VIVE LA FRANCE ! Iran nucleare, gli Usa scoprono la Francia commento di Maurizio Molinari
Testata: La Stampa Data: 13 novembre 2013 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Gli Usa 'scoprono' la Francia»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 13/11/2013, a pag. 1-27, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Gli Usa “scoprono” la Francia ".
Maurizio Molinari
«Vive la France!». L’America dei conservatori, dai grandi giornali di New York ai centri studi di Washington, si riconosce nella scelta di Parigi di impedire a Ginevra l’accordo che avrebbe consentito a Teheran di incassare la riduzione delle sanzioni senza bloccare il programma nucleare. E poco importa che il veto dell’Eliseo abbia il volto di due socialisti europei doc: il presidente François Hollande che lo ha deciso e il ministro degli Esteri Laurent Fabius che lo ha esercitato. E’ proprio il timbro socialista francese sulla sventata resa della comunità internazionale alla Repubblica Islamica dell’Iran a far risaltare i gravi cedimenti che il presidente Barack Obama era disposto ad accettare. Il «Wall Street Journal» di Rupert Murdoch celebra l’«eccezionalismo francese» con un editoriale intitolato «Vive la France sull’Iran» che inizia così: «Non avremmo mai pensato di dirlo ma al momento è stato il governo socialista di Hollande a salvare l’Occidente da un accordo che avrebbe consentito all’Iran di diventare una potenza nucleare». E’ dunque Hollande a muoversi nel solco di «Tony Blair, Margaret Thatcher, Ronald Reagan e George W. Bush» le cui eredità politiche sono state invece tradite dal britannico David Cameron e da Obama «che fremevano di firmare la resa a Teheran» versione contemporanea del patto di Monaco 1938 con cui le potenze di allora consegnarono la Cecoslovacchia ad Adolf Hitler, precipitando l’Europa nelle mani dei nazisti. Il più pungente dei columnist del «Journal», Bret Stephens, ne deduce che la Francia guida l’«Asse del Realismo» sull’Iran, che include Israele ed Arabia Saudita, contrapponendosi all’«Asse della Fantasia» capeggiato da Obama secondo il quale la strategia «è una realtà virtuale fatta di avatar». L’opinionista ex clintoniano del tabloid «New York Post», Dick Morris, invoca «Bring Back French Fries!» ovvero ridateci le patatine fritte, il simbolo della Francia che i conservatori misero all’indice nel 2003 a causa dell’opposizione di Jacques Chirac all’intervento in Iraq, fino al punto da bandirle dal menu della mensa del Congresso. La Francia «più antica alleata dell’America», per aver sostenuto la rivoluzione contro l’Impero britannico, torna così ad essere il «faro delle democrazie». Ed a spiegare perché «i francesi mi sono sempre piaciuti» è un conservatore doc come Michael Ledeen, oggi in forza alla «Foundation for Defense of Democracies» di Washington, svelando sull’«Huffington Post» un retroscena inedito dei rapporti fra Reagan e François Mitterrand. «Quando nel 1986 Reagan chiese a Parigi, attraverso l’inviato Vernon Walters, di aprire i cieli ai jet che avrebbero bombardato Tripoli – scrive Ledeen, che fu collaboratore di Reagan – Mitterrand gli disse che se l’intenzione era di rovesciare Gheddafi lui avrebbe messo a disposizione la Legione Straniera, con tank e soldati, mentre se gli Usa volevano solo lanciare qualche bomba avrebbero dovuto seguire una rotta più lunga». Come dire: anche allora Parigi faceva sul serio con i nemici dell’Occidente. Stephens aggiunge: «Quando Parigi propose il recente intervento in Mali contro Al Qaeda, Susan Rice commentò con una parolaccia ma poi l’America dovette ringraziare i francesi». Se a ciò si aggiunge il tam tam di Washington sui «piloti francesi pronti a decollare sulle piste verso la Siria bloccati dalla marcia indietro di Obama su Assad» non è facile arrivare a percepire come fra i conservatori l’ostilità nei confronti delle politiche della Casa Bianca sia tale da arrivare ad esaltare l’unica nazione alleata che ha aspettato il crollo del Muro di Berlino per entrare nella struttura militare della Nato. Ma non è tutto perché il premio Nobel dell’Economia Paul Krugman dalle colonne del liberal «New York Times» aggiunge un altro tassello della rivalutazione della Francia spiegando che il recente downgrading di Parigi da parte di Standard & Poor’s è passato quasi inosservato sui mercati perché «le sue prospettive fiscali non preoccupano, il deficit di bilancio è sceso di molto e il tasso di natalità è superiore a quello di molti Paesi europei». Ovvero, è una potenza economica con prospettive solide. Ciò che ne esce è una nazione a cui l’America guarda con crescente interesse – strategico ed economico – realizzando che è forse l’alleato occidentale più determinato a riempire gli spazi lasciati dall’amministrazione Obama.
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