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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Giornale Rassegna Stampa
09.11.2013 Scandalo Unesco: Usa e Israele si ribellano
E' solo più una agenzia di propaganda palestinese

Testata: Il Giornale
Data: 09 novembre 2013
Pagina: 15
Autore: Roberto Fabbri
Titolo: «Boicottano l'Unesco: stop al diritto di voto per Stati Uniti e Israele»

Lo scandalo Unesco continua, ormai l'agenzia Onu è soltanto più un megafono della propaganda palestinese. Sul GIORNALE di oggi, 09/11/2013, a pag.15, la cronaca di Roberto Fabbri, con il titolo "Boicottano l'Unesco: stop al diritto di voto per Stati Uniti e Israele".

Da ieri gli Stati Uniti e Isr­ae­le non hanno più diritto di vo­to all’Unesco. Non è la realiz­zazione del sogno di Hamas o di qualche partito dell’estre­ma sinistra nostrana. Piutto­sto è la logica conseguenza di un processo avviato due anni fa, quando la Palestina fu ac­colta come membro a pieno ti­tolo dell’agenzia dell’Onu per la protezione della scien­za e della cultura.
L’ammissione del territorio autonomo palestinese rap­presentò infatti un caso inedi­to di forte significato simboli­co, incoraggiando il suo lea­der­politico Abu Mazen a chie­dere come automatica conse­guenza il suo ingresso a tutti gli effetti anche alle Nazioni Unite.
Quel passo in più non riu­scì, ma il voto a suo modo stori­co dell’Unesco nel 2011 spin­se Israele a parlare di «una tra­gedia » e gli Stati Uniti a blocca­re i fondi per l’istituzione in­ternazionale.
Fondi tra l’altro assai cospi­cui, dal momento che copro­no (ma meglio sarebbe dire: coprivano) poco meno di un quarto del totale corrisposto da tutti gli Stati membri.
Ciò che è accaduto ieri è sta­to in pratica l’inevitabile e del tutto prevista conseguenza di un’azione di protesta. Ieri in­fatti
scadeva il tempo limite concesso agli Stati Uniti per giustificare il mancato paga­mento della quota di adesio­ne negli ultimi due anni e pre­sentare un piano di rientro del debito. Scadenza che Washington ( così come Geru­salemme) volontariamente ha ignorato, mettendosi auto­maticamente fuori.
Negli Stati Uniti esiste fin da­gli anni Novanta una legge specifica, approvata proprio
a garanzia dell’alleato israe­liano, che vieta il finanzia­mento di agenzie dell’Onu che ammettono la Palestina come membro a pieno titolo. Ciò lascia poca scelta al presi­dente Obama, che pure consi­dera l’Unesco un’organizza­zione di interesse strategico: è per questa ragione che i rap­presentanti americani al­l’Unesco avevano subito par­lato di una «decisione inaccet­tabile » . Esistono, aveva dichiarato allora la portavoce del Diparti­mento di Stato Victoria Nu­land, «linee rosse molto chia­re nella legislazione, e se ven­gono superate nell’Unesco ta­le legislazione viene attiva­ta ». D’altra parte Washington era rientrata nell’agenzia cul­turale dell’Onu solo nel 2003, ponendo fine a quasi vent’an­ni di boicottaggio inaugurati da Ronald Reagan che aveva tratto le conseguenze della «crescente disparità tra la no­stra politi­ca estera e gli obietti­vi dell’Une­sco ». La sto­ria delle in­compren­sioni tra gli Stati Uniti e l’agenzia con sede a Parigi ha dunque ra­dici anti­che.
All’Une­sco, due an­ni fa, i voti contrari al­l’ingresso
della Pale­stina erano stati solo 14 a fronte di ben 107 favorevoli e di 52 aste­nuti. Oltre agli Stati Uniti ave­vano tra gli altri votato contro la Germania e il Canada; tra i favorevoli c’erano stati la Francia, la Cina e l’India oltre alla quasi totalità dei Paesi arabi, africani e latinoameri­cani; tra gli astenuti si era regi­strata anche l’Italia, il che ave­va suscitato accese polemi­che politiche a Roma, consi­derato che per anni i governi guidati da Silvio Berlusconi avevano mantenuto relazioni eccellenti con Israele.
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