Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 18/10/2013, a pag. 12, l'articolo di Stefano Filippi dal titolo "Dal Papa ad Abu Mazen la penna della pace: «Ha molto da firmare» ".
Abu Mazen con Francesco I
Segnaliamo due imprecisioni nell'articolo. La prima, più vistosa e grossolana, è contenuta nella frase "secondo quanto riferiscono i media di Tel Aviv".
E' Gerusalemme la capitale di Israele, perciò i media israeliani non possono essere quelli di 'Tel Aviv'. Un errore nel quale il GIORNALE cade spesso.
Nella frase " A queste tre ipotetiche tappe (Israele, Libano, Giordania) se ne potrebbe aggiungere sorprendentemente una quarta.
Infatti, al termine dell’incontro di ieri, parlando con i giornalisti, Abu Mazen ha riferito di aver invitato il Papa in Terrasanta. ". Il termine 'Terrasanta' si riferisce a una zona geografica molto ampia, che non ricopre solo i territori amministrati dall'Anp. Riesce difficile credere che Abu Mazen abbia invitato il Papa a visitare luoghi che non sono sotto la sua amministrazione. Forse il termine 'Terrasanta' è uscito solo dai tasti del giornalista?
La stessa frase viene evidenziata in uno degli occhielli dell'articolo, come se fossero le testuali parole di Abu Mazen.
Ecco il pezzo:
Potenza dei segni. Papa Francesco regala una penna stilografica al presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen: un oggetto particolare, che riproduce una colonna tortile del baldacchino del Bernini sovrastante l’altare della Confessione in San Pietro. Bergoglio accompagna il gesto con poche parole: «Sicuramente lei deve firmare molte cose». Nel linguaggio della diplomazia, che il Pontefice gesuita dimostra di conoscere a fondo, vi si legge un riferimento neppure troppo velato alla ripresa dei negoziati con Israele. Abu Mazen non fa cadere l’occasione:«Spero di firmare con questa penna l’accordo di pace con Israele»,risponde. E il Papa: «Presto, presto! ». Il dialogo in Medio Oriente e una pace in tempi rapidi tra israeliani e palestinesi: il Papa ha strappato questo impegno al successore di Arafat. Quella penna dalla forma attorcigliata, contorta come la tragica storia dei rapporti tra i popoli mediorientali, è un sigillo sulla responsabilità assunta dai palestinesi di chiudere la stagione dei conflitti. Una pace che il Vaticano cerca di favorire e di cui vuole farsi garante. Giovedì prossimo, 23 ottobre, toccherà al premier israeliano Benyamin Netanyahu essere ricevuto in udienza da Papa Francesco, secondo quanto riferiscono i media di Tel Aviv.
In questo contesto si torna a parlare di un prossimo viaggio di Jorge Mario Bergoglio nelle tormentate regioni a est del Mediterraneo. La stampa libanese dà per certa una visita del Papa nella terra dei cedri per aprile, mentre secondo altre voci i vescovi della Giordania avrebbero raccolto l’intenzione del Pontefice di visitare i campi profughi al confine tra Israele e Libano. A queste tre ipotetiche tappe (Israele, Libano, Giordania) se ne potrebbe aggiungere sorprendentemente una quarta.
Infatti, al termine dell’incontro di ieri, parlando con i giornalisti, Abu Mazen ha riferito di aver invitato il Papa in Terrasanta. Analogo invito era già arrivato dal presidente dello stato di Israele, Shimon Peres.«C’è una grande attesa per l’arrivo del Papa», ha detto all’ Osservatore romano il rabbino argentino Abraham Skorka, amico di Bergoglio con il quale a Buenos Aires ha avuto numerosi dialoghi pubblici raccolti in un libro.
Quello con il presidente dell’Autorità palestinese è stato un colloquio privato di 25 minuti, durata «standard» delle udienze pontificie. Secondo una nota della Sala stampa vaticana, Papa Francesco e il leader palestinese hanno auspicato che il processo di pace «produca i frutti desiderati per trovare una soluzione giusta e duratura a un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente. Le parti prendano con determinazione decisioni coraggiose a favore della pace con il sostegno della Comunità internazionale».
Ma si è parlato anche della situazione nella vicina Siria, squassata dal conflitto tra Assad e ribelli. «Grave preoccupazione»hanno espresso il Papa e Abu Mazen nella speranza «che alla logica della violenza subentri quanto prima quella del dialogo e della riconciliazione». Quanto ai rapporti diretti tra Vaticano e palestinesi, si legge ancora nella nota, «è stata manifestata soddisfazione per i progressi fatti nell’elaborazione di un accordo globale su alcuni aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa cattolica in Palestina».
Infine, si è parlato «della situazione delle comunità cristiane nei Territori palestinesi e, più in generale, in Medio Oriente, rilevando il contributo significativo che esse offrono al bene comune della società».
Le relazioni diplomatiche tra il Vaticano e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina risalgono al 1994, dopo quasi vent’anni di contatti tra gli arabi e la Santa sede. Il primo incontro ufficiale tra un Papa e i leader palestinesi è del 1979: a New York, durante la visita all’Onu,Giovanni Paolo II vide i rappresentanti dell’Olp accreditati al Palazzo di vetro.
Il 1982 è l’anno della prima storica visita di Yasser Arafat in Vaticano. Il 15 febbraio 2000 fu firmato l’Accordo fondamentale tra Santa Sede e Olp alla vigilia del viaggio di Wojtyla in Terrasanta: un patto che portò le relazioni tra Vaticano e Anp allo stesso livello dei rapporti con Israele, con cui esiste un accordo analogo dal 1993. L’Accordo si basa su due cardini: il Vaticano auspica «una giusta soluzione per la questione di Gerusalemme» fondata su uno statuto internazionalmente garantito della Città Santa; l’Autorità palestinese si impegna a garantire la libertà religiosa.
Per inviare la propria opinione al Giornale, cliccare sull'e-mail sottostante