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Il Giornale-Libero-La Stampa-Corriere della sera Rassegna Stampa
10.11.2013 Ginevra: niente accordo per ora. Delusi il Manifesto e Farian Sabahi
Commenti e cronache di Fiamma Nirenstein,Carlo Panella,Francesca Paci, Guido Olimpio

Testata:Il Giornale-Libero-La Stampa-Corriere della sera
Autore: Fiamma Nirenstein-Carlo Panella-Francesca Paci-Guido Olimpio
Titolo: «Iran, Parigi frena,no ad accordi da minchioni-L'Iran offre un accordo-truffa, se ne accorge pure la Francia-Da Israele al Golfo la strana alleanza tifa per il flop a Ginevra-Spie, virus, omicidi. E un'ossessione, la Bomba»

L'incontro di Ginevra con la teocrazia iraniana continua a tenere banco sui giornali di oggi, 10/11/2013. Riprendiamo i commenti: dal GIORNALE Fiamma Nirenstein, da LIBERO Carlo Panella, dalla STAMPA Francesca Paci, dal CORRIERE della SERA Guido Olimpio.
Gli unici due commenti che esprimono delusione per la mancara resa immediata dell'Occidente di fronte agli eredi di Khomeini sono il MANIFESTO, in un pezzo dal titolo di per sè eloquente: " Nucleare iraniano, l'intransigenza di Parigi blocca lo storico incontro". Più che coerente che sia il quotidiano comunista, erede del trinariciutismo sovietico, a dispiacersi per mancato 1-0 in favore dell'Iran.


Farian Sabahi & friends

In misura meno plateale, visto che scrive sul CORRIERE della SERA, esprime le ragioni dell'Iran la trombettiera ufficiale in Italia di Khamenei, Farian Sabahi, la cui funzione è nota - a tutti, ma non al Corriere, dove domina la linea di Sergio Romano -  sottolineare quanto l'Iran sia uno Stato pacifico, mentre è il bieco Occidente a reprimerlo. Lo fa con furbizia, sa bene che se usasse i toni del Manifesto non durerebbe a lungo, malgrado l'evidente protektzia di Romano, come avvenne alla STAMPA quando manipolò una intervista a A.B.Yehoshua in funzione pro-Iran, fatto per cui venne subito allontanata dal giornale. La volpe perde il pelo ma non il vizio.

Il commento di IC nella Cartolina di Ugo Volli in altra pagina

Ecco commenti e cronache:

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: "Iran, Parigi frena,no ad accordi da minchioni "


Dunque non era così semplice. L'accordo che avrebbe dovuto frenare la corsa dell'Iran alla bomba atomica (sempre negata dagli interessati) e dargli respiro sollevandolo da alcune sanzioni non è ancora stato raggiunto, e se le ore della notte non cambieranno qualcosa, si assisterà a un round successivo. Il clima sembra improvvisamenterannuvolato rispetto al solleone dei giorni scorsi, i sorrisi si sono spenti. La realtà riscuote il suo tributo. lipresidente iraniano Hassan Rouhani esorta i5 1 a «non perdere l'eccezionale opportunità», ma le concessioni sono molto modeste, nell'affollata piazza di Teheranperil34 anniversario della rivoluzione si ègridato, comesempre, «morte all'America» e «morte a Israele», mentre Khamenei stesso dice di non nutrire grandi speranze e lo stesso ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif si è detto più prudente sull'ipotesi di raggiungere un accordo sul nucleare iraniano con le grandi potenze, rispetto a due giorni fa. Laurent Fabius, il ministro degli Esteri francese fra i 5 1 è stato quello che ha sollevato esplicitamente la questione per lui più bruciante: il reattore di Arak, ancora in costruzione, che produce plutonio, l'alternativa all'uranio arricchito. Il reattore dovrebbe essere pronto all'inizio dell'anno prossimo, e da allora sarà in grado di produrre 9 chili di plutonio l'anno, la quantità sufficiente a produrre due bombe atomiche. Non male. Il rifiuto di Mohammad Javad Zarif a chiudere il reattore ad acqua pesante (che qual-chesettimana fa ha subito una m isteriosa esplosione) ha portato Fabiusaunadichiarazionechericorda quelle furiose di Netanyahu: «Parigi non accetterà un accordo da minchioni». Anche John Kerry quando giunto venerdì a Ginevra aveva subito frenato: «Ancora l'accordo non c'è». E durante un incontro molto teso con i sauditi, i peggiori nemici dell' Iran, ha promesso: «Non ci sarà un Iran nucleare». Il desiderio bruciante dei 5 1 di arrivare all'accordo storico, che, nello stile di Obama, darebbe al mondo uno spettacolare segnale non importa quanto sostanziato dalla realtà, è investito invece da rischi di guerra definitivi. Fabius ha anche detto: «Dobbiamo prendere sul serio le dichiarazioni di Netanyahu», che aveva accusato di irresponsabilità il consesso internazionale e promesso di difendersi da solo dalla bomba iraniana.

