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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
16.10.2013 Iran nucleare, iniziano i negoziati. Israele non si lascia incantare da Rohani
cronache di Daniele Raineri, Mattia Ferraresi, Francesca Paci

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Daniele Raineri - Mattia Ferraresi - Francesca Paci
Titolo: «Oltre il containment - Iran, Israele avverte: 'Pronti a colpire'»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 16/10/2013, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "  L’Iran si presenta in PowerPoint per sedurre il mondo sulla Bomba", l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " Oltre il containment ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Iran, Israele avverte: “Pronti a colpire” ".

Segnaliamo che quasi tutti i quotidiani italiani (Repubblica e Corriere della Sera in testa) si sono lasciati incantare dalla favola per allocchi occidentali di Rohani/Moderato.

Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Daniele Raineri : "  L’Iran si presenta in PowerPoint per sedurre il mondo sulla Bomba"


Daniele Raineri

Roma. Ieri l’Iran ha presentato ai 5+1 (gli stati membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania) una proposta per uscire da dieci anni di stallo politicomilitare sul nucleare. L’incontro, il primo di due giorni di negoziati a Ginevra, arriva dopo mesi di diplomazia dai toni concilianti tra l’Amministrazione Obama e il presidente iraniano eletto a giugno, Hassan Rohani, culminati a settembre in una telefonata a New York. Il governo di Teheran ha creato un clima di rottura con il passato e lo ha portato anche al tavolo del negoziato al Palazzo delle Nazioni di Ginevra – molti analisti avvertono però che si tratta di un’invenzione, di una strategia di seduzione per ingannare l’altra parte e l’opinione pubblica occidentale. Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha fatto una presentazione concisa di un’ora usando delle slide in PowerPoint e ha scelto di parlare in inglese, più pratico per tutti. Zarif ha anche insistito sulla necessità di imporre una scadenza ai negoziati, “massimo un anno”, in modo che nessuna parte possa accusare l’altra di trascinare ad arte le trattative per guadagnare tempo. E’ tutto l’opposto dei round di negoziati negli ultimi quattro anni, introdotti da lunghe geremiadi in lingua farsi del capodelegazione Saad Jalili, che dovevano essere tradotte in simultanea, e tirati il più possibile in lungo dagli iraniani, che del perdere tempo durante le trattative hanno fatto un’arte secondo tutti i diplomatici coinvolti. Il PowerPoint di Zarif è titolato “La fine di una crisi non necessaria, l’inizio di nuovi orizzonti” e per ora è segreto, su richiesta del ministro iraniano, ma si sa che prevede a grandi linee tre fasi per la risoluzione della crisi. Nella prima fase, da completare rapidamente, l’Iran e i 5+1 dovrebbero definire qual è il cosiddetto “endstate” del programma nucleare: il traguardo, il limite a cui agli iraniani è consentito arrivare. E’ in questa fase che dovrebbe esserci anche il chiarimento su un punto fondamentale, il diritto permanente dell’Iran di arricchire uranio all’interno dei suoi confini. La seconda fase prevista è quella in cui il governo di Teheran compie “passi concreti” (niente di più trapela). Nella terza, l’America e l’Unione europea rispondono annullando le sanzioni nei campo energetico e bancario che stanno paralizzando l’economia iraniana. La presentazione è stata accolta dai diplomatici presenti con moderato “ottimismo” e con commenti positivi per la ricchezza di dettagli. Il primo incontro è stato alle dieci del mattino e il secondo alle tre del pomeriggio. Dopo, un giornalista dell’agenzia iraniana Fars, Sadegh Ghorbani, ha fatto lo scoop: americani e iraniani si sono incontrati in un bilaterale, quindi senza gli altri partecipanti. Un’occasione per risolvere i punti più controversi senza interferenze. Il ministro iraniano Zarif, secondo fonti informali, era deluso dall’assenza del segretario di stato, John Kerry, ma se anche fosse così non si notava, sotto la smorfia di dolore per un non meglio specificato mal di schiena che lo ha costretto a volare sdraiato sull’aereo di stato iraniano. Israele non partecipa a Ginevra ma fa sentire la sua voce. Ieri il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha difeso la possibilità di un attacco preventivo contro l’Iran: “E’ un’opzione da valutare con attenzione, ma non fare nulla con l’Iran potrebbe essere molto peggio della condanna internazionale e del prezzo di sangue che pagheremmo se agissimo più tardi o troppo tardi”. E sulle sanzioni: “Alleggerirle ora potrebbe essere un errore storico”.

Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : " Oltre il containment "


Mattia Ferraresi,  Wendy Sherman, sottosegretario al dipartimento di stato americano
 

