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La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
04.11.2013 Iran: le 'aperture' non servono, il piano nucleare continua
commenti di Maurizio Molinari, Guido Olimpio, Vanna Vannuccini

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Guido Olimpio - Vanna Vannuccini
Titolo: «I paletti di Khamenei sul nucleare - Khamenei 'pessimista' sul nucleare e intanto si scaglia contro Israele - 'Morte all’America', lo slogan che divide Teheran»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/11/2013, a pag. 1-12, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " I paletti di Khamenei sul nucleare  ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Khamenei «pessimista» sul nucleare e intanto si scaglia contro Israele ". Da REPUBBLICA, a pag. 38, l'articolo di Vanna Vannuccini dal titolo " 'Morte all’America', lo slogan che divide Teheran ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " I paletti di Khamenei sul nucleare "


Maurizio Molinari,     Ali Khamenei

È braccio di ferro a Teheran sull’approccio al negoziato sul nucleare che riprende giovedì a Ginevra. Il Leader Supremo Alì Khamenei impone quattro «linee rosse» per frenare le aperture del presidente Hasan Rohani, che reagisce minacciando di far svolgere un sondaggio d’opinione nazionale sulle relazioni con gli Stati Uniti.
Le quattro condizioni di Khamenei a Rohani hanno l’evidente intento di scongiurare significative concessioni alla comunità internazionale che chiede il blocco del programma nucleare sulla base di sei risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. A descrivere le «linee rosse» di Khamenei sono sue decisioni, dichiarazioni e mosse compiute nelle ultime settimane in merito a quattro aspetti. Primo: rifiutare la chiusura dell’impianto sotterraneo di Qom per l’arricchimento dell’uranio. Secondo: rifiutare di portare il livello di arricchimento dell’uranio sotto il limite del 5 per cento. Terzo: non abbandonare la costruzione del reattore ad acqua pesante di Arak ovvero la strada che può portare a produrre il plutonio necessario per un’arma atomica. Quarto: non impegnarsi a ratificare il Protocollo Addizionale dell’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea) che Teheran firmò dieci anni fa ma da allora il Parlamento iraniano non ha mai reso operativo.
Quest’ultima «linea rossa» lascia intendere la contrarietà di Khamenei a consentire all’Aiea ispezioni senza ostacoli negli impianti più protetti dal segreto, come ad esempio quello di Parchin indicato dalla stessa Agenzia dell’Onu come un sito sospettato di aver ospitato test militari. Il rifiuto di scendere sotto il livello del 5 per cento dell’arricchimento si spiega invece con l’avvenuta installazione da parte dell’Iran delle nuove centrifughe IR-2m, teoricamente capaci di portare l’uranio dal 5 per cento a livelli militari nell’arco di poche settimane.
Tali pressioni di Khamenei stanno sollevando forti preoccupazioni nelle capitali, occidentali e non, più attente al negoziato. Alcuni memorandum di intelligence descrivono con dovizia di particolari le mosse di Khamenei. Se a ciò si aggiunge che, in occasione del precedente incontro di Ginevra, Khamenei si era detto contrario all’ipotesi di trasferire all’estero l’uranio arricchito al 20 per cento, non è difficile arrivare alla conclusione che il Leader Supremo vuole limitare al massimo le concessioni al Gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia più Germania) con cui il ministro degli Esteri Javad Zarif tornerà a incontrarsi giovedì nella città svizzera.
A premere su Zarif, e quindi su Rohani, sono in particolare due stretti consiglieri di Khamenei: il ministro della Difesa Hossein Daghan e il capo del Consiglio supremo di sicurezza nazionale, Ali Shamkhani, entrambi espressione delle Guardie della Rivoluzione responsabili di protezione e sviluppo del programma nucleare. Sono tali pressioni su Rohani a spiegare l’odierna giornata di proteste anti-Usa - indetta a Teheran nell’anniversario del sequestro di diplomatici americani durante la rivoluzione del 1979 - che proprio Khamenei ha avallato definendo ieri le sedi diplomatiche Usa come dei «covi di spie», tracciando una continuità fra quanto avvenne allora e le polemiche sullo spionaggio della National Security Agency.
Lo stesso Khamenei ha descritto l’America come «un bastardo che sorride» rinnovando i dubbi sull’eccessiva apertura di Rohani nei confronti di Obama. Per resistere a tali pressioni Rohani si è detto favorevole a indire un sondaggio sui rapporti con gli Usa con una mossa a sorpresa da molti attribuita al suo alleato, l’ex presidente Rafsanjani, che potrebbe far emergere un sentimento popolare affatto ostile all’America. Khamenei vuole comunque restare in bilico fra gli opposti campi: da qui la scelta di chiedere agli avversari di Rohani di sostenere i negoziati «perché non comportano compromessi». «Non sono ottimista - ha aggiunto il Leader Supremo - ma non credo che subiremo delle perdite». Anche perché Rohani difficilmente potrà superare le «linee rosse».
Per Ehsan Ahrari, analista strategico di base in Virginia, «Rohani sa di essere stretto fra le contrapposte pressioni di Khamenei e dell’Occidente, per questo ha voluto subito il secondo round». Come dire, la finestra di opportunità per un accordo è assai stretta. Da qui il monito di Dennis Ross, ex consigliere di Obama sull’Iran: «Un cattivo accordo sarebbe peggio di nessun accordo».

