Libano: attentato di al Qaeda contro l'ambasciata iraniana commento di Carlo Panella
Testata: Libero Data: 20 novembre 2013 Pagina: 18 Autore: Carlo Panella Titolo: «Al Qaeda fa la guerra all’Iran, scontro fra canaglie in Libano»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 20/11/2013, a pag. 18, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Al Qaeda fa la guerra all’Iran, scontro fra canaglie in Libano".
Carlo Panella
Due kamikaze, il primo a piedi, il secondo a bordodi una autobomba hanno attaccato ieri mattina l’amba - sciata dell’Iran a Beiurut, nel quartiere di Dahiya Janubia, a poca distanza dalla sede centrale di Hezbollah, che a sua volta era stata attaccata da razzi alcune settimane fa. Pesante il bilancio: 25 morti, tra questi l’addetto culturale iraniano, e decine di feriti. L’at - tentato è stato rivendicato dalle Brigate Abdullah al Azzam (maestro e ispiratore saudita di Osama bin Laden e di tutta la prima generazione di qaidisti) con ulteriori minacce: «Proseguiranno operazioni come questa fino a che non verranno esaudite le nostre richieste che sono: il ritiro di Hezbollah dalla Siria e la liberazione dei nostri uomini detenuti nelle carceri libanesi». L’attenta - to si inserisce in una escalation di combattimenti tra miliziani sunniti seguaci dello sheikh Aasur (non legati ad Al Qaeda) e miliziani di Hezbollah soprattutto a Tiro e Sidone, con centinaia di morti. Il contagio della guerra civile siriana diventa sempre più acuto, tanto che l’inter - vento di migliaia di miliziani di Hezbollahafianco delle truppe diAssade ai pasdaran (sotto il comando del generale iraniano Qassem Suleimani) è diventato il principale ostacolo alla formazione del governo libanese, in crisi dal marzo 2013, dopo le dimissioni del premier Muqati. Giorni fa, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha rifiutato la richiesta di Saad Hariri, leader del «gruppo 14 marzo», che guidò la rivoluzione arancione del 2006, di entrare nel nuovo esecutivo in cambio del ritiro dei miliziani Hezbollah dalla Siria (che significherebbe la rapida caduta sulcampodi Assad). Tutto indica che maturi sempre più il germe di una nuova guerra civile a Beirut, questa volta «di sponda» rispetto allo scenario principale che è la Siria. La svolta oltranzista dell’attentato di ieri è infatti tutta politica. La decisione di «punire» Teheran, attaccando addirittura la sua sovranità nazionalequale è l’edificio della suaambasciata, impone infatti all’Iran l’obbli - godi una risposta ancorapiù dura.La logica islamica impregnata di jihadismo questo comporta. Non a caso, Ali Mikdad, portavoce di Hezbollah ha minacciato: «Abbiamo ricevuto il messaggio, sappiamo chi lo ha mandato e sappiamo come vendicarci». Da parte sua, Saad Hariri ha dichiarato, con evidente preoccupazione: «Il Libano non deve diventare un nuovo Iraq, la comunità internazionale deve intervenire». Purtroppo, però, la principale concausa di questo precipitare del Libano nel baratro è proprio l’inerzia della comunità internazionale, imposta da Barack Obama. A due mesi dalla grottesca conclusione della vicenda delle armi chimiche impiegate da Assad nel massacrodi al Goutha del 21 agosto, quartiere ribelle di Damasco in cui morirono 1200 civili asfissiati, tutti i marchiani errori di Obama emergono alla luce del sole anche in Libano. Permettere ad Assad, come Obama ha permesso, di rifarsi una verginità disinnescando l’arsenale chimico, ma tacere sulla continuazione dei massacri con armi convenzionali delle sue truppe, non solo ha incancrenito la crisi siriana (rafforzando Assad), ma ha reso inevitabile l’esplosione del contagio bellico al Libano. È un semplice meccanismo di «propagazione dei fluidi» di un conflitto in cui la presenza dei miliziani libanesi è ormai determinante. Ma sull’interven - to militare iraniano-libanese in Siria Obama ha sempre taciuto, perché significava ammettere che il presidente iraniano Hassan Rohani, che invia i pasdaran in Siria e il suo generale Suleimani che comanda Hezbollah in Siria, non è affatto un interlocutore affidabili nelle trattative sul nucleare che riprendono proprio oggi. Un’ipo - crisia che si è aggiunta all’ignavia, che ora rischia di diventare complicità.
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