Testata: Shalom Data: 23 novembre 2013 Pagina: 28 Autore: David Meghnagi Titolo: «Lo studio come valore»
Riprendiamo da SHALOM, novembre 2013, a pag.28, con il titolo "Lo studio come valore", il commento di David Meghnagi.
David Meghnagi
Nel secolo primo a E.V., gli esponenti più avveduti e lungimiranti del movimento farisaico promossero l’istituzione di scuole secondarie per l’insegnamento gratuito della Torah. Nel secolo successivo fu presa la decisione che i padri inviassero i figli a scuola dall’età di sei o sette anni. Si trattò di una decisione rivoluzionaria e unica nella storia dell’antichità, che portava a compimento un lungo processo storico e culturale che aveva trovato nell’insegnamento dei profeti e nell’azione di Ezra dei momenti importanti. Per la prima volta nella storia un gruppo religioso e per sua bocca, come si sarebbe in seguito verificato, una nazione intera proclamava che la conoscenza era un diritto che apparteneva a tutti. Era anzi un dovere rispetto ai figli. Seppure limitata alla dimensione specificamente religiosa, che nell’ebraismo rabbinico coinvolge ogni aspetto della vita, la conoscenza non era un appannaggio esclusivo di una casta sacerdotale o di una classe sociale che dominava le altre. Quando un pagano chiese a Rav Hillel, se era possibile riassumere la Torah su un piede, il Maestro rispose “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Poi aggiunse: ora va e studia. Lo studio era un precetto, un atto dovuto che contribuiva a migliorare se stessi e a salvaguardare la sopravvivenza della comunità. Non solo. Contribuiva a salvare il mondo intero perché è sulla Torah e i suoi precetti che per la tradizione ebraica il mondo poggia. Per Rav Hillel l’amore verso il prossimo, e la giustizia, altro grande pilastro dell’ebraismo, hanno bisogno di essere nutriti e approfonditi dallo studio e dalla conoscenza della Torah. In un mondo dove l’analfabetismo era la norma, una corrente religiosa importante dell’ebraismo, che in seguito alla distruzione del Tempio, emerse come suo rappresentante riconosciuto, faceva dell’alfabetizzazione un dovere altamente spirituale e funzionale alla vita religiosa della comunità. Contro ogni logica “economica” e “sociale”, al prezzo di sacrifici grandi, un ebreo era obbligato ad apprendere a leggere e a scrivere. Non perché questo gli potesse servire per delle particolari funzioni politiche o sociali, come avveniva presso gli altri popoli e le altre religioni, dove la scrittura era riservata a pochi e contribuiva al dominio di pochi su molti. Nell’ebraismo apprendere a leggere e scrivere, erano un atto dovuto verso se stessi e gli altri, indipendentemente dalla condizione sociale ed economica, di elevazione spirituale che garantiva la sopravvivenza di una comunità spossessata del suo centro politico e culturale. Un’azione carica di significati religiosi che contribuiva a salvare il mondo perché nella rappresentazione che se ne aveva era sulla Torah che l’esistenza del mondo poggiava. Grazie a questa decisione, assunta quando il popolo ebraico viveva ancora in maggioranza nella Terra di Israele, gli ebrei avevano una “patria portatile” che non li avrebbe abbandonati nell’esilio. Grazie allo sviluppo del culto sinagogale, il Tempio distrutto poteva trasferirsi interamente nei cuori e nella preghiera, nella meditazione e nello studio. Soggiogati da poteri altrui, gli ebrei poterono conservarsi spiritualmente liberi in un rapporto unico con il Divino che non aveva bisogno di mediazioni altrui. Colpita al cuore e perseguitata, la loro religione non si ridusse a un culto locale e marginale. L’ebraismo continuò a svilupparsi e a dare, in condizioni talora impossibili, i suoi frutti duraturi. La scelta operata dal mondo farisaico portava in realtà a compimento un processo intrinseco alla religiosità ebraica, che ha contribuito a fissare nei secoli successivi tratti importanti dell’identità ebraica e dei suoi valori fondanti, come anche purtroppo alcuni dei pregiudizi da cui l’ebraismo è da sempre stato circondato. Popolo alfabetizzato, gli ebrei sono stati oggetto di proiezioni deliranti e paranoidi per opera delle maggioranze dominanti. Usciti sconfitti nello scontro mortale con l’Impero, demonizzati dalla Chiesa trionfante, disprezzati sotto il giogo islamico, gli ebrei riuscirono a sopravvivere come gruppo anche perché erano necessari e funzionali alle società in cui erano dispersi. In questa complessa e ambigua dialettica con i poteri forti da cui erano “tollerati” e allo stesso tempo perseguitati e periodicamente derubati, diventare del tutto “superflui” poteva essere la fine. È un aspetto tragico della storia ebraica del passato, con le sue eroiche strategie di sopravvivenza, ma anche con le sue fragilità costitutive (si pensi al ruolo degli ebrei di corte), che merita di essere approfondito.
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