Sul FOGLIO di oggi, 16/11/1013, a pag.II, con il titolo " Due che si odiano", l'articolo di Giulio Meotti.
Due fotografie adornano l’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Gerusalemme. Sono due immagini che ci dicono molto dell’abisso che da quattro anni separa “Bibi” e Barack Obama, così differenti nella formazione culturale, nel temperamento, nelle filosofie politiche. George Will, columnist sapiente del Washington Post, ha chiamato Netanyahu “l’anti Obama”, la nemesi del presidente americano. L’ex commando Netanyahu contro l’ex professore Obama. Una fotografia ritrae Theodor Herzl. Ossessionato dall’eruzione di antisemitismo in Francia a seguito del caso del capitano Dreyfus, Herzl divenne il padre fondatore del sionismo. L’altra fotografia, la più significativa, è di Winston Churchill, il leader britannico che salvò l’onore dell’Europa dopo la capitolazione a Monaco nel 1938. Si ricorderà che uno dei primissimi atti di Barack Obama da presidente, pochi giorni dopo essere entrato alla Casa Bianca a metà gennaio 2009, fu proprio di rimuovere il busto di Churchill che il governo di Tony Blair aveva regalato al suo predecessore, George W. Bush, dopo l’attacco dell’11 settembre. Maariv, uno dei più noti e diffusi giornali israeliani, ha commentato così il modo in cui la Casa Bianca obamiana riceve ogni volta la delegazione del premier israeliano Netanyahu: “Non c’è esercizio di umiliazione che gli americani non abbiano tentato con il primo ministro e il suo entourage. Bibi ha ricevuto alla Casa Bianca lo stesso trattamento riservato al presidente della Guinea Equatoriale”. Adesso c’è un libro che getta una luce ancora più chiara e sinistra sull’odio che corre fra Obama e Netanyahu. Si tratta di “Double Down”, il volume dei giornalisti veterani politici Mark Halperin e John Heilemann. “We all know that Bibi Netanyahu is a pain in the ass, Obama said”, si legge nel nuovo libro. “Pain in the ass”, un rompicoglioni, fra le molte traduzioni più o meno eleganti. Altro che “disfunzionale”, come la relazione Bibi-Barack è sempre stata caratterizzata. Siamo al disprezzo puro e semplice. Un disprezzo dai risvolti politici immensi, sullo sfondo della crisi senza precedenti fra Gerusalemme e Washington su come fermare il nucleare iraniano. Gran parte dell’attrito fra Netanyahu e Obama nacque dopo il discorso del Cairo del 2009, in cui Obama legò la nascita di Israele all’Olocausto e lo accostò alla “sofferenza dei palestinesi”. “Fui scioccato dal discorso del Cairo”, ha detto l’attuale ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon. Un assaggio di puro odio obamiano per Netanyahu lo si ebbe al G20 di Cannes. Il presidente francese Nicolas Sarkozy: “Netanyahu? Non posso più vederlo”. Replica il presidente americano Obama: “Tu sei stufo, io devo trattare con lui tutti i giorni”. Lo scorso settembre Netanyahu ha fatto visita alla Casa Bianca. Al termine dell’incontro con Obama, Bibi ha tenuto una conferenza stampa con i giornalisti. Nulla di strano rispetto alle precedenti visite del leader israeliano a Washington, ma molto strano rispetto a quelle di altri leader politici. Netanyahu, infatti, non ha tenuto una conferenza congiunta con il presidente di fronte al corpo di giornalisti riunito al gran completo. I capi politici di Inghilterra, Canada, Cina, Messico e Turchia hanno invece goduto delle joint press conference con Obama, nella East Room, nel giardino delle rose o nell’Eisenhower Executive Office. Un ufficiale israeliano ha detto che “Netanyahu è l’unico leader mondiale che non ha tenuto una conferenza stampa congiunta con Obama”. Dalla famiglia Netanyahu non sono mai mancati strali pesanti contro il presidente americano. Il cognato di Bibi, Hagai Ben-Artzi, ha dato dell’“antisemita” a Obama in una celeberrima intervista alla radio militare: “Non è