 

Libero-Carlo Panella: " L'Iran offre un accordo-truffa, se ne accorge pure la Francia "

 Lombroso, se ci sei, batti un colpo ! (nella foto Catherine Ashton)

 Carlo Panella                         Laurent Fabius, ministro degli esteri francese

 Mentre la televisione di Teheran trasmetteva un impressionante spot che mostrava missili intercontinentali iraniani che disti' a• evano Tel Aviv, con una incredibile verosimiglianza, i ministri degli Esteri delle grandi potenze mondiali (i cinque Paesi con seggio permanente all'Onu più la Germania) si sono recati a Ginevra per concludere con il ministro degli esteri iraniano Javad Zerif l'accordo sul nucleare. La trattativa è ancora aperta e la sua conclusione è slittata alla prossima settimana, ma è certo - purtroppo - che si concluderà. E consegnerà un trionfo politico agli ayatollah, non impedirà assolutamente che continuino a lavorare per costruirsi la bomba atomica. La filosofia dell'accordo è infatti chiara: l'Iran non darà alcuna garanzia di cessare per sempre l'arricchimento dell'uranio sino alla soglia del 90%, utile alla bomba atomica, si limiterà solo a sospenderlo per sei mesi, non smantellerà le sue nuove super centrifughe IR2 che permettono un arricchimento velocissimo, non bloccherà affatto la centrale di Arak che raffina plutonio, particolarmente indicato per le bombe atomiche. Si limiterà a sospendere queste attività per soli 6 mesi. In cambio di questo nulla, però, otterrà un sensibile alleggerimento delle sanzioni economiche dell'Onu: potrà riprendere parzialmente le esportazioni di petrolio e le sue relazioni finanziarie internazionali. È esattamente quanto serve agli iraniani per alleggerirei danni provocati dalle sanzioni economiche. Soprattutto quanto serve loro per dimostrare alla umma musulmana che il loro oltranzismo ha piegato il «satana americano» obbligandolo a concessioni senza avere nulla in cambio. Un pasticcio talmente ignobile che persino la debolissima Francia ha avuto spazio per fare la voce grossa, prendendo le distanze dall'arrendevole Segretario di Stato Usa J.F. Kerry. Laurent Fabius, ministro degli Esteri, ha infatti dichiarato ieri: «Non vi sono certezze sull'intesa c'è una bozza iniziale che non accettiamo ma non sono certo che si possa arrivare a una conclusione». Tra le priorità da definire, secondo Fabius, la sospensione delle operazioni al reattore al plutonio di Arak e cosa fare dello stock di uranio già arricchito al 20% dall'Iran. Fabius ha poi detto che nell'ambito dell'intesa, «dovranno essere tenute nel debito conto le preoccupazioni di Israele, Arabia Saudita ed Emirati». Ma Israele sa bene che l'ansia di arrivare a una conclusione positiva, anche se al limite della vergogna, da parte di Barack Obama è tale che non vi sarà nessuna garanzia al riguardo. Obama si prepara a ripetere il bis del fiasco della trattativa sulle armi chimiche con Assad che si è conclusa in modo surreale. Dalla sigla di quell'accordo a settembre, migliaia di siriani sono stati uccisi con le armi convenzionali da As-sad, col supporto determinante di Pasdaran iraniani e miliziani di Hezbollah. Ma Obama tace, mentre un trionfante e tracotante As-sad pretende ora che gli «venga assegnato il Nobel perla pace». Invano il premier israeliano Bibi Netanyahu ha urlato a Keny che ha incontrato a Tel Aviv: «Nessun accordo è meglio di un pessimo accordo!». Obama, Kerry e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Susan Rice non hanno mai compreso che gli ayatollah non puntano solo a veder riconosciuto il molo di potenza regionale dell'Iran (che è effettivamente contrattabile) ma che puntano soprattutto a «esportare la rivoluzione khomeinistao e che aspirano addirittura a «eliminare Israele dalla faccia dalla terra» (questo lo striscione che campeggiava ad agosto sulla prima parata militare a cui la «colomba» Rohani, il nuovo presidente iraniano, ha assistito). Strategia ovviamente non contrattabile, ma solo da sconfiggere, manu militari. Non a caso, l'accordo imminente ha già provocato una conseguenza esplosiva: l'Arabia Saudita si farà consegnare dal Pakistan delle bombe atomiche (la cui costruzione ha finanziato per decenni.

