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Il Foglio Rassegna Stampa
25.10.2013 Siria: dopo la 'linea rossa' di Obama, Assad continua impunito i massacri
commenti di James Miller, Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 25 ottobre 2013
Pagina: 3
Autore: James Miller - Daniele Raineri
Titolo: «Assad è impunito e attacca il suo popolo - Kerry è l’ultimo illuso sulla Conferenza di pace per la Siria»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 25/10/2013, a pag. 3, l'articolo di James Miller dal titolo " Assad è impunito e attacca il suo popolo ", l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Kerry è l’ultimo illuso sulla Conferenza di pace per la Siria ".
Ecco i pezzi:

James Miller - " Assad è impunito e attacca il suo popolo "


James Miller

Ecco, inizia la sinfonia notturna: bum bum, clang clang”. Il bombardamento può andare avanti per ore, un suono gutturale che dalla base dell’artiglieria di Bashar el Assad rimbomba su Damasco. Sono molti nella capitale siriana a raccontare la stessa cosa. Questa volta, la donna che mi descrive lo strepito non è il destinatario delle esplosioni. Ma molti dei suoi pazienti non sono così fortunati. Catherine (uno pseudonimo) lavora in una clinica diurna no profit che fornisce cure mediche a chi non potrebbe permettersele, soprattutto donne e bambini. Quella a cui assiste è la nuova realtà terrificante di Damasco. Circondati dalla guerra e tagliati fuori dalle periferie dai check point del governo, molti dei pazienti della clinica sono rifugiati scappati nella capitale per stare con le famiglie prima che la violenza raggiunga il suo massimo. Catherine sente quello che succede ad appena pochi chilometri di distanza da quelli che hanno ancora una famiglia fuori città, “e dai nuovi arrivati. Le famiglie dei lavoratori vivono soprattutto ai bordi della città e in piccoli villaggi. Un tempo andavo laggiù per visitare le famiglie”. Ora, però, Catherine e gli altri non possono uscire dalla città. La situazione appena fuori dal centro di Damasco è spaventosa. Moadamiyah, distante solo pochi chilometri a ovest dalla residenza del presidente siriano, è tagliata fuori dal resto del mondo da fuoco di artiglieria, cecchini, bombardamenti e check point del governo. Lì ci sono stati quattro casi documentati di bambini morti di fame, incapaci di fuggire dalla violenza e di trovare cibo in zona. A causa dei bombardamenti gli acquedotti sono stati distrutti, rendendo un bene prezioso anche l’acqua potabile. Negli ultimi giorni, il regime e i ribelli hanno cercato di concordare un cessate il fuoco per evacuare i civili. Questi sforzi hanno avuto risultati contrastanti. Il New York Times ha scritto sabato che il caos è aumentato, in quanto i civili che cercavano di fuggire dai sobborghi sono stati uccisi dai colpi di artiglieria. Ma come scrive il giornalista Michael Weiss nella sua accurata ricostruzione della situazione a Moadamiyah, anche quando i civili riescono a scappare le loro disgrazie non finiscono: “[La scorsa settimana] gli abitanti del posto sono riusciti a fare uscire da Moadamiyah circa 600 donne, anziani e bambini dopo che un cessate il fuoco era stato concordato con il regime. Sono stati portati a Qusaya, una cittadina presso Damasco completamente controllata dalle forze assadiste, e lì è successo l’inevitabile. Secondo Zakarya, il portavoce dei ribelli nella città: dieci bambini sono stati rapiti dagli agenti dell’intelligence e picchiati per estorcere loro informazioni sulla posizione dei combattenti delle Fsa e degli attivisti dentro Moadamiyah. ‘Quattro di questi bambini sono stati rilasciati nel giro di dieci ore e ci hanno raccontato quello che era successo’, ha detto Zakarya. ‘Altri sei sono ancora dispersi’. I cali energetici rendono difficile comunicare con chi è fuori dalla città. Zakarya ha detto che per ricaricare il suo cellulare, che stava usando per parlare con me, aveva montato le batterie della macchina e dello scooter per costruire un generatore artigianale”. Moadamiyah ha ricevuto molta attenzione dalla stampa, e lo scorso venerdì dei manifestanti nella città di Kafranbel, a nord del paese, hanno organizzato una protesta per attirare l’attenzione sulle morti per fame. Uno dei cartelli diceva, in inglese, “Come si può essere costretti a mangiare cani e gatti per sopravvivere?”