Il commento di Stefano Magni
Stefano Magni, giornalista de L'Opinione
Una settimana contraddistinta dalla memoria: il 70° anniversario della deportazione, per un brutto scherzo del destino è andato a coincidere con la morte del criminale nazista Erich Priebke, l’ufficiale delle SS responsabile della strage delle Fosse Ardeatine. Sempre negli stessi giorni c’è stata polemica sull’emendamento all’articolo 414 del codice penale, che introduce chiaramente il reato di negazionismo. Di fronte a tanta materia di discussione, quasi sono spariti, dagli occhi dell’opinione pubblica, i colloqui sul nucleare iraniano. Da cui, invece, dipende il futuro del Medio Oriente.
La morte di Erich Priebke, a 100 anni suonati, ha paradossalmente colto impreparate le autorità italiane, sia quelle civili che non volevano assumersi una responsabilità così grande quale il funerale e la sepoltura di un criminale nazista, sia quelle religiose che hanno negato al mai-pentito peccatore di avere esequie religiose. La salma di Priebke è dunque rimasta in sospeso, oggetto di una battaglia politica che pareva far tornare i tempi dell’immediato dopoguerra, mentre Germania (il Paese natale) e l’Argentina (il Paese che lo ospitò per mezzo secolo dopo la guerra) rifiutavano di veder tornare, anche da morto, un personaggio così scomodo. Solo ieri, a detta del legale di Priebke, è stata trovata una soluzione concordata. Una sepoltura in una località segreta. Né le autorità italiane, né quelle tedesche, per ora, vogliono confermare la presenza della salma sul proprio territorio. Come Bin Laden, buttato in mare in luogo ignoto, la tomba di Priebke non avrà la possibilità di diventare il luogo di pellegrinaggio dei nazisti dei giorni nostri. Contrariamente agli americani, che avevano già preso una decisione in anticipo su come trattare la salma più politicamente “esplosiva” della guerra al terrorismo, gli italiani hanno lasciato crescere la polemica per una settimana intera. Gli effetti sono potenzialmente devastanti.
Nei giorni dello scatenamento della polemica per la sepoltura di Priebke, ciascuno ha capitalizzato quanto poteva la propria immagine pubblica. La sinistra comunista, attaccando la salma, ha voluto far capire quanto il suo spirito resistenziale fosse ancora vivo. Ma le immagini di un carro funebre preso a calci e coperto con la bandiera falce-e-martello (indipendentemente da chi ci fosse dentro), sono state il maggior spot di reclutamento per l’estrema destra, almeno a giudicare dalle reazioni sui social network. Gli scismatici cattolici lefebvriani, che proprio in questa settimana hanno confermato la loro dichiarazione di guerra a Papa Francesco, pontefice “modernista”, hanno anche colto l’occasione della morte di Priebke per offrirsi loro a dargli sepoltura. In un momento in cui il Papa, con il suo dialogo coi laici, non sta affatto simpatico ai cattolici più tradizionalisti, i lefebvriani stanno conquistando i loro quindici minuti di celebrità. Saranno loro il prossimo veicolo del nazismo italiano? Sembrerebbe di sì, a giudicare dalle pagine Facebook in cui, un giorno si rende “onore al camerata Priebke” e il giorno dopo si attacca Papa Francesco dandogli dell’“Anti-Papa”. Ma la destra estrema sta risuscitando anche attraverso altri veicoli, oltre al tradizionalismo cattolico. L’esasperazione per la crisi economica più lunga della storia del Paese, una serie di odi viscerali (contro gli immigrati, contro il ministro Kyenge, contro gli omosessuali, contro la democrazia parlamentare, contro l’Europa, contro la Merkel, contro le banche, contro il “signoraggio”, contro i “poteri forti” della finanza, ovviamente ‘ebraica’ …), ma anche di amori irrazionali e contradditori (per il post-comunista Putin, per l’anti-comunista Orban, per i nazisti greci di Alba Dorata) stanno creando i presupposti per l’esplosione di una destra totalitaria e anti-semita, esattamente come nella prima metà del secolo scorso. Non ce ne rendiamo ancora conto, ma la morte di Priebke e le polemiche che ne sono seguite, hanno funzionato come richiamo alle armi per tutte le anime di questa nuova destra informe. Per ora solo sul Web. In futuro anche in politica?