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Khamenei «pessimista» sul nucleare e intanto si scaglia contro Israele "


Guido Olimpio    Ali Khamenei : " Israele è uno Stato illegittimo e bastardo"

Quello che dice il presidente iraniano Hassan Rouhani è importante. Dunque aperture, segnali, volontà di cambiare vanno ascoltate con grande attenzione. Però è ancora più importante quello che dice Alì Khamenei. Guida spirituale e grande burattinaio della politica a Teheran. Un suo intervento può fermare sul nascere qualsiasi svolta. Invece, fino ad ora, ha lasciato fare, anzi lo ha incoraggiato. Anche perché l’Iran, con l’economia in bilico, non ha altra scelta. E se vuole veder ridotte le sanzioni deve essere pronto a fare concessioni. Concrete e verificabili. Il custode dell’ortodossia khomeinista ha parlato ieri sulla complessa trattiva con l’Occidente e la questione nucleare. Un intervento bilanciato. Da una parte nessuno stop ai contatti, dall’altra qualche monito per dimostrare che il fuoco è sempre vivo. Un discorso pronunciato alla vigilia di una data storica per l’intera Repubblica Islamica. L’anniversario dell’occupazione dell’ambasciata Usa, 4 novembre 1979, il famoso «nido di spie» occupato dagli «studenti». Khamenei si è detto «non ottimista» sulla trattativa con «il nemico che sorride», però la strada va esplorata. In caso di fallimento — ha aggiunto — «non avremo nessuna perdita e questa esperienza aumenterà il potenziale di iniziativa della nostra nazione». Poi un passo significativo. L’avvertimento severo all’ala più estrema, sospettosa e adirata per i colloqui avviati da Rouhani con gli Stati Uniti: «I negoziatori sono nostri figli e della rivoluzione». Per la Guida sarebbe un errore indebolirli in una fase così delicata. Immutabile, invece, la retorica di Khamenei contro Israele: «Quello sionista è uno Stato illegittimo e bastardo verso il quale gli americani sono troppo indulgenti».

La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : " 'Morte all’America', lo slogan che divide Teheran "


Vanna Vannuccini  Ali Khamenei, lezioni di teocrazia: "Voi votate, Dio decide"

Non condividiamo la visione ottimistica di Vannuccini sul futuro dell'Iran. Non è cambiato niente rispetto alla presidenza di Ahmadinejad. E' sempre Khamenei a decidere, e le sue dichiarazioni contro Israele non lasciano spazio a nessuna interpretazione positiva.

