Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/11/2013, con il titolo " Il Medio Oriente deve ripartire dalla fiducia " l'intervista di Alain Elkann con il principe giordano Hassan bin Talal.
Hassan bin Talal Alain Elkann
Sono andato a visitare Sua Altezza Reale, il principe Hassan bin Talal, a casa sua, nel palazzo di Amman, dove vive con la moglie. Con me c'erano l'ambasciatore italiano Patrizio Fondi e Jacqueline Beaurang. Nella sala d'ingresso spiccano le citazioni manoscritte dei versetti del Corano che Sua Altezza scrive ogni volta che torna a casa da uno dei suoi tanti viaggi. Il suo studio è in una piccola stanza accanto alla biblioteca. Siede su un divano vicino al telefono, noi ci sediamo nelle poltrone. Non vi è alcun protocollo. Sua Altezza indossa un abito grigio su misura e una camicia azzurro pallido. Un maggiordomo nero arriva con un vassoio di limonata e succo di melograno. Il principe è in procinto di partire per il Marocco, dove riceverà un premio perla sua attività di lunga data in favore della pace, per aver cercato con il suo carisma, la sua cultura e la sua fede di creare ponti fra le diverse religioni e gli interessi politici della sua regione. II principe Hassan ha amici e seguaci in tutto il mondo e svolge per il suo Paese e per suo nipote, re Addallah, il ruolo di ambasciatore culturale. Parla un inglese fluente, l'ha imparato dalla bambinaia inglese e poi a Oxford, dove ha studiato al Christ Church College. II Principe ci parla del suo Paese. «In Giordania vivono otto milioni e mezzo di persone, tra cui un milione di profughi siriani. Se vogliamo ragionare per categorie, nel mondo arabo ci sono Paesi produttori di petrolio, come gli Emirati del Golfo, Paesi che vorrebbero essere produttori, come lo Yemen, ma non hanno acqua, e Paesi come la Giordania e l'Egitto, che importano petrolio. Purtroppo mancano conoscenza e disciplina. Se vogliamo una ricetta per il Medio Oriente, non ci si può limitare a israeliani e palestinesi». E allora qual è il punto? «La fiducia. Oggi non c'è fiducia, manca in tutta l'area, e potrà esserci solo se siamo in grado di gestire la guerra al terrorismo, riconoscendo che si tratta di un confronto di valori. Quelli degli estremisti hanno messo gli arabi gli uni contro gli altri e gli ebrei contro gli arabi. Le politiche degli estremisti sono una tragedia». Ma che cosa sta accadendo in Siria? «E' un Paese diviso in minoranze e con *** risorse scarse. Nel 2030, 45 milioni di iraniani non avranno acqua. C'è, però, acqua nel Sinai e nel deserto del Sahara e l'unica scoperta recente è il cosiddetto gas israeliano. I russi, intanto, continueranno a rifornire l'Europa e Israele vuole provare a passare per l'Estremo Oriente. In questa regione non ci sono infrastrutture che leghino produttori e consumatori. Non abbiamo energia idroelettrica e la frammentazione è destinata ad aumentare». Quali sono i principali problemi da risolvere? «In primo luogo la guerra al terrore: dovremmo trovare un nuovo spirito di collaborazione e assicurare la sicurezza e la dignità umana». Qual è il ruolo della Giordania? «Il ruolo di un punto centrale in grado di interagire. La chiamerò "neutralità positiva". I siriani chiamano i giordani "parassiti" e lo stesso dicono dei palestinesi. Ma né i palestinesi né i siriani che vivono in Giordania hanno intenzione di andare altrove. Ora abbiamo bisogno di una conferenza per stabilizzare la regione. II metodo dei negoziati tra Israele e Autorità Palestinese riflette solo il fallimento su scala più ampia della nostra regione, dall'Asia occidentale all'Africa del Nord-Ovest. La cooperazione su quasi tutte le questioni importanti è purtroppo assente, come nei negoziati di pace israelo-palestinesi. I loro vicini arabi sono esclusi dalla partecipazione. In cambio, ogni possibilità di un dialogo costruttivo si perde in minuzie. Cosi anche la crisi siriana è ridotta a una vicenda che riguarda le armi chimiche, mentre s'ignora ad arte la più vasta crisi politica e umanitaria». Allora, qual è la soluzione? «Dobbiamo andare oltre la nostra miopia e accettare di lavorare insieme, alla pari. Nella prospettiva di un futuro più armonioso per l'Asia occidentale e il Nord Africa non ci può essere agenda più degna dell'inclusione». E invece cosa succede in Egitto? «Sta per essere promulgata la nuova Costituzione. Penso che si dovrebbe trovare un compromesso: significa che probabilmente troveranno un uomo forte, ma non un militare, perché sarebbe come tornare indietro». In Giordania qual è la situazione dela famiglia reale? «Abbiamo molto lavoro da fare. Dobbiamo metterci nell'ordine d'idee che tutti quelli che vivono in questo Paese possano essere giordani. Dobbiamo riconoscere il pluralismo e credere nella giustizia sociale». E Israele? «Ho grande ammirazione per le persone: sono uomini d'azione, ma devono scendere dal piedistallo e sentirsi parte della regione. Abbiamo bisogno di una vera pace, non solo televisiva». E l'estremismo? «Sta passando dal fascismo al populismo. E un grande rischio in tutto il mondo». Nel complesso lei è pessimista? «Non posso permettermi di essere pessimista. Forse perché mi piace tanto vivere».
(traduzione di Carla Reschia)
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