. Un altro riprendeva la famosa fotografia scattata da Kevin Carter in Sudan, raffigurante un avvoltoio che aspetta di cibarsi di un bambino morente. Le cose vanno così male che Moadamiyah è diventato un grido di battaglia dell’opposizione, e un simbolo dell’indifferenza del mondo. Ma l’area colpita è oggi molto più grande di Moadamiyah. I bambini muoiono di fame in quasi tutto l’anello che circonda la capitale. Ci sono state morti confermate per fame anche nel sud della capitale, ad Hajira al Balad e Hajar al Aswad, e perfino a Douma nel nord-est. E sono tutte morti di bambini. Su YouTube ci sono video di altri bambini in condizioni disperate, pelle e ossa, sporchi, senza alcuna speranza che la situazione possa migliorare presto. Ormai a essere colpiti non sono soltanto i sobborghi di Damasco. Molti dei pazienti della clinica di Catherine vivono da rifugiati anche nel perimetro sotto il controllo di Assad. Quelli fortunati vivono con i parenti, ma non c’è lavoro, il prezzo del cibo è esploso, e le cliniche diurne come quella in cui Catherine lavora non possono ricoverare i pazienti la notte per assicurarsi che ricevano le cure di cui avrebbero bisogno. “Vivono nella città con i parenti, se ne hanno, in appartamenti in affitto con 4-5 famiglie per appartamento. Alcuni vivono nei parchi sotto gli alberi. Molti non hanno soldi ma non hanno nessun posto dove tornare”. La povertà e la malnutrizione ormai hanno reso comuni pidocchi, eczema, diarrea e polmonite. Molte persone hanno vestiti luridi perché non possono permettersi di comprare il detersivo e perché l’accesso all’acqua corrente è razionato. L’inverno sta arrivando, ma l’olio combustibile è diventato molto costoso, e anche se i rifugiati potessero permetterselo, in ogni caso non aiuterebbe molti di loro. “Quest’inverno sarà orribile per tanta gente. Non è possibile stare caldi in una tenda”. “Il latte per bambini un tempo costava 250 sterline siriane. Ora ne costa 1.250”, un aumento di cinque volte. Le lenticchie hanno raddoppiato o triplicato il loro prezzo, da 80 a 190-235 sterline. “Ma la maggior parte dei pazienti della clinica non ha lavoro, e in ogni caso non può comprare cibo”. Catherine è consapevole che la gente muore di fame nei sobborghi. Ma anche nella capitale ormai la situazione è disperata. Le donne portano i bambini nella clinica perché non possono provvedere nemmeno a loro stesse. Catherine dice che alcune donne pesano appena 33 chili. Poiché i pazienti non possono rimanere nella clinica, questa dà loro scorte alimentari, lenticchie, cibo per bambini e altri generi di conforto e li rimanda a casa. Ma del cibo si appropriano le mani sbagliate. Catherine dice che a volte i suoi pazienti vivono al confine della città, e di tanto in tanto ricevono l’autorizzazione per passare attraverso i check point del governo “da tutti i posti di cui si sente dire nelle news”, ma il loro cibo e le loro scorte sono confiscati dai soldati di Assad quando i pazienti cercano di tornare. Nella clinica a volte c’è la sensazione che i muri si stiano avvicinando. In molte occasioni i colpi di mortaio dei ribelli sono caduti abbastanza vicino alla clinica da spostare l’aria violentemente, spingere fumo e detriti attraverso le porte e far cadere i pazienti già indeboliti. Sempre più spesso le autobomba lasciano tutti sull’orlo del collasso. E il sentimento predominante che si vede in giro in questi giorni è la rassegnazione che le cose andranno sempre peggio. “Facciamo quello che possiamo”, scrive Catherine. “Ma comunque non possiamo fare niente per risolvere la situazione. Il tuo paese (gli Stati Uniti) avrebbe dovuto fare qualcosa… ma sembra che ormai non gli interessi”. Per quanto i lavoratori della clinica facciano del loro meglio, Catherine ha ragione. Loro sono le uniche bende per le ferite sanguinanti e sempre più grandi della Siria. La guerra intorno a Damasco non mostra segni di tregua, e fino a che non si fermerà, il numero dei bambini senza vita e smagriti continuerà a crescere e riempirà di un numero di punti sempre più grandi la mappa della Siria.

