prosecuzione di quella strategia del terrore; bisogna anche mettere in conto che molti tra i jihadisti più entusiasti sono andati a combattere in Siria, invece di aspettare le decisioni di Hamas e della Jihad Islamica. Da ciò potrebbe essere scaturita la decisione di delegare al fai-da-te individuale il compito di mantenere alta la tensione.
Ma i segnali dei mutamenti in atto nella regione sono anche altri. Gli Stati Uniti, con grande gioia di Putin, hanno platealmente voltato le spalle ai loro alleati tradizionali – in primis Israele ed Egitto, ma anche gli Emirati arabi – nella questione iraniana, banalizzando le loro preoccupazioni; come conseguenza, Israele ed alcuni stati arabi, ai quali forse si unirà anche la Francia, si preparano ad un possibile atto di forza per impedire all’Iran di costruirsi un arsenale atomico. Intanto, un giornalista israeliano ha raccontato di essere andato in Iran e di aver constatato da parte della popolazione curiosità, interesse, ma non ostilità, in un clima generale meno opprimente di quanto lo fosse sotto Ahmadinejad. I segnali dunque non sono univoci, ma la voce autorevole di Khamenei rimane invariata nel suo odio per gli Stati Uniti, Israele, il sionismo. Si tratta, con tutta evidenza, dell’eterna questione se ci si possa fidare della parola di stati islamici che di punto in bianco accettano di ribaltare la loro politica e la loro ideologia, in una trattativa che concede loro tutti i vantaggi e nessuno alla controparte.
Anche la Siria, alleato strategico dell’Iran, sta giocando al gatto ed al topo ( indovinate chi è il topo...) nella questione dell’impegno a distruggere il proprio arsenale di armi chimiche, mentre cerca di trasferire i propri armamenti più micidiali a Hezbollah, dato che in Libano saranno più al sicuro. Intanto in Libano Al Qaeda organizza un attacco terroristico contro l’ambasciata iraniana, per far sapere che sarà presente al momento di prendere decisioni, e con ciò attizza il fuoco dello scontro fra sciiti e sunniti, che per ora ha il suo teatro in Iraq ma potrebbe estendersi all’intera regione.
Sempre a proposito della Siria, ha trovato ampio spazio su alcuni media il problema dei jihadisti europei, che talvolta sono già della seconda generazione, cioè figli di immigrati teoricamente integrati; sono tanti, tantissimi, ed il vero problema sarà il loro rientro nelle non amate patrie europee, sempre che non siano stati ammazzati in battaglia. Cosa faranno? Metteranno a frutto quanto Al Qaeda avrà loro insegnato? In fondo, come dimostrano i generosi premi e stipendi elargiti dalle casse dell’Autorità Palestinese ai “martiri” ed alle loro famiglie, dettagliatamente illustrati dal direttore del ministero per gli Affari dei Prigionieri Nael Ghannam, non vi è mai penuria di imbecilli pronti a farsi saltare in aria: lo scorso 27 settembre l’ambasciatore palestinese in Libia Mutawakkil Taha ha ammesso, in un’intervista ad Al Jazeera, che il 70% dei terroristi dell’intifada del 2000-2005 erano appartenenti alle forze di sicurezza palestinesi.
Sappiamo che da molto tempo civili e combattenti siriani si rifugiano in Israele per farsi curare (in Israele cercarono a suo tempo protezione anche i terroristi dell’OLP massacrati da re Hussein in Giordania), ma la notizia più simpatica di questa settimana è che un personaggio insospettabile come il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, ha mandato in un ospedale israeliano la sua nipotina di un anno per un trattamento di emergenza dell’infiammazione grastrointestinale da cui era affetta.