Sono passati 34 anni da quando un gruppo di studenti rivoluzionari fece irruzione nell’ambasciata americana a Teheran, “il covo di spie” come veniva chiamata (e di fatto lo era, o lo era stata), e tenne il personale in ostaggio per 444 giorni; ma in Iran i cartelloni con gli slogan “morte all’America” e “abbasso gli Usa” hanno continuato a coprire i muri della capitale e fiancheggiare le autostrade, e molti camion ancora sventolano bandierine dove la Statua della Libertà ha un teschio al posto del viso. Fino a qualche anno fa la bandiera americana era addirittura dipinta per terra all’ingresso di alberghi e moschee in modo che chi vi entrava fosse obbligato a calpestarla. E ogni 4 novembre i pasdaran organizzano una grande manifestazione di fronte all’ex ambasciata trasformata in museo da quandol’Iran non ha più rapporti diplomatici con gli Usa.
Ma il presidente Rouhani ha cambiato direzione e lo ha dimostrato la sua telefonata con Obama, la prima da 34 anni di un presidente iraniano con un presidente americano. Il suo governo, ha detto Rouhani all’Onu , vuole migliorare le relazioni con gli Stati Uniti e l’Occidente: né capitolazioni né conflitti ma una costruttiva e efficace reciprocità nei rapporti col mondo. In pochi mesi anche i cartelloni antiamericani sono stati rimossi dalle strade della capitale.
Ma gli ultraconservatori sono in allarme, e i pasdaran temono, se i rapporti di Teheran con gli Stati Uniti si normalizzeranno, di venir messi da parte e privati dei loro redditizi business. Così hanno deciso di reagire: oggi sfileranno all’insegna del loro slogan, in barba a tutti quelli che vorrebbero abolirlo. E hanno tappezzato con nuovi cartelloni denominati “onestà americana” le strade di Teheran: vi si vedono un negoziatore iraniano e uno americano l’uno di fronte all’altro, ma l’americano sotto la giacca da civile porta stivali e pantaloni militari e sulle ginocchia sotto il tavolo tiene un fucile. Il messaggio è evidente: anche quando fingono di ricorrere alla diplomazia, gli americani restano decisi all’attacco militare. Il giornaleKeyhan, capofila degli ultrà, ha lanciato un “festival Morte all’America”, dove verràpremiato il migliore cartellone antiamericano. La prova di forza è annunciata per oggi, 4 novembre.
Ma alla vigilia il Leader Supremo Khamenei, che aveva definitoil nuovo corso diplomatico una prova di “eroica flessibilità”, ha dato una nuova indicazione del suo sostegno a Rouhani: «Nessuno deve indebolire i negoziatori ha detto con un messaggio diretto ai falchi - hanno una missione difficile e nessuno deve considerare la diplomazia un cedimento al compromesso». Il leader supremo ha detto però di non essere ottimista sull’esito dei negoziati: «l’America è legata alla pressioni dei regime sionista» ha spiegato, reiterando verso Israe-le la definizione di governo «illegittimo e bastardo». Con un riferimento ironico alle attività spionistiche dell’agenzia americana Nsa Khamenei ha poi dato ragione a chi grida a Teheran “Morte all’America”: «Gli studenti che assaltarono il covo di spie dimostrarono di essere in anticipo sui tempi!», ha detto.
Nella Repubblica islamica l’anti- americanismo, insieme alvelayt- e fahiq (il potere assoluto del Leader supremo), è stato per tre decenni un punto nevralgico che tocca l’identità rivoluzionaria. Non a caso il presidente riformatore Khatami 17 anni fa fu duramente attaccato quando condannò i roghi delle bandiere americane e chiese scusa per l’assalto all’ambasciata. Chi allora fece un sondaggio per dimostrare che la maggioranza degli iraniani voleva un riavvicinamento agli Stati Uniti venne arrestato con l’accusa di spionaggio. Nei giorni scorsi invece è stato lo stesso Rouhani a ordinare un sondaggio sulla sua politica di dialogo con gli StatiUniti e più del 70% degli iraniani ha risposto sì. La differenza rispetto a 17 anni fa è che oggi Khamenei si è convinto che il sistema islamico ha bisogno di uscire dall’isolamento per non implodere. Anche prima della rivoluzione l’anti-americanismo era stato in un certo senso il collante dell’opposizione contro lo scià: tutti, borghesi e comunisti, nazionalisti e khomeinisti rimproveravano agli americani non solo il mai dimenticato golpe della Cia contro Mossadeq ma anche un comportamento da colonialisti che s’infischiavano delle leggi locali, da occupanti che passavano avanti perfino nelle file al cinema. Paradossalmente però gli iraniani sono rimasti sempre anche grandi ammiratori dell’America, di cui imitano lo stile di vita, il cinema, gli arredi delle case e anche i McDonald’s.

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