C’è pace e pace
Commento di Federico Steinhaus
Federico Steinhaus
La pace fra Israele ed Egitto ha resistito a tutti gli scossoni terremoti e tsunami che hanno sconvolto la regione negli ultimi trenta e più anni, da quando cioè è stata firmata. E’ una non-guerra più che una pace, nel senso che apre le porte delle Piramidi e di Luxor ai volonterosi turisti israeliani ma le mantiene ben serrate per gli egiziani che vogliano ammirare, diciamo, il magnifico lungomare di Tel Aviv. E’ una pace passiva, che ha evitato il ripetersi delle disastrose guerre del passato ed ha bloccato le velleità revansciste della Siria, ed è una pace che ora, in maniera imprevedibile e sorprendente, schiaccia Hamas per motivi che con quella pace nulla hanno a che fare.
Tuttavia è anche una pace che non tocca i sentimenti delle persone. In Israele si guarda agli avvenimenti egiziani con diffidenza e timore, perché si è consapevoli che quella pace è sempre in bilico, pronta ad essere interpretata in funzione di interessi di parte che possono volerla abrogare; in Egitto lo stato d’animo è più di avversione che di accettazione, perché decenni di insegnamento dell’odio hanno dato i loro frutti avvelenati.
L’ultimo degli esempi è singolare quanto emblematico e sarebbe inspiegabile senza una visione complessiva che includa, appunto, il viscerale odio arabo per Israele.
Durante la seconda guerra mondiale un medico egiziano che viveva ed esercitava nella Berlino nazista, Mohammed Helmy, salvò degli ebrei a rischio della propria vita, e nel mese scorso Yad Vashem, il memoriale israeliano della Shoah, lo ha riconosciuto come “Giusto fra le nazioni”, un titolo che viene attribuito ai non ebrei che abbiano salvato la vita ad ebrei nel periodo più oscuro del ventesimo secolo. E’ il primo riconoscimento di questo tipo ad un arabo, ma Mervat Hassan, una egiziana che ha sposato il pronipote del medico (che è morto nel 1998), ha detto all’Associated Press che la famiglia rifiuta questo riconoscimento, perché proviene da Israele. Questa sessantaseienne egiziana afferma di rispettare gli ebrei e la religione ebraica, come del resto prescrive l’Islam (e se lo dice lei...), ma non accetta di includere Israele fra le cose che rispetta.
Questo episodio ci dice anche un’altra cosa: Israele viene ora percepito nel mondo islamico come uno stato “normale”, non come lo “stato nazionale del popolo ebraico”; in questo modo la dicotomia fra il rispetto per gli ebrei e l’odio per Israele trova una sua giustificazione. E’ una distinzione che solamente il terrorismo palestinese in particolare ed islamista in generale ha negato, colpendo gli ebrei in quanto tali, anche fuori dai confini israeliani. Le espulsioni degli ebrei dalle loro plurisecolari patrie arabe subito dopo la proclamazione dello stato d’Israele seguirono la medesima logica, condivisa del resto anche dalle persecuzioni staliniane in Unione Sovietica, ed identificarono ogni singolo ebreo come nemico e traditore. Ora che il fronte arabo è spaccato e per la maggior parte “judenrein” questa sovrapposizione automatica sembra che possa diluirsi in una visione meno grossolana e radicale.