che Obama odia Bibi, è che non gli piace Israele”. Poi, rivolto al presidente, l’ingombrante cognato ha detto: “Noi siamo qui da quattromila anni, tu tra un paio sarai dimenticato”. Quando il capo dello staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel, ha dovuto celebrare a Gerusalemme l’ingresso nell’età adulta ebraica (Bar Mitzvah) del figlio, le autorità israeliane per lui hanno orchestrato una specie di blitz segreto, imbarazzato, silenzioso. Emanuel ha dovuto persino girare al largo dal Muro del Pianto, dove aveva fissato la cerimonia per suo figlio di fronte alla minaccia di manifestazioni ostili annunciate, in odio a “Barack Hussein Obama” dai movimenti della destra ebraica. Netanyahu non è stato poi tenero con Emanuel e David Axelrod, i due ex principali consiglieri di Obama, che il primo ministro israeliano ha chiamato “ebrei che odiano se stessi”. Anche il presidente più glamour della storia americana ha lanciato molti segnali di disprezzo per l’israeliano. Obama si è fatto fotografare con le scarpe sul tavolo dello Studio Ovale mentre era al telefono con Gerusalemme per redarguire Netanyahu sulla costruzione di una manciata di case per i coloni. Mostrare le scarpe è il gesto di maggiore insulto in medio oriente. Come dimenticare il reporter iracheno che ne lanciò un paio alla volta di George W. Bush durante una conferenza stampa a Baghdad? Gli esperti da quattro anni leggono il linguaggio del corpo per capire l’antipatia che corre fra i due. Quando Obama ha visitato Israele, la scorsa primavera, appena sceso dall’Air Force One ha abbracciato il presidente, Shimon Peres, ma ha solo stretto la mano a Netanyahu. Gli incontri alla Casa Bianca fra Bibi e Obama finiscono sempre con gelide e rapide strette di mano, occhiate in cagnesco e dita puntate all’interlocutore. L’esperta di linguaggio del corpo, Tonya Reiman, ha detto che Obama ha “disprezzo negli occhi” per Netanyahu.Quando, durante una visita di Netanyahu a Washington, il primo ministro israeliano ha risposto picche alle richieste della Casa Bianca sul processo negoziale, Obama si è alzato e ha detto: “Vado a cena con Michelle e le ragazze”. Mentre se ne stava andando, a Netanyahu sono stati fatti notare gli errori politici dallo staff di Obama. “Sono in giro”, ha detto il presidente, “fammi sapere se c’è qualcosa di nuovo”. Le due parti non trovano alcun accordo e Obama vieta persino di fare fotografie dell’incontro. Ha scritto Gerald Steinberg, noto analista politico israeliano, che l’odio fra i due è più politico e culturale che umano: “Il leader israeliano è un realista duro e puro, o un pessimista se si preferisce, che vede i pericoli di ciò che Thomas Hobbes ha descritto come ‘la guerra di tutti contro tutti’ nell’anarchia della politica internazionale. Israele si distingue come uno stato ebraico solitario e vulnerabile in un ambiente mediorientale ostile e pericoloso, per cui la sopravvivenza dipende da un potente esercito in grado di sconfiggere tutte le minacce”. Obama, invece, “è un democratico liberale, un ottimista. Come Immanuel Kant, ritiene che le controversie possano essere superate attraverso il dialogo e il compromesso. Per lui l’uso della forza militare è l’ultima delle possibilità, riservata a pochi sociopatici come Bin Laden, Gheddafi e il leader dei talebani. Obama ha posto come priorità la conclusione del lavoro militare americano in Iraq e in Afghanistan e la rinnovata partecipazione degli Stati Uniti al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, citando i suoi alti principi, piuttosto che la realtà spiacevole”. Questa dunque l’analisi di Steinberg: “Netanyahu viene da Marte, Obama da Venere”. Anche nel nome, Benjamin, Netanyahu non potrebbe essere più diverso da Obama, Barack dall’arabico. Beniamino è, infatti, uno dei figli di Giacobbe, il patriarca della