Gentile Redazione, vi allego copia di una mia email inviata al Corriere della Sera.
Cordiali saluti.
Daniele Coppin
In un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 14 ottobre scorso, a firma di Antonio Ferrari, sulla querelle sul presunto avvelenamento di Yasser Arafat, si legge che, a nove anni di distanza, ci sarebbero le prove di un avvelenamento con il Polonio 210, un elemento "altamente radioattivo". Senza essere chimici o fisici, basterebbe informarsi un po' per sapere che il Polonio 210 ha un'emivita di 140 giorni, motivo per il quale l'idea del suo possibile uso per alimentare i satelliti artificiali fu abbandonata tenuto conto della vita media di un satellite. Sempre informandosi un po', si sarebbe scoperto che sono sufficienti pochi curie di Polonio 210 emettono una luminescenza blu. Tali fatti spiegano anche perché i servizi segreti russi abbiano usato questo elemento radioattivo per far fuori personaggi per loro scomodi: perché, già poche ore o giorni dopo il suo utilizzo, non ce ne è più traccia. Quindi sembra quantomento anomalo, dal punto di vista chimico e fisico, che a nove anni di distanza dalla morte di Arafat si possa affermare che sia stato avvelenato dal Polonio 210. D'altra parte The Lancet è una pubblicazione medica, non di chimica o fisica e scrive di "otto clinici tra i più rispettati e qualificati", dal che si deduce che si tratti di medici. Forse, consultare qualche chimico o fisico, meglio se non inglese (vista la notoria ostilità antiisraeliana degli ambienti accademici britannici) e, comunque, che non abbia firmato qualcuno dei soliti appelli razzisti e antisemiti di boicottaggio nei confronti di Israele, avrebbe consentito al bravo Ferrari di porsi un'altra domanda: chi ha interesse ad accreditare la morte di Arafat ad un avvelenamento? E perché proprio ad un avvelenamento con il Polonio 210, visto che dopo tanto tempo, non essendoci più prova dello stesso, si può affermare tutto e il contrario di tutto?
Cordiali saluti
Daniele Coppin