New York. “No deal is better than a bad deal”. Il sottosegretario al dipartimento di stato Wendy Sherman ha spiazzato i suoi critici quando ha pronunciato questa frase davanti a una commissione del Senato a proposito dei dialoghi con l’Iran che si sono aperti ieri a Ginevra. Ha rincarato la dose promettendo “che il Congresso prenderà nuove iniziative” se Hassan Rohani non presenterà alla riunione con il 5+1 “un piano reale e verificabile”. Se quello degli ayatollah è un grande bluff nucleare, un travestimento da agnello per allentare le sanzioni e tenere surrettiziamente aperta la via che porta alla Bomba, il regime pagherà l’impudenza, altro che cinguettii di appeasement e cortesie bilaterali. Sherman è la figura nevralgica di questi negoziati e i suoi avversari si rallegrano che abbia portato a Ginevra non solo carote ma anche qualche bastone. La diplomatica portata agli alti ranghi di Foggy Bottom da Madeleine Albright si è trovata già al centro di un negoziato nucleare con un altro regime infido e paranoico, quello nordcoreano. Tredici anni fa era nella delegazione che ha cercato invano di portare l’allora leader Kim Jong-il a un compromesso nucleare, e nel 2001 ha chiesto a George W. Bush di continuare sulla strada delle trattative intrapresa da Bill Clinton. Le cose non sono andate come sperava Sherman e il senso dell’inefficacia della diplomazia nucleare si riflette ora nella posizione densa di cautele e promesse di ritorsione con cui il sottosegretario si è presentato a Ginevra. Sherman era stata accusata dall’ex segretario di stato James Baker di promuovere una pericolosa politica di appeasement verso i nemici giurati dell’America. Ora Sherman è il portavoce del severo “trust but verify” sul quale Washington non vuole arretrare per non dare l’impressione – specialmente presso gli alleati più preoccupati dalle minacce nucleari, Israele e Arabia Saudita – di essere finita con troppa facilità nella trappola iraniana tesa, a suon di moine mediatiche e telefonate presidenziali, ai margini dell’Assemblea generale dell’Onu, teatro delle prove di disgelo con Teheran. Il problema dei negoziati di Ginevra – e il motivo dell’esibizione di risolutezza di Sherman – riguarda i dettagli tecnici di un eventuale accordo. Agli Stati Uniti non basta un congelamento dell’arricchimento dell’uranio ai livelli attuali per essere certi che Teheran non si doterà di un arsenale nucleare. Oggi nelle centrali dell’Iran ci sono circa 19 mila centrifughe, un migliaio delle quali sono strutture di ultima generazione installate ma non ancora attive. E’ abbastanza, dicono gli esperti nucleari, per portare l’uranio a basso arricchimento (3-5 per cento) – usato ufficialmente per scopi civili – a livelli sufficienti per un uso militare con sforzi marginali. La moratoria dell’uranio arricchito oltre il 20 per cento, che è il cuore dell’offerta che gli iraniani stanno dettagliando in questi giorni a Ginevra, non equivale a un totale disarmo nucleare, ma è più che altro un passo simbolico. Significa che per un effettivo blocco del programma nucleare militare di Teheran la dottrina del contenimento non basta, occorre smantellare una parte ingente delle strutture per evitare una “riconversione militare” che gli scienziati iraniani potrebbero mettere in atto usando i mezzi già a disposizione. Un negoziato del genere nel 2003 – l’unica volta che Teheran ha aperto a una trattativa atomica – avrebbe concesso una posizione di vantaggio all’occidente. Ma negli ultimi dieci anni i tecnici del regime si sono avvicinati a grandi passi alla capacità militare di arricchimento dell’uranio, mettendo l’America in una posizione di debolezza: per fermare il programma, Sherman e i negoziatori americani non possono accontentarsi di congelare, devono smantellare.

La STAMPA - Francesca Paci : " Iran, Israele avverte: “Pronti a colpire” "


Francesca Paci    Bibi Netanyahu

Il primo round dei colloqui di Ginevra con i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la Germania sull’arricchimento dell’uranio iraniano sembra aver soddisfatto la Repubblica degli ayatollah ma soprattutto i suoi interlocutori che, puntando sull’effetto Rohani, pianificano ottimisti di rivedersi al più presto. Tanto che ieri sera le delegazioni americana e iraniana si sono riunite a livello di viceministri in un bilaterale durato oltre un’ora.
La valutazione della giornata è invece tutt’altro che positiva per Israele, che aveva già criticato l’apertura di Washington. «Abbiamo imparato nel 1973 a non sottostimare il nemico e dopo aver pagato il prezzo dell’auto illusione non commetteremo più quell’errore» afferma il premier israeliano Netanyahu durante la cerimonia per i 40 della guerra del Kippur. Il discorso, rivolto alla Knesset, è indirizzato alla comunità internazionale. «Non rinunceremo all’ipotesi di un attacco preventivo» ribadisce il premier. La storia - insiste - insegna: «La pace (con l’Egitto ndr.) è stata raggiunta con la forza».
Israele segue lo sviluppo dei negoziati di Ginevra con preoccupazione. Una fonte interna al governo racconta il dilagante pessimismo e l’impressione diffusa che gli Usa stiano scendendo a compromessi con Teheran prima che sia necessario: «Da una parte c’è la convinzione che l’ultima parola sul nucleare tocchi alla irriducibile guida suprema e non all’apparentemente riformista Rohani, per cui concedere troppo potrebbe significare regalare tempo allo scenario peggiore, quello in cui l’arricchimento possa essere convertito segretamente in uso militare in poche settimane». Non a caso la posizione di Netanyahu che un anno fa era grossomodo allineata su quella internazionale nel concedere fino al 20% di arricchimento si è irrigidita e la linea rossa si è avvicinata allo zero.
Poi c’è il contesto politico: «Bibi è isolatissimo. Era riuscito a convincere la sua riluttante coalizione a riavviare i colloqui con i palestinesi in cambio del sostegno Usa sull’Iran ma ora rischia di saltare tutto. La pressione psicologica ha un peso. E se è vero che parte dell’intelligence e dei vertici delle forze armate sono contrarie a un raid contro l’Iran senza il supporto di Washington, bisogna ricordare che alcuni documenti sull’attacco al reattore iracheno del 1981 desecretati pochi mesi fa rivelano similitudini con la situazione attuale. Anche allora non si pensò di poter distruggere tutto ma di ritardare di due o tre anni il programma che poi Saddam non riuscì più a recuperare».

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