Bibbia. Una volta il primo ministro disse a un diplomatico americano dieci parole che rendono bene il succo dello scontro con la Casa Bianca di Obama: “Tu vivi a Chevy Chase, non giocare con il nostro futuro”. C’è chi dice che la crisi più profonda fra Washington e Gerusalemme sia maturata nella biografia opposta dei due leader. Netanyahu conosce molto bene gli Stati Uniti, e infatti in Israele è anche noto come “l’amerikano”, per avere studiato al Massachusetts Institute of Technology di Boston, per l’inglese fluente, per la nomina di ambasciatore all’Onu e per l’arte americana di rapportarsi con i media, soprattutto la Cnn, quando durante la guerra del Golfo del 1991 andava in diretta da Tel Aviv con la maschera antigas. Se non fosse diventato primo ministro, Bibi sarebbe diventato un ricchissimo uomo d’affari negli Stati Uniti. Netanyahu va fiero della sua biografia così diversa da quella di Barack Obama. Il suo staff ama ripetere che quando Obama aveva sette anni, nel 1968, Netanyahu già rimaneva ferito a un braccio mentre liberava dai terroristi un aereo della Sabena. Prese per i capelli una fedayn e si fece dire dove aveva messo la bomba. Nelle foto il futuro primo ministro è immortalato in tuta bianca, schiacciato contro la parete del velivolo, per evitare di essere visto dai terroristi. Nel 1973, quando Israele cadde nel panico per l’attacco arabo concentrico dello Yom Kippur, Netanyahu saltava sul primo aereo da Boston per servire in una unità militare sul Canale di Suez. All’epoca Obama aveva tredici anni. Il presidente americano è cresciuto con un padre di sinistra assente, mentre Netanyahu è il figlio del più noto storico dell’Inquisizione spagnola in Israele, Benzion, morto un anno fa centenario senza rinunciare a una virgola delle sue convinzioni di destra. Se dei fratelli di Obama si sa poco o nulla, Netanyahu è cresciuto all’ombra del mito del fratello Jonathan, l’eroe che il 3 luglio 1976 liberò 108 ostaggi israeliani in un aeroporto ugandese a Entebbe. L’editorialista del New York Times Maureen Dowd ha definito Obama “il presidente fico, ragionevole, saggio e modesto”. Netanyahu è l’esatto opposto e a differenza di Obama, noto per il sorriso smagliante, Bibi lo chiamano “il serioso”. Una volta Netanyahu andò al “Larry King Live” e al termine del programma il conduttore gli disse: “In una scala da uno a dieci, come ospite è otto. Se avesse un po’ di umorismo arriverebbe a dieci”. A differenza di Obama, che gode dell’unanime compiacimento della stampa, Bibi è odiatissimo dai media in Israele. Per questo Sheldon Adelson, il magnate dei casinò che è un suo grande finanziatore, ha creato Israel Hayom, divenuto il giornale più venduto in Israele e il portavoce di Bibi. Netanyahu a disprezzare la stampa ha imparato dal padre, che era solito definirla “bolscevica”, e mentre la chiamava così strizzava gli occhi da cinese che aveva. Benzion e Cela Netanyahu hanno abituato i tre figli a pensare a se stessi come un’aristocrazia nella casa di Haportzim, a Gerusalemme. “Percepiscono se stessi come una grande famiglia nella storia d’Israele”, ci dice un amico dei Netanyahu “Yoni è il fratello martire dell’esercito, Bibi è il primo ministro e Iddo lo scrittore”. I Netanyahu, si dice, sono cresciuti con un profondo risentimento contro l’establishment di sinistra. Un risentimento che si riversa anche nei rapporti con un presidente americano compiaciuto ed elitario. Se il presidente americano ha storiche amicizie con i rappresentanti dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina a Washington, i professori Edward Said e Rashid Khalidi, Netanyahu è il primo ministro israeliano che ha paragonato lo stragista Arafat ad Adolf Hitler. Se Obama ha un antico rapporto d’amicizia e professionale con William Ayers, uno dei leader dei Weathermen, il gruppo di terroristi