Daniele Raineri - " Kerry è l’ultimo illuso sulla Conferenza di pace per la Siria"


Daniele Raineri      John Kerry

Roma. Il segretario di stato John Kerry è rimasto il solo a premere per una Conferenza di pace di Ginevra due (per distinguerla dalla prima, nel giugno 2012) sulla Siria. Persino i suoi collaboratori di livello più alto dentro il dipartimento gli sono contro, scrive Yochi Dreazen sul sito di Foreign Policy. “L’unica persona a volere la conferenza di Ginevra è il segretario”, dice a Dreazen una fonte interna. “Chi si farà vedere a Ginevra? In rappresentanza di chi? Perché ci stiamo prendendo questo rischio?”. L’incontro di Ginevra era previsto per giugno, poi la data è stata spostata in avanti di settimana in settimana fino a perdersi – soprattutto dopo la strage con armi chimiche di agosto alla periferia di Damasco e la brevissima stagione delle minacce di intervento da parte dell’Amministrazione Obama. Ora se ne parla di nuovo per fine novembre, anche se non c’è ancora una data precisa. In teoria dovrebbero confrontarsi i rappresentanti dell’opposizione siriana che fanno capo alla Coalizione nazionale e i delegati del governo del presidente Bashar el Assad, assieme per la prima volta dall’inizio della crisi nel marzo 2011, assistiti da un ricco apparato di sponsor internazionali come gli Stati Uniti e la Russia. In realtà, i rappresentanti dell’opposizione siriana non rappresentano molto. Vivono fuori dalla Siria e litigano a vuoto per procedure e posti di potere, ma non possono parlare a nome della maggioranza dei combattenti dentro la Siria, che li disprezza e li chiama “i generali da hotel”. Nel nord della Siria 13 gruppi ribelli hanno firmato una dichiarazione in cui rifiutano di essere rappresentati o vincolati in qualsiasi modo alla Coalizione. A sud, stessa cosa, altri sessanta gruppi più piccoli hanno firmato una dichiarazione simile. Altri gruppi, come quelli di al Qaida che combattono sotto la bandiera dello “Stato islamico”, non fanno annunci di questo genere perché non è necessario, di sicuro non rispondono a un collettivo politico sponsorizzato dall’Amministrazione americana, piuttosto temono presto o tardi di essere bombardati con i droni. Come se non bastasse, i rappresentanti siriani chiedono come condizione della Conferenza di pace che Assad prometta di abbandonare il potere e lui non ci pensa nemmeno, pensa anzi alla (finta) elezione presidenziale del 2014 con cui spera di rafforzare la sua legittimità. La Coalizione non rappresenta e fa richieste impossibili e rischia anche – nel caso non ottenesse nulla – di infliggersi da sola il colpo di grazia. Se lasciasse Ginevra senza risultati concreti, che credibilità residua avrebbe? John Kerry sta passando queste settimane a tentare di convincere i rappresentanti siriani a partecipare e a compattarli in attesa di Ginevra. Ancora si culla nell’illusione che il patto con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, sia stato il preludio a un accordo più ampio che porti alla pace tra le due parti in guerra (si dice due per semplificare: il fronte di chi vuole Assad morto e il fronte di chi lo vuole al potere, entrambi contengono fazioni differenti tra loro). Secondo la visione di Kerry, così come l’ha descritta lui, il disarmo chimico doveva essere la fase uno e la Conferenza di Ginevra allargata la fase due. Le operazioni per individuare e smantellare gli arsenali di armi chimiche di Assad invece per ora hanno un corso autonomo e parallelo rispetto alla guerra: ci si continua ad ammazzare con i soliti metodi e i civili che non sono fuggiti sono presi nel mezzo. I funzionari del dipartimento di stato, e tra loro anche l’ex ambasciatore americano Robert Ford che si oppose con coraggio al governo di Assad quando ancora era in Siria, tentano di spiegare al segretario che è davvero difficile mettere assieme una delegazione credibile di siriani da presentare a Ginevra a metà novembre, ma per ora senza successo. Il negoziato è l’ultima carta rimasta a un’Amministrazione che non vuole intervenire direttamente e nemmeno vuole armare o appoggiare i ribelli per far cessare la guerra civile in Siria. In questo momento le chance di riuscita appaiono limitate.

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