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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.11.2013 Gaza: è il terrorismo di Hamas a uccidere la speranza
Un titolo fuorviante sulla cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 novembre 2013
Pagina: 16
Autore: Fancesco Battistini
Titolo: «I due leoncini di Gaza: così si spegne la speranza»

Rientra come corrispondente da Israele Francesco Battistini, con un pezzo su Gaza. Niente di grave, un colpo al cerchio uno alla botte, ma ciò che disturba è l'aver evidenziato  una frase detta da Filippo Grandi, reponsabile dell'agenzia Onu Unrwa, come dire la banca che favorisce la corruzione a Gaza e nei territori dell'Anp, come se l'avesse scritta Battistini. Sotto al titolo "Novembre nero" una 'manina infarinata' della redazione esteri del Corriere ha estrapolato questa frase" L'embargo israeliano non è mai stato così duro, chiusi i tunnel delSinai e il valico di Rafah". Tutti sanno, persino 'manina infarinata', che è stato l'Egitto - e non Israele- a chiudere i tunnel e il valico di Rafah. Ma citata in forma anonima, appare per quel che è, una frase del giornalista Battistini e non di Grandi.
Riteniamo che Battistini dovrebbe protestare con la direzione del Corriere, perchè ne va di mezzio la sua serietà professionale.
Ecco il pezzo, uscito oggi, 23/11/2013, sul CORRIERE della SERA, a pag.26, con il  titolo "I due leoncini di Gaza: così si spegne la speranza", un titolo lacrimevole, che nulla ha a che vedere con quanto avviene di grave nella Striscia. La speranza viene uccisa dal terrorismo di Hamas, non dalla morte di due leoncini !

Filippo Grandi   Francesco Battistini

Ci vuole la forza d'un leone, per vivere di questi tempi a Gaza. Fajr & Sajel, maschio e femmina, partoriti lunedì nello zoo Bissan, primi cuccioli mai nati da una gabbia della Striscia, mercoledì sera erano già morti. Non si sa bene come, né perché. Il freddo, la fame, chissà. Ultima traccia, i capi di Hamas che li avevano fotografati col biberon in bocca e gli occhi socchiusi. E avevano dato loro due nomi truci: Fajir, come il razzo iraniano che l'anno scorso da Gaza arrivò fino a Gerusalemme; Sajel, come l'ultima operazione militare ingaggiata contro Israele. Le Brigate Qassam avevano scritto pure un esultante tweet di congratulazioni a papà leone e mamma leonessa, re della savana in esilio, loro malgrado portati qui nel 2009 attraverso i tunnel: «Nonostante l'ingiusto assedio israeliano, noi palestinesi siamo riusciti a contrabbandare quei due leoni per dare un sorriso ai bambini di Gazal...». Nemmeno settanta ore di vita, invece. «Il personale non sapeva bene come occuparsi di quei cuccioli — dice Mohamed Abdel Rahman, il direttore dello zoo, che tre anni fa era diventato famoso con la trovata di supplire alla carenza di zebre («costano 50mila dollari l'una!») decorando di righe nere due asini bianchi —. Qui mancano i vaccini e tutto quel che servirebbe a far crescere un leone in cattività».
Di questi tempi Gaza non va molto sui giornali e a quelli di Hamas, dopo essersi inventati una graziosa portavoce che parla un inglese impeccabile, non sembrava vero tornarci grazie al tenero miagolio di Fajr & Sajel: nati giusto in tempo, col nome adatto a ricordare al mondo il primo anniversario dell'operazione Colonna di Fumo, 14-21 novembre 2012, otto giorni di raid aerei israeliani che spazzarono la Striscia (174 palestinesi uccisi) e di missili palestinesi che piovvero sulle città del Sud (vittime sei israeliani). Riposano in pace i leoncini, ora. E resta senza pace un milione e mezzo di gazali. Perché il novembre è nero, gli animali se la passano male e agli uomini non va meglio: l'embargo israeliano non è mai stato così duro, denuncia Filippo Grandi, responsabile dell'agenzia Onu per i palestinesi (l'Unrwa), «nella Striscia non entra più un mattone, le esportazioni sono bloccate, i prezzi sono triplicati». Non c'è benzina e manca la luce dei generatori. Le pompe idrauliche delle fogne sono saltate e l'area di Zeitun è allagata di liquami, acque nere diciotto ore al giorno. A colpire al cuore Hamas, stavolta, sono i generali del Cairo che fanno pagare l'amicizia coi deposti Fratelli musulmani: hanno chiuso il valico di Rafah e sigillato i duemila tunnel nel Sinai, quelli che portarono dentro anche i due leoni, lasciando disoccupati i trentamila palestinesi che ci campavano e infliggendo all'economia locale una perdita di 230 milioni di dollari al mese. Da dicembre, con un deficit da 36 milioni, neppure l'Unrwa avrà più soldi per i trentamila fra medici, maestri, assistenti sociali che regolarmente stipendiava. «Gaza sta diventando inabitabile», dice Grandi: un leone in gabbia.

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