politici degli anni Sessanta, Netanyahu ha scritto libri sul terrorismo islamico, gli ebrei e il “tradimento dell’occidente”. Said è l’intellettuale arabo più illustre del secolo scorso, il padrino degli studi “post coloniali”, la cui peggiore eredità è il sillogismo che lo ha reso celebre in tutto il mondo: l’“orientalismo”, il razzismo occidentale nei confronti dell’oriente musulmano, è antisemitismo perché gli arabi sono semiti; il sionismo ha assimilato gli ebrei all’occidente, gli ebrei hanno perso il loro semitismo, sono divenuti “orientalisti”, antisemiti; i palestinesi sono i “nuovi ebrei” e gli ebrei sono i “nuovi nazisti”. Ma soprattutto c’è l’influenza su Obama di un rabbino di Chicago, Arnold Wolf. Nel 1969 quest’ultimo ha inscenato una protesta in sinagoga a favore della Pantera Nera Bobby Seale. Nei primi anni Settanta, il rabbi pacifista e di sinistra ha fondato un’organizzazione che ha incontrato Yasser Arafat, e questo circa vent’anni prima che il leader palestinese rinunciasse ufficialmente al terrorismo. Nei primi anni Novanta, Wolf ha denunciato la costruzione del Museo dell’Olocausto di Washington. Mentre Obama si faceva le ossa come “community organizer” e avvocato dei diritti umani, Netanyahu era un soldato della Sayeret Matkal, le teste di cuoio israeliane. Nel 2009, al culmine della crisi fra Washington e Gerusalemme sugli insediamenti ebraici, i siti americani pubblicarono le fotografie di Obama e Netanyahu nei rispettivi vent’anni: il primo ha l’aria scanzonata, i capelli lunghi, e la sigaretta in bocca; il secondo ha la mascella squadrata, imbraccia l’M16, veste la divisa marrone dell’esercito israeliano e calza scarponi da commando. Se Obama è l’eroe della rivoluzione multiculturale americana, dei “fratelli e sorelle gay”, Netanyahu è un sionista di destra, il rampollo dell’aristocrazia ebraica di Gerusalemme che pensa di avere fra le mani il destino del suo popolo millenario e del suo paese. Mentre Obama, nel 1997, era ancora un militante del “potere nero”, Netanyahu diventava il presidente più giovane della storia israeliana. Se la formazione di Netanyahu è all’insegna dell’idea, molto paterna, che è una minaccia ogni concessione, Obama è cresciuto sulle idee di Saul Alinsky, quello dello slogan “pensare globalmente, agire localmente”. Si torna, infine, a quel busto di Winston Churchill. Nel suo libro, “A place among the nations”, Netanyahu paragona lo stato ebraico alla Cecoslovacchia. Il 29 settembre 1938, lo stato cecoslovacco fu privato di confini difendibili con il “patto di Monaco”. Sei mesi più tardi, abbandonata dai suoi alleati, Inghilterra e Francia, e attaccata da Hitler, la Cecoslovacchia cessò di esistere come stato. Come Israele oggi, i cechi erano stati accusati di “intransigenza” e di essere “contrari alla pace”. Erano così aggrediti da ogni parte, che alla fine scelsero non di combattere, ma di arrendersi. “Pace” significò capitolazione. La situazione della Cecoslovacchia nel 1938 è infatti simile a quella di Israele nel 2013. Come l’Idf di Israele, i cechi avevano uno degli eserciti più forti d’Europa. Come Israele, la Cecoslovacchia era uno stato giovane e pieno di vitalità. Come Israele, la Cecoslovacchia era l’unica democrazia liberale dell’Europa orientale. E’ qui che il sillogismo di Netanyahu si complica e diventa politico. Come i vigliacchi diplomatici britannici che erano volati a Monaco per firmare la cessione dei Sudeti a Hitler, i pacificatori occidentali, la settimana scorsa, si sono recati a Ginevra per ipotecare la sopravvivenza di Israele con gli iraniani. Ma se Netanyahu vede se stesso come il nuovo Churchill che fermerà l’atomica iraniana, in questo schema quale ruolo rimane a Obama se non quello del pavido pacifista, Arthur Neville Chamberlain?
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