Lo scandalo Unesco continua, ormai l'agenzia Onu è soltanto più un megafono della propaganda palestinese. Sul GIORNALE di oggi, 09/11/2013, a pag.15, la cronaca di Roberto Fabbri, con il titolo "Boicottano l'Unesco: stop al diritto di voto per Stati Uniti e Israele".
Da ieri gli Stati Uniti e Israele non hanno più diritto di voto all’Unesco. Non è la realizzazione del sogno di Hamas o di qualche partito dell’estrema sinistra nostrana. Piuttosto è la logica conseguenza di un processo avviato due anni fa, quando la Palestina fu accolta come membro a pieno titolo dell’agenzia dell’Onu per la protezione della scienza e della cultura.
L’ammissione del territorio autonomo palestinese rappresentò infatti un caso inedito di forte significato simbolico, incoraggiando il suo leaderpolitico Abu Mazen a chiedere come automatica conseguenza il suo ingresso a tutti gli effetti anche alle Nazioni Unite.
Quel passo in più non riuscì, ma il voto a suo modo storico dell’Unesco nel 2011 spinse Israele a parlare di «una tragedia » e gli Stati Uniti a bloccare i fondi per l’istituzione internazionale.
Fondi tra l’altro assai cospicui, dal momento che coprono (ma meglio sarebbe dire: coprivano) poco meno di un quarto del totale corrisposto da tutti gli Stati membri.
Ciò che è accaduto ieri è stato in pratica l’inevitabile e del tutto prevista conseguenza di un’azione di protesta. Ieri infatti scadeva il tempo limite concesso agli Stati Uniti per giustificare il mancato pagamento della quota di adesione negli ultimi due anni e presentare un piano di rientro del debito. Scadenza che Washington ( così come Gerusalemme) volontariamente ha ignorato, mettendosi automaticamente fuori.
Negli Stati Uniti esiste fin dagli anni Novanta una legge specifica, approvata proprio a garanzia dell’alleato israeliano, che vieta il finanziamento di agenzie dell’Onu che ammettono la Palestina come membro a pieno titolo. Ciò lascia poca scelta al presidente Obama, che pure considera l’Unesco un’organizzazione di interesse strategico: è per questa ragione che i rappresentanti americani all’Unesco avevano subito parlato di una «decisione inaccettabile » . Esistono, aveva dichiarato allora la portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland, «linee rosse molto chiare nella legislazione, e se vengono superate nell’Unesco tale legislazione viene attivata ». D’altra parte Washington era rientrata nell’agenzia culturale dell’Onu solo nel 2003, ponendo fine a quasi vent’anni di boicottaggio inaugurati da Ronald Reagan che aveva tratto le conseguenze della «crescente disparità tra la nostra politica estera e gli obiettivi dell’Unesco ». La storia delle incomprensioni tra gli Stati Uniti e l’agenzia con sede a Parigi ha dunque radici antiche.
All’Unesco, due anni fa, i voti contrari all’ingresso della Palestina erano stati solo 14 a fronte di ben 107 favorevoli e di 52 astenuti. Oltre agli Stati Uniti avevano tra gli altri votato contro la Germania e il Canada; tra i favorevoli c’erano stati la Francia, la Cina e l’India oltre alla quasi totalità dei Paesi arabi, africani e latinoamericani; tra gli astenuti si era registrata anche l’Italia, il che aveva suscitato accese polemiche politiche a Roma, considerato che per anni i governi guidati da Silvio Berlusconi avevano mantenuto relazioni eccellenti con Israele.
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