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La Stampa Rassegna Stampa
30.10.2013 Iran: la dura repressione dei bahai
Analisi di Monica Perosino

Testata: La Stampa
Data: 30 ottobre 2013
Pagina: 15
Autore: Monica Perosino
Titolo: «Io, dimenticata in cella perchè sono bahai»

Sulla STAMPA di oggi, 30/10/2013. a pag.15, con il titolo " Io, dimenticata in cella perchè sono bahai", l'analisi di Monica Perosino.
Importante, perchè rivela la dura repressione degli iraniani di fede bahai, un aspetto totalmente ignorato dai media e -cosa ancora più grave- assente dai commenti di chi si ritiene 'esperto' di cose iraniane. Come con i palestinesi, meglio ignorare ciò che può compromettere l'immagine ufficiale.
Ma la pagina contiene anche due aspetti scorretti: il primo è il titolo, del tutto inadeguato quando poi si legge nel pezzo che una persona può venire condannata a molti anni di carcere solo perchè NON musulmana.
Il secondo è l'omissione di un aspetto importante, Israele è il paesescelto dai bahai per stabilirvi la loro sede mondiale, che si trova a Haifa. Evidentemente Israele è stato scelto perchè è un paese dove viene garantita a tutte le fedi la più totale libertà. Ci pare una dimenticanza notevole, certo, ricordarlo avrebbe dato a Israele quell'onore che troppo spesso non riceve. E questa è una abitudine dei nostri media.
Ecco  l'articolo:

Tempio e giardini Bahai a Haifa

Prigione di Evin, Iran

"Taraneh fiore mio, avevi 13 anni quando fui costretta ad abbandonarti». Fariba Kamalabadi, ha 51 anni, occhi scuri e melanconici, tre figli adolescenti e una condanna a vent'anni. Dopo cinque anni di comunicazioni censurate e colloqui sorvegliati, una preziosa, unica lettera alla figlia è riuscita a sfuggire ai controlli, affidata a una compagna di carcere liberata. «Taraneh fiore mio, alle sei del mattino eri pronta col grembiule per andare a scuola. Gli agenti fecero irruzione in casa nostra e mi portarono via con loro». Fariba Kamalabadi dovrà stare nel carcere di massima sicurezza di Teheran fino al 2028 per spionaggio, vilipendio alla religione e propaganda contro la Repubblica islamica dell'Iran.
In una parola: deve stare in carcere perché è bahai.
Lei, con gli altri sei membri del gruppo Yaran («Amici»), sono stati rinchiusi, senza un solo giorno di permesso, perché la loro religione richiama l'uguaglianza dei sessi, la compatibilità tra scienza e religione, e la relatività della verità (compresa la verità religiosa).
Soprattutto, la fede bahai prevede la scissione tra Stato e Chiesa. Che nella Repubblica islamica è già una contraddizione in termini. I bahai - se dichiarano la propria fede religiosa - sono ostracizzati: non possono studiare, lavorare per lo Stato e né dove sia previsto il contatto con il pubblico, dagli ospedali ai ristoranti. Sono impuri. Nonostante le aperture del nuovo seguaci Tanti sono i fedeli bahai in Iran, la minoranza religiosa più numerosa del Paese. Nel mondo i seguaci sono oltre 5 milioni presidente iraniano Rohani nei confronti delle minoranze i cambiamenti sembrano ancora da venire. Solo qualche giorno fa il relatore per i diritti umani in Iran diceva all'Onu che «la situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell'Iran continua a creare serie preoccupazioni e non dà segni di miglioramento - ha spiegato Ahmed Shaheed -. Continuano le discriminazione contro le donne e le minoranze etniche, e non si attenuano i limiti imposti alla libertà di espressione e associazione». Non solo: «Le minoranze religiose, come i bahai, i cristiani, i musulmani sunniti sono sempre più soggette a varie forme di discriminazione legale, come nell'impiego e nell'educazione, e sono spesso sottoposte a detenzioni, torture e maltrattamenti arbitrari».
Scrive ancora Fariba Kamalabadi: «33 anni fa, a seguito della rivoluzione culturale, fui privata dell'accesso all'università a causa della mia appartenenza religiosa. Da quell'anno tutti i giovani bahai sono stati privati di questo loro diritto. Quest'anno, con l'avvento del nuovo governo e nuovo clima politico con promesse allettanti sui diritti per tutti i cittadini, noi speravamo che tu potessi continuare a studiare in patria». Non è stato così, la figlia di Fariba, come tante altre iraniane, per studiare ha solo una strada: abbandonare il Paese. Come Darya, 21 anni, «scappata» in Italia - dove c'è una forte comunità bahai - per poter frequentare l'università. «In Iran ti lasciano vivere, e ti deve bastare. Se vuoi studiare non puoi. Ti fanno fare il test d'ingresso all'università, ma devi dichiarare la tua religione. Se sei bahai sei fuori. In Iran i giovani non possono decidere di essere quello che vogliono essere». Darya è venuta in Italia con Fatemeh, la sua migliore amica, musulmana: «Non ho paura, anche se dovrei - dice -. Sto solo studiando all'estero con un'amica. Penso che le differenze religiose non contino e che la vita, per i giovani dell'Iran, dovrebbe essere più facile»

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