Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 20/11/2013, a pag. 14, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Gli Usa vedono vicino l’accordo con Teheran. E Kerry taglia fuori Israele ".
Maurizio Molinari
Benjamin Netanyahu imputa a Barack Obama la volontà di siglare un «pessimo accordo» con l’Iran e la Casa Bianca accusa tutti coloro che si oppongono a un compromesso sul nucleare di voler «marciare verso la guerra». Se a ciò si aggiunge il monito di John Kerry a Gerusalemme di «non sabotare gli sforzi negoziali a Ginevra» e l’irritazione israeliana per non essere più aggiornati da Washington sugli sviluppi negoziali è facile dedurre perché la crisi fra i tradizionali alleati viene considerata da analisti e politologi come «la peggiore degli ultimi 30 anni».
«È la disputa bilaterale più seria - osserva Robert Satloff, direttore del Washington Institute - dalla lite fra Reagan e Begin nel 1982 sulla fornitura degli aerei radar Awacs ai sauditi». Il «Washington Post» riassume in un editoriale gli umori prevalenti: «C’è una profonda divergenza fra l’interesse nazionale americano e israeliano». A definire quello degli Stati Uniti è la volontà di Obama di «raggiungere un accordo per allontanare il più possibile un intervento militare» mentre Israele ritiene che «un cattivo accordo consentirà all’Iran di raggiungere l’atomica portando alla guerra».
Da qui la scelta di Yuval Steinitz, ministro israeliano degli Affari Strategici, di «auspicare a Ginevra un accordo come la Libia, non come la Nord Corea» ovvero simile allo smantellamento integrale del programma nucleare accettato da Gheddafi nel 2003 piuttosto che ai ripetuti fallimenti americani di impedire a Pyongyang di raggiungere la bomba. Il riferimento alla Nord Corea non è casuale perché Gerusalemme teme che senza smantellare l’impianto di Arak gli iraniani riusciranno a produrre plutonio, arrivando alla bomba seguendo la strada già percorsa da Pyongyang e, prima, da Islamabad. Ma si tratta di obiezioni che sulla Casa Bianca pesano meno degli incoraggiamenti di Zbignew Brzezinski e Brent Scowcroft, ex consiglieri della sicurezza di Jimmy Carter e George Bush padre, secondo cui «perdere l’opportunità dell’accordo a Ginevra significa nuocere alla non-proliferazione e aumentare la possibilità di una guerra».
I disaccordi fra Obama e Netanyahu sono tre. Primo: sul piano strategico Israele teme che un accordo senza lo stop all’arricchimento dell’uranio vanifichi le risoluzioni Onu che lo prevedono. Secondo: sul piano tattico la riduzione delle sanzioni - stimata in circa 20 miliardi di dollari annuali - fa temere a Israele che Teheran abbia risorse sufficienti per arrivare alla bomba. Terzo: sul piano operativo l’irritazione di Israele, e delle associazioni ebraiche americane, è nell’essere stati tenuti all’oscuro dei contatti segreti Usa-Iran che hanno preparato il terreno a Ginevra.
A tale proposito, fonti israeliane indicano in Valerie Jarrett, consigliera di Barack e amica di Michelle, la protagonista dei colloqui con gli inviati di Hassan Rohani avvenuti in un Paese nel Golfo. L’unico binario bilaterale che sembra continuare a funzionare è quello della Difesa: a fine mese si svolgerà nel Negev una esercitazione con 100 jet con piloti dei due Paesi, assieme a polacchi, greci e italiani, simulando duelli aerei e attacchi al ruolo che evocano proprio lo scenario di un intervento contro gli impianti iraniani.
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