Assad continua indisturbato ad occupare la scena politica internazionale.
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 16/11/2013, a pag.3, due articoli, un editoriale e la cronaca di Rolla Scolari sulle armi chimiche che avrebbero dovuto essere trasportate in Albania per essere distrutte.
Editoriale: " Era questo il piano americano con Assad ?"
Assad con il perdente Con il vincitore
Viene da chiedersi come si arriverà, se si arriverà, alla Conferenza di Ginevra due sulla pace in Siria. Da quando c’è stata la strage con armi chimiche alla periferia di Damasco, era il 21 agosto scorso, è stato tutto un crescendo per il presidente siriano Assad. Era partito male, da una condizione di imminente annichilimento. Sembrava che dovesse essere colpito da un momento all’altro dalla reazione militare americana e poi, indebolito, lasciato in pasto all’avanzata delle katiba ribelli. L’attacco americano si ridimensionò quasi subito e diventò “incredibilmente piccolo” – nelle indimenticabili parole del segretario di stato John Kerry – e infine si trasformò in un accordo pacifico a tre fra Obama, Assad e il presidente russo Vladimir Putin sul disarmo chimico (e non sul resto della guerra civile). Gli esperti avvertivano non sarà così facile. Ieri l’Albania ha dato un grande dispiacere a Washington negando il permesso di distruggere l’arsenale chimico siriano (trovate i dettagli in un articolo in questa pagina). Nel frattempo Assad, grazie alle milizie iraniane e libanesi e ai consiglieri militari russi, sta riprendendo il controllo della periferia della capitale e sta portando l’assedio ad Aleppo. Il braccio politico dell’opposizione, fuori dalla Siria, è tragicamente inadeguato al suo compito. I ribelli litigano tra loro e con i due grandi gruppi legati ad al Qaida. Sono passati tre mesi dalla strage e se la Conferenza di Ginevra cominciasse oggi Assad si siederebbe al tavolo da una posizione di forza (non si vede chi potrebbe insidiare il suo vantaggio – almeno a breve termine). Era questo il piano americano alternativo a 72 ore di strike con i missili?
Rolla Scolari: " L'Albania non vuole ospitare il disarmo chimico di Assad. E ora ?"
Gerusalemme. Non sarà l’Albania il luogo in cui saranno accolte e distrutte oltre mille tonnellate di agenti chimici siriani. Da una settimana migliaia di persone manifestano nelle strade delle città albanesi con maschere antigas e bandiere rosse con l’aquila nera. In pochi giorni è sorto un movimento spontaneo, apolitico e variegato che ha spinto il premier di centrosinistra Edi Rama, al potere da soli due mesi, a fare un passo indietro, nonostante l’Albania sia un robusto alleato degli Stati Uniti e un membro della Nato. Il rifiuto albanese è un colpo all’intesa siglata da Mosca e Washington a settembre per smantellare l’arsenale chimico del regime di Bashar el Assad. L’accordo, che ha congelato la possibilità di un attacco militare americano sulla Siria, prevede il trasporto al di fuori dei confini siriani di tutti gli agenti chimici entro la fine dell’anno. Il “no” di Tirana lascia russi e americani senza un piano B. Sarebbe troppo pericoloso neutralizzare l’arsenale direttamente in Siria a causa dei combattimenti. L’Albania, finita sulla lista degli esperti, non è stata una scelta casuale. Ci sono pochissimi luoghi al mondo dotati di installazioni per eliminare agenti chimici. Il paese adriatico è uno di questi, racconta al Foglio Daniel Kaszeta, esperto di armi chimiche, ex membro dell’Army Chemical Corps e dei Secret Service degli Stati Uniti. Nel 2002, l’Albania scoprì in un bunker abbandonato oltre 16 tonnellate di agenti chimici, retaggio degli anni del regime comunista e iper militarizzato di Enver Hoxha. Il governo cercò l’aiuto internazionale. Gli Stati Uniti finanziarono il programma di smantellamento con 45 milioni di dollari, inviarono scienziati e costruirono a Qafemolle, non lontano da Tirana, un’installazione per la distruzione del materiale. Ed è proprio questa base, che esiste ancora oggi, ad aver diretto l’attenzione verso una soluzione albanese. “E’ spazzatura – dice al Foglio Kozara Kati, storica attivista per i diritti umani e tra i leader del nuovo movimento di piazza – Se vedessi cosa c’è a Qafemolle te ne renderesti conto. E’ un terreno dove circolano animali selvaggi, non c’è nulla”. Sul posto, ha scritto la stampa internazionale, sono ancora visibili i resti della distruzione degli agenti chimici – conclusa nel 2007 – racchiusi in container che qualche anno fa hanno cominciato a perdere liquido, prima di essere sostituiti. “Siamo mal equipaggiati” per gestire tonnellate di materiale, ha detto il premier ieri. A Qafemolle, l’Albania ha smaltito 16 tonnellate di agenti chimici, dalla Siria ne sarebbero dovute arrivare mille. Secondo Kaszeta, ci vorranno anni per distruggere una quantità simile. L’esperto è convinto però che per l’Albania accettare il carico – già rifiutato dalla Norvegia – sarebbe stata un’opportunità: sul piano finanziario la retribuzione internazionale sarebbe stata importante per un paese con un’economia debole e sul quello politico avrebbe potuto spingere i desideri d’integrazione europea di Tirana. I rischi nella fase di distruzione sarebbero per Kaszeta relativamente bassi e il livello di controllo del processo da parte dell’Onu alto. Ora, la comunità internazionale resta con un problema: gli unici altri paesi ad avere installazioni per la distruzione di agenti chimici sono la Russia e gli Stati Uniti, ma in entrambi i casi sono basi isolate, complicate da raggiungere. Mille tonnellate di materiale chimico possono viaggiare soltanto via mare ed è difficile pensare che la Turchia lasci passare un carico così sensibile attraverso la sua principale città, Istanbul, o che la rotta del canale di Suez e dell’instabile Egitto sia oggi una via facilmente percorribile.
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