Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/11/2013, in prima pagina, l'editoriale di Sergio Romano dal titolo " Chi può temere la pace iraniana ".
a destra, Sergio Romano e Neville Chamberlain
L' editoriale in prima pagina è abitualmente espressione della linea del giornale. Ne deduciamo, quindi, che il Corriere della Sera condivide i giudizi espressi da Romano sulla necessitàdi avere con l'iran di Rohani un rapporto più che amichevole. Dall'oltretomba Neville Chamberlain applaude.
Iran : " Fidatevi di noi ".
Ecco il pezzo:
Sullo stato reale delle trattative fra l’Iran e i «Cinque più uno» (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza e la Germania) non sappiamo quasi niente. Le ultime dichiarazioni ufficiali sono generalmente vaghe e accompagnate dai soliti caveat con cui un buon negoziatore attenua in una frase quello che ha appena affermato nella frase precedente. Persino le parole pronunciate domenica scorsa dal Leader supremo, l’Ayatollah Khamenei, possono essere lette e interpretate in modi totalmente diversi. Ma sembra ormai chiaro che tutti i Paesi coinvolti vogliano creare intorno alle trattative un clima di reciproca fiducia e di benevole aspettative. Non esiste ancora un accordo, ma esiste il desiderio di evitare che tutto finisca rapidamente su un binario morto. I due principali negoziatori — Teheran e Washington — sembrano avere capito che questo nuovo esercizio diplomatico non può correre il rischio di trasformarsi in una trattativa infinita. O si arriva abbastanza rapidamente a qualche concreto risultato o la mancanza di una intesa, in queste particolari circostanze, equivarrebbe al fallimento: una prospettiva che non sembra piacere né a Barack Obama né a Hassan Rouhani. Il segnale più promettente sarebbe un alleggerimento delle sanzioni (vi sono 50 miliardi di dollari, da qualche parte nel mondo, che l’Iran non riesce a incassare) contro una temporanea sospensione del programma nucleare di Teheran. Il negoziato, da quel momento, diverrebbe più disteso e promettente.
Esiste un altro fattore che sembra confermare, indirettamente, la possibilità di un accordo: il malumore di coloro che lo considerano come una minaccia ai loro interessi. È preoccupata l’Arabia Saudita che vede nel grande Stato sciita un potenziale nemico e già tratta gli Stati Uniti, da qualche settimana, con ostentata freddezza. Sono preoccupati i piccoli regni sunniti della regione, dove vivono forti comunità sciite di cui l’Iran diverrebbe il protettore. È preoccupato Israele che non smette di lanciare ammonimenti sulla pericolosità e l’inaffidabilità del regime iraniano. Ed è rabbiosamente ostile negli Stati Uniti una parte influente del partito repubblicano. Non è altrettanto preoccupata invece l’Unione europea per cui un accordo con l’Iran sarebbe il solo segnale di pace proveniente da una regione in cui soffiano, dalla Siria al Pakistan, soltanto venti di guerra.
Se mai verrà raggiunto, l’accordo cambierebbe la carta politica del Grande Medio Oriente. L’Iran diverrebbe una legittima potenza regionale, ufficialmente riconosciuta e rispettata. Avrebbe un posto al tavolo dei negoziati sulla Siria e diverrebbe un interlocutore necessario nelle questioni che concernono l’Afghanistan, l’Iraq, il Libano, alcune vecchie repubbliche sovietiche del Caspio e del Caucaso. Non sappiamo se agirebbe responsabilmente, ma Barack Obama sembra disposto a riporre in Rouhani una certa fiducia. L’accordo, d’altro canto, segnalerebbe una svolta della politica estera americana. Confermerebbe che gli Stati Uniti, dopo le brutte esperienze dell’ultimo decennio, non vogliono essere il gendarme del mondo e che il loro patto di ferro con i sauditi non è più indispensabile (anche grazie alle rocce scistiche, che contengono depositi di gas più vicini alla superficie terrestre, resi accessibili dalle nuove tecnologie). Forse è arrivato il momento in cui gli alleati europei degli Stati Uniti dovrebbero cominciare a interrogarsi sul modo di badare a se stessi quando l’America avrà meno bisogno della Nato o la userà soltanto se le sarà utile.
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