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Il Giornale Rassegna Stampa
21.11.2013 Barriera difensiva, che cos'è e a che cosa serve
L'articolo di Gian Micalessin zeppo di imprecisioni

Testata: Il Giornale
Data: 21 novembre 2013
Pagina: 12
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «Quanti muri nel mondo. Costruiti altri 8.000 km dopo il crollo di Berlino»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 21/11/2013, a pag. 18, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo "Quanti muri nel mondo. Costruiti altri 8.000 km dopo il crollo di Berlino".


Famigliari delle vittime di attentati palestinesi con le foto dei loro cari assassinati

L'articolo di Micalessin, buono per molti versi,  definisce però la seconda intifada come "rivolta palestinese segnata da­gli attacchi dei kamikaze di Ha­mas ". Rivolta? Centinaia di attacchi terroristici suicidi  contro cittadini israeliani, in locali pubblici, sarebbe una semplice 'rivolta'?
Micalessin continua "
quella barriera di cemen­to, reti e sensori ha sancito l'an­nessione di fatto del 9 per cento dei territori palestinesi e trasfo­r­mato in una gabbia la Cisgiorda­nia.". Israele non si è annesso nessun territorio. Sono territori 'contesi', non 'annessi'.
Per quanto riguarda la visione della Cisgiordania come gabbia, aggiungiamo che, se non ci fossero stati attentati suicidi, non sarebbe stata necessaria nessuna barriera.
Ecco il pezzo:
 

Il 9 novembre 1989, quan­do il muro di Berlino ven­ne giù, molti sognarono un mondo senza più divi­sioni. Illusio­ni. Ventiquat­tro anni dopo, come raccon­ta il quotidia­no britannico The Guar­dian , i «muri» vivono e cre­scono tutt'at­torno a noi. In tutto ottomila chilometri di cemento ar­mato, reti, filo spinato, sen­sori elettroni­ci tirati su ai quattro angoli del globo e utiliz­zati per tener lontani «nemici», «terroristi», «clandestini», «contrabbandieri» e «delin­quenti ». Ottomila chilometri di barriere progettate nel nome della sicurezza di chi «sta den­tro », ma destinati a moltiplica­re la voglia d'entrare di chi «re­sta fuori». Non tutto è iniziato dopo quel 1989 destinato, ideal­mente, a segnare e l'avvento delle democrazie e la fine della storia. Il muro tra i quartieri be­nestanti di Alphaville da quelli ad alto tasso criminale di San Paolo in Brasile risale al 1978 e continua ad allungarsi. I pochi chilometri di 35 anni fa sono di­ventati oltre 60 e proteggono una comunità di 60mila resi­denti difesi da 960 guardie.
Ma i muri a volte fanno vince­re le guerre. La barriera di ce­mento e filo spinato, dissemina­ta di mine e sensori, costruita nel Sahara dal Marocco ha se­gnato la sconfitta degli indipen­dentisti del Polisario. Il muro iniziato nel 1980 ha bloccato gli attacchi dei guerriglieri in lotta per la «liberazione» degli ex ter­ritori spagnoli annessi da Ra­bat. E cancellato le speranze di 60mila profughi saharawi con­dannati a languire nel deserto.
Un muro ha segnato l'epilo­go della «seconda intifada», la rivolta palestinese segnata da­gli attacchi dei kamikaze di Ha­mas. Da quando nel 2002 Israe­le ha sigillato con una barriera di 498 chilometri i territori pale­stinesi in Cisgior­dania gli attac­chi si sono drasticamente ridot­ti. Ma quella barriera di cemen­to, reti e sensori ha sancito l'an­nessione di fatto del 9 per cento dei territori palestinesi e trasfo­r­mato in una gabbia la Cisgiorda­nia.
Gli Stati Uniti, d'altra parte, hanno atteso solo sei anni dalla caduta del muro di Berlino per costruirne uno tutto loro. Fu il democratico Bill Clinton nel '94 ad approvare i progetti per delimitare con 555 chilometri di barriere d'acciaio il confine messicano tra El Paso e Ciudad Juárez e tra San Diego e Tijua­na.
Quei 555 chilometri sono po­ca cosa rispetto al «vallo» di 4023 chilometri progettato da­gli indiani per bloccare l'esodo dei 20 milioni di clandestini tra­cimati dal vicino Bangladesh. Muri e barriere sono la soluzio­ne scelta anche da Grecia, Tur­chia e Bulgaria per sigillare i propri territori. I turchi lavora­no alla costruzione di un muro nel distretto di Nusaybin, di fronte alla città siriana di Qa­mishli, destinato a chiudere i 900 chilometri di frontiera e bloccare i siriani in fuga. E altri muri sorgono più a occidente. La Grecia ha delimitato con una decina di chilometri di filo spinato gli accessi dall'Evros, il fiume che fa da confine con la Turchia. La Bulgaria annuncia invece la cotruzione di 107 chi­lometri di recinzione per osta­colare gli ingressi illegali dalla Turchia.
Sul fronte occidentale della «fortezza Eu­ropa » sono in­vece gli 11 chi­lom­etri di mu­raglie e filo spi­nato erette da­gli spagnoli nelle enclavi di Ceuta e Me­lilla sulla co­sta marocchi­na ad argina­re le migliaia di disperati che premono dall'Africa.
E a 23 anni dalla caduta di Berlino restano in piedi e si moltiplicano pure le barriere dell'odio. Un muro di cinque chilometri circonda oggi Bab el Amra, il quartiere simbolo di Homs dove la protesta diventò, tre anni, fa lotta armata. E nell' Irlanda del nord le comunità cristiane e quelle protestanti continuano, nonostante la pa­ce, a vivere separate da 99 muri estesi per una lunghezza di ol­tre 48 chilometri. Ma il vero sim­bolo della divisione, ultima ere­dità della «guerra fredda» resta la recinzione di 250 chilometri tra le due Coree e che neppure 60 anni di trattative sono riusci­te ad abbattere.

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