In un contesto di resurrezione potenziale della destra nazista, ha senso l’introduzione del reato di negazionismo? Come rileva giustamente Fiamma Nirenstein, su Il Giornale, (“Il negazionismo non si combatte con il carcere”, 17 ottobre 2013) la legge avrà un effetto irrilevante. «Combattere il negazionismo da solo – scrive Nirenstein - non si può, è impossibile, se non si affronta di petto l’antisemitismo, cosa che vergognosamente l’Europa si rifiuta di fare. Ormai quasi la metà dei cittadini ebrei dei Paesi dell’Ue hanno ricevuto attacchi o minacce legati alla loro religione: il Vecchio Continente, se avesse un minimo di rispetto per se stesso, dovrebbe alzarsi in piedi e cacciare a pedate chi ripropone ciò che sul suo terreno ha creato il peggiore degli eventi della sua storia. Non lo fa, anzi nega il fenomeno: la Svezia si sta svuotando di ebrei, l’emigrazione ebraica in Francia è alta quanto non si era mai visto prima, in Inghilterra e nei Paesi Bassi cresce, e anche in questo nostro dolce Paese l’aria non è tanto buona». Che manchi completamente un’idea di cosa sia l’antisemitismo e di come lo si combatta, lo dimostra soprattutto la politica estera dei Paesi europei. Con troppa leggerezza è stato offerto un seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu all’Arabia Saudita. La monarchia di Riyadh vieta agli ebrei (indipendentemente dalla loro cittadinanza) di metter piede sul suo territorio. Qualche Paese europeo ha protestato per la nomina al massimo organismo Onu di un Paese dichiaratamente antisemita? I casi sono due: o la notizia non è mai stata diffusa, o nessuno ha protestato. Fortunatamente per noi, sono stati i sauditi a toglierci le castagne dal fuoco. Per protestare contro l’immobilismo sulla guerra in Siria, hanno rifiutato l’offerta del seggio non permanente.
Con ancor più leggerezza, l’Unione Europea ha riaperto con l’Iran il dialogo sul suo programma nucleare, abbassando l’asticella delle garanzie e delle concessioni richieste. Il messaggio della diplomazia europea, più ancora di quella americana, è: “non vediamo l’ora di rimuovere le sanzioni”. Il pretesto, come era prevedibile da tempo, è il cambio del presidente a Teheran. Hassan Rohani esprime esattamente gli stessi concetti di Ahmadinejad. Considera Israele una “ferita da mendare”, invece che “un tumore da rimuovere”, usa termini più edulcorati sulla Shoah, ammettendone almeno l’esistenza storica, ma non scendendo mai sul terreno del numero delle sue vittime, né il suo scopo (per la storiografia iraniana resta, infatti, un “pretesto” per l’“occupazione” ebraica del Medio Oriente). Questo agli europei, a quanto pare, basta e avanza per considerare Rohani un “moderato” e rilanciare il dialogo su basi più flessibili. Tuttavia, anche nel negoziato sul nucleare iraniano, potrebbe essere la controparte a toglierci le castagne dal fuoco. Infatti pare che la trattativa abbia già raggiunto la sua fase di stallo, stando a fonti diplomatiche della Reuters. Prima che iniziassero gli incontri di Ginevra, la Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Alì Khamenei, aveva ripreso duramente il presidente Rohani e il ministro degli Esteri Zarif. «Noi (Zarif e Rohani, ndr) pensavamo che i colloqui (con John Kerry, segretario di Stato americano, ndr) e la telefonata (con Barack Obama) fossero entro i limiti del nostro mandato – avrebbe spiegato Zarif a una commissione del Majlis, il parlamento di Teheran, così come è stato riportato dal quotidiano iraniano Kahyan – ma la spiegazione che abbiamo ricevuto dalla Guida Suprema (Khamenei, ndr) è di critica. La conversazione telefonica del dottor Rohani con Obama è stata, a suo dire, un primo passo falso e la mia lunga conversazione con John Kerry è stata considerata come un altro passo falso nel nostro viaggio diplomatico». Anche in questo caso, come per l’Arabia Saudita, solo l’intransigenza della controparte islamica impedirebbe il vero passo falso commesso dall’Occidente. Un errore di leggerezza, che permetterebbe al totalitarismo islamico di conquistare una posizione dominante all’Onu (nel caso dei sauditi) e di acquisire lo status di potenza nucleare (nel caso dell’Iran). Di fronte a questi pericoli, il sonno delle democrazie occidentali è sempre più profondo.