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L'Espresso Rassegna Stampa
22.11.2013 Medio Oriente: nemmeno gli alleati si fidano più degli Usa
commento di Paolo Salem

Testata: L'Espresso
Data: 22 novembre 2013
Pagina: 17
Autore: Paul Salem
Titolo: «Medio Oriente, anche gli amici criticano Obama»

Riportiamo dall'ESPRESSO di oggi, 22/11/2013, a pag. 17, l'articolo di Paul Salem dal titolo "Medio Oriente, anche gli amici criticano Obama".

Mentre gli Stati Uniti e l'Occidente cercano di avviare negoziati decisivi per risolvere i conflitti più profondi che agitano il Medio Oriente, le tensioni con i loro principali alleati in questa regione (Turchia, Israele, Egitto e i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo) vanno aumentando. Le trattative con l'Iran sulla questione nucleare, iniziate da tempo dal gruppo dei P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina, più la Germania) hanno compiuto progressi storici. Ma anche se in 30 ore le due parti in causa hanno dialogato, come ha dichiarato il Segretario di Stato americano, John Kerry, più di quanto non abbiano mai fatto negli ultimi 30 anni, sono emerse tuttavia forti preoccupazioni e resistenze da parte di Israele e dei paesi del Golfo. Secondo Benjamin Netanyahu, l'accordo proposto è stato «un pessimo affare e Israele userà tutta la sua influenza in Europa e negli Stati Uniti per esigere maggiori garanzie o affossare il compromesso raggiunto. Gerusalemme pretende, come condizione preliminare, che Teheran rinunci a qualsiasi programma di arricchimento dell'uranio, cosa che l'Iran non è disposta ad accettare. E teme inoltre che se questo contenzioso verrà risolto, gli Stati Uniti e l'Occidente concentreranno ulteriormente la loro attenzione sullo stallo dei negoziati di pace con i palestinesi spingendo Israele a fare più concessioni.
L'ARABIA SAUDITA, il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti hanno manifestato inoltre forti preoccupazioni sul compromesso proposto dall'Occidente all'Iran. Non si fidano infatti di Teheran e pretendono anch'essi - come Israele - che un eventuale accordo escluda qualsiasi programma di arricchimento dell'uranio. Ma le loro preoccupazioni sono ancor più profonde poiché anch'essi temono che se l'Iran risolverà le sue divergenze con l'Occidente e la comunità internazionale - rinunciando magari al suo intero programma nucleare - ciò potrebbe inaugurare una fase di distensione che accrescerebbe la sua influenza in tutto il Medio Oriente. In effetti, i Paesi del Golfo sono di fronte a un vero dilemma: si preoccupano se l'Iran continua il suo programma nucleare, ma temono ancor di più l'eventualità che vi rinunci per accordarsi con l'Occidente.
SONO STATI SORPRESI, inoltre, dal voltafaccia di Obama sulla Siria. Il fatto che il presidente degli Stati Uniti, insignito del premio Nobel perla pace, fosse disposto finalmente ad attaccare il regime di Assad con la forza militare li aveva entusiasmati, ma quando Obama si è tirato subito indietro, in vista di un accordo con i russi che si erano offerti come intermediari per assicurare lo smantellamentodegli arsenalichimici siriani, sono rimasti sbalorditi. A loro giudizio, Assad rinuncia a servirsi di armi poco usate sul fronte interno, in cambio di mano libera all'impiego di mezzi convenzionali nella guerra contro il suo popolo e di una nuova boccata d'ossigeno garantita dagli Stati Uniti che da quel momento avrebbero considerato il dittatore siriano come un garante di questo accordo, almeno fino alla metà del 2014. Anche il premier turco Recep Erdogan e rimasto molto deluso dalla marcia indietro di Obama sulla Siria. Questo non ha fatto altro che accrescere l'esasperazione dei Paesi del Golfo e della Turchia verso la politica seguita negli ultimi due anni dagli Stati Uniti riguardo al conflitto siriano. Verso la fine del 2011, questi Paesi avevano pubblicamente concordato con Washington e con l'Europa che Assad doveva andarsene, ma non credevano che ciò avrebbe comportato necessariamente un consistente sostegno militare all'opposizione siriana. Anche altri Paesi europei nutrivano gli stessi dubbi, al pari di alcuni responsabili della politica estera e della difesa dell'amministrazione Obama. Ma alla fine è stato lo stesso presidente americano che ha rinunciato a un decisivo appoggio militare degli Stati Uniti, impedendo anche agli altri alleati di fornire sistemi d'arma antiaerei o anti-carro che avrebbero alterato fortemente l'equilibrio di forze. Questo ha non solo permesso al regime di Assad di sopravvivere, ma ha favorito anche l'emergere di un'ampia componente jihadista all'interno dell'opposizione siriana, capace di ottenere soldi e armi che l'Occidente e i suoi alleati non sono disposti a fornire. Oggi l'Occidente preme perla convocazione della conferenza di pace di Ginevra 2, ma i paesi del Golfo e la Turchia restano scettici. Non credono che un regime che ha ucciso decine di migliaia di cittadini farà importanti concessioni e ritengono che non vi sarà alcun progresso in Siria senza un'intensificazione delle ostilità contro il regime di Assad.
SONO FINITI I BEI TEMPI in cui i rapporti fra gli alleati erano basati sulle nette contrapposizioni della guerra fredda. Oggi gli alleati devono fare i conti con la complessa dinamica delle tensioni regionali. Ma gli sforzi della diplomazia occidentale hanno una grande importanza. L'Occidente potrebbe fare di più per coinvolgere maggiormente i suoi alleati regionali e tener conto delle loro preoccupazioni. Anche i Paesi mediorientali dovrebbero però abbandonare l'idea di un conflitto perpetuo e decidere in quali forme possono partecipare alle trattative in corso per ottenere, in tal modo, risultati che soddisfino i loro interessi principali e rispondano alle loro preoccupazioni.

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