La Stampa-Francesca Paci: " Da Israele al Golfo la strana alleanza tifa per il flop a Ginevra

Francesca Paci

Che sia temporaneo o definitivo, il freno imposto dalla Francia ai negoziati con l'Iran è una boccata d'ossigeno per il fronte del dissenso, l'eterogenea e profana alleanza tenuta insieme dalla comune avversione allo sdoganamento occidentale di Teheran. Se il premier israeliano Netanyahu non ha aspettato un giorno per palesare la propria ostilità all'apertura di Obama infatti, sono in molti a remare contro nell'ombra. In Medioriente e non solo. L'Arabia Saudita, innanzitutto. Secondo l'United Press International, che cita l'ambasciatore israeliano in Usa Michael Oren, l'intelligence araba e quella di Tel Aviv si sono ripetutamente incontrate in Giordania per destabilizzare la cosiddetta «mezzaluna sciita», l'asse Teheran-Damasco-Hezbollah. Un armistizio tattico tra paesi non amici capitanato da Riad che pur di bloccare la strada al super avversario regionale garantirebbe a Israele la copertura logistica per un eventuale raid contro le centrali nucleari degli ayatollah. L'interesse della corona saudita, così come quello delle sorelle monarchie del Golfo, è politico, prova ne sia il sostegno militare ai ribelli anti Assad, ma anche economico. Analisti come Kevin Book della ClearView Energy Partners prevedono che un accordo con l'Iran e la conseguente riduzione delle sanzioni sull'export energetico di Teheran abbatterebbero il prezzo del greggio a 12 dollari con l'immissione sul mercato di un milione di barili iraniani al giorno. Una mazzata peri paesi del Gulf Cooperation Council (Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Bahrain, Qatar e i neo soci Giordania e Marocco). Tanto che la settimana scorsa il ministro degli affari esteri di Manama, Khalid bin Ahmad bin Muhammad Al Khalifa, ha giocato l'estrema quanto inverosimile carta dell'amicizia regionale invitando l'Iran a privilegiare le sue relazioni con i vicini su quelle con l'America. Israele è sotto shock, ripetono i media nazionali. Se qualcuno come il capo della National Security Studies di Tel Aviv Amos Yadlin invita alla calma suggerendo di aspettare «i dettagli prima di bocciare il negoziato», Netanyahu si sente tradito dalla Casa Bianca e, riferisce l'emittente Channel 10, «ha avuto uno scontro senza precedenti con il segretario americano John Kerry» reo di «concedere all'Iran qualsiasi cosa senza fargli pagare nulla in cambio». In squadra con Israele e i paesi del Golfo, vale a dire potere militare più potere economico, gioca una formazione trasversale: i nemici di Obama al Congresso, i ribelli siriani, soprattutto quelli della Coalizione Nazionale che hanno paragonato i colloqui di Ginevra a quelli «perdenti» per il disarmo chimico di Damasco, e i falchi di Teheran. Se i giornali iraniani riformisti definiscono «storici» i colloqui in corso dopo 35 annidi silenzio, gli ultra conservatori come «Kayhan» titolano sul «miraggio di Ginevra» liquidandolo come «cioccolato svizzero» e chiedendosi se non si tratti piuttosto di una resa a Washington. Infine c'è l'Egitto. Con la scusa dei propri problemi interni il governo del Cairo evita di pronunciarsi, ma l'atteggiamento nei confronti dell'Iran è radicalmente mutato dopo la fine dell'era Morsi. Solo un anno fa i Fratelli Musulmani al potere avevano riallacciato i rapporti con la repubblica degli ayatollah inaugurando una nuova tratta aerea tra le due capitali e difendendo il diritto di Teheran al nucleare. Ora non si vola più e giovedi la polizia egiziana ha arrestato il caporedattore della tv iraniana al-Alam. Difficile che nella polarizzazione regionale il Cairo (con le sue rinascenti ambizioni nucleari) si schieri con Teheran contro Riad.

Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Spie, virus, omicidi. E un'ossessione, la Bomba "

 

Guido Olimpio

WASHINGTON — L'atomica è diventata un'ossessione. Per motivi diversi. Gli iraniani, che la vogliono fin dall'epoca dello Scià, ritengono sia necessaria per bilanciare le altre potenze regionali. Gli Usa temono un Iran in grado di minacciare gli alleati dell'Occidente. Gli israeliani sono inquieti a causa di un nemico che per decenni ha promesso l'annientamento dello Stato ebraico. Ognuno ha proseguito sulla propria strada non risparmiando risorse. Teheran per arrivare al sogno della Bomba, gli altri per impedirlo. Ad ogni costo, con le buone o le cattive. Gli ayatollah, memori di quanto accadde con il reattore nucleare iracheno di Osirak distrutto da Israele nell'81, hanno pensato subito alla contromisure. Prima hanno «disperso» gli impianti in decine di siti. Poi sono andati «sotto terra», realizzando laboratori in bunker protetti. E' il caso di Fordo, scavato in una montagna vicino a Qom. Pilastri di un doppio programma nucleare. Uno aperto e l'altro segreto. Con i proventi del petrolio Teheran ha ingaggiato scienziati stranieri, come il russo Vyascheslav Danilenko, reclutato — si dice — a metà degli anni '90. Uno dei tanti tecnici rimasti a spasso dopo il crollo dell'Urss. Altri sono arrivati per mettere a punto i missili terra-terra. Ed ecco spuntare i nordcoreani, i cinesi, i patti strategici con i siriani e l'acquisizione massiccia di tecnologia. Dubai, l'Estremo Oriente e alcune «piazze» europee a fare da snodo per i traffici. Spese sostanziose anche in Italia, comprando da piccole imprese del nord. Quindi, sempre per coronare l'obiettivo, gruppi di «studenti» mandati a fare ricerca grazie a rapporti di collaborazione con centri europei. Una missione sacra benedetta dalla guida, lo scaltro Ali Khamenei, il maestro della scena politica sorretto dai pasdaran, potenza militare ed economica del Paese. All'esterno, i rivali dell'Iran hanno picchiato duro. Nel 2005 la Cia ha lanciato la campagna «The brain drain» per prosciugare di «cervelli» l'Iran. Una manovra creata al fine di favorire la diserzione di scienziati o alti ufficiali. Alcuni sono svaniti nel nulla come il generale Ali Reza Asgari, visto per l'ultima volta nel 2007 in Turchia. Era sparito anche Shahram Amiri, nel 2009, in occasione di un pellegrinaggio alla Mecca. E' riapparso un anno dopo negli Usa ed ha chiesto aiuto all'ambasciata pachistana a Washington. Pentito della sua fuga, è riuscito a tornare a Teheran. Lo hanno accolto con ghirlande di fiori, poi lo avrebbero messo in prigione per tradimento. Destino peggiore quello di numerosi tecnici eliminati in Iran a partire dal 2010 da team di killer, probabilmente operativi ingaggiati dal Mossad israeliano. Omicidi mirati per spaventare chi era coinvolto nel programma atomico. Scienziati fatti fuori con cariche magnetiche piazzate sulle loro auto. Più misteriosi i decessi dei colleghi russi. Uno caduto durante una passeggiata in montagna a Bushehr (novembre 2008), un secondo trovato senza vita in un hotel di Malta. Vittime di incidenti o —come sospettano molti — della guerra segreta attribuita ad Israele e agli Usa, condotta con sabotaggi, bombe, sicari e virus cibernetici capaci di infettare i sistemi di controllo. Colpi pesanti ai quali Teheran ha reagito sponsorizzando attentati dalla Thailandia alla Bulgaria. Instancabile, Israele ha continuato a denunciare il pericolo Iran con paure antiche e vicine, evocando il tradimento di Monaco 1938 davanti ai nazisti e segnalando come imminente il punto di non ritorno: celebre lo show del premier Netanyahu all'Onu con il disegno della bomba e la linea rossa. Un martellamento accompagnato dalla promessa di un blitz per fermare i piani dei mullah. Il messaggio è stato colto all'Ovest, ma a Washington hanno deciso che per il bastone c'è sempre tempo ed è meglio provare con la carota. Sotto il primo mandato di Obama, gli Usa hanno schiacciato sul pedale delle sanzioni, inviato la flotta, mobilitato l'intelligence, spedito droni sui cieli dell'Iran. E ne hanno perso diversi, compreso il sofisticato «Sentinel» caduto o dirottato a terra. La pressione — sottolineano — ha spinto Teheran a trattare. Israele e sauditi non hanno gradito.

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