Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/10/2013, a pag. 12, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Arabo fra i “giusti” d’Israele. La famiglia rifiuta il premio ".
Il certificato d'Onore di Mohamed Helmy
Il commento di IC al rifiuto della famiglia Helmy di ritirare l'onorificenza di Yad Vashem è contenuto nella Cartolina da Eurabia di Ugo Volli e nell'articolo di Federico Steinhaus, pubblicati in altre pagine della rassegna.
Segnaliamo, comunque, le ottime parole di chiusura dell'articolo "ancora oggi, nonostante la storia, la famiglia Helmy non fa onore al coraggio del dottor Mohamed".
Ecco il pezzo:
A 34 anni dagli accordi di Camp David la pancia degli egiziani non ha ancora metabolizzato la pace con il vicino sionista. Sotto Mubarak, nei giorni rivoluzionari di piazza Tahrir, durante la fugace presidenza Morsi come adesso nel mezzo della transizione guidata dall’esercito, tra interlocutori laureati ma anche tra persone semplici, basta nominare Israele perché la conversazione si congeli all’istante. Così quando alcuni giorni fa la famiglia Helmy ha ricevuto la notizia dell’onorificenza concessa dal museo dell’Olocausto di Gerusalemme al proprio defunto congiunto Mohamed, il primo arabo a essere riconosciuto dallo Yad Vashem «Giusto tra le Nazioni» per aver salvato la vita a una ragazza ebrea, ha declinato l’offerta. Troppo compromettente perfino dopo 70 anni.
A settembre il Museo dell’Olocausto aveva diffuso la storia di Mohamed Helmy, un medico egiziano che nel 1942, nella Berlino nazista, si era adoperato per proteggere la sua paziente 21enne, la madre, la nonna e il patrigno, risparmiando loro la deportazione. All’epoca Helmy non lavorava già più all’istituto statale Robert Koch, da cui era stato cacciato dal regime in quanto non ariano, ma proprio esercitando privatamente aveva potuto adattare lo studio a nascondiglio. Lo Schindler arabo morirà nel 1982 a poca distanza dalla sua protetta e dalla fidanzata tedesca Frieda Szturmann, anche lei nominata «Giusto tra le nazioni» per averlo aiutato.
«Saremmo stati felice di ricevere un’onorificenza alla memoria di Helmy da qualsiasi altro Paese» ammette all’Associated Press Mervat Hassan, moglie 66enne e velata del pronipote del dottore. Da Israele no. La donna, intervistata nella sua casa del Cairo, non nega il problema, nonostante Camp David le relazioni tra Egitto e Israele restano «ostili»: «Helmy non si occupava di una certa nazionalità, di una razza o di una religione, aiutava i suoi pazienti e basta». Evidentemente l’idea che oggi quella sua vocazione gli possa valere l’inclusione nella lista dei 25 mila coraggiosi di 44 Paesi celebrati da Israele metterebbe in imbarazzo gli eredi. Con la società in cui vivono, innanzitutto.
Finora a riportare la notizia sui media arabi era stato solo il quotidiano egiziano «Al Ahram». L’Olocausto resta un tabù nel mondo musulmano. Quando l’attore Omar Sharif ebbe una breve liason con la collega ebrea Barbra Streisand il Cairo minacciò di ritirargli il passaporto. Certo, allora Sadat e Begin non si erano ancora stretti la mano, ma ancora oggi, nonostante la storia, la famiglia Helmy non fa onore al coraggio del dottor Mohamed.
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