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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.10.2013 Cremazione e dispersione delle ceneri in una fogna
ecco l'unico funerale politicamente corretto per il criminale Priebke

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Paolo Conti
Titolo: «Tocca alla Germania risolvere il problema del suo funerale - Teniamo viva la memoria. Non coltiviamo vendette»

Oggi, 14/10/2013, tutti i giornali pubblicano pagine sulle polemiche in merito al funerale di Erich Priebke. Riportiamo dalla STAMPA, a pag. 11, l'intervista di Maurizio Molinari a Efraim Zuroff dal titolo " Tocca alla Germania risolvere il problema del suo funerale ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 23, l'intervista di Paolo Conti a Liliana Segre dal titolo " Teniamo viva la memoria. Non coltiviamo vendette ".

Secondo IC la sepoltura adeguata per Priebke è la stessa riservata ad Eichmann. Cremazione e dispersione delle ceneri, in una fogna, però, non in mare.

Ecco le due interviste:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Tocca alla Germania risolvere il problema del suo funerale "


Maurizio Molinari, Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme

Efraim Zuroff è il direttore del Centro Simon Wiesenthal di Gerusalemme ed è lui che ha ereditato dal fondatore il compito di guidare la caccia ai rimanenti criminali nazisti.
Da qui l’esperienza maturata anche nella gestione delle loro salme dopo decessi naturali o esecuzioni. Davanti alle incertezze sulla sorte delle spoglie di Erich Piebke, Zuroff non ha esitazioni: «La cosa migliore è consegnarle alla Germania, affinché vengano cremate».
Perché tale conclusione?
«Per due motivi. Primo: Priebke era originario di una località prussiana. Secondo: la Germania ha le leggi più idonee per evitare che il funerale o la sepoltura di un ex nazista si trasformi in uno show di neonazisti».
Ci può fare un esempio?
«Mi viene in mente quanto avvenuto nel caso di Rudolf Hess. L’ultimo gerarca nazista a morire in un carcere tedesco venne prima sepolto in Baviera ma quando le autorità si accorsero del pellegrinaggio dei neonazisti che stava trasformando il luogo in una sacrario riesumarono la salma, la cremarono e dispersero le ceneri affinché non ve ne fosse più alcuna traccia”.
Sta suggerendo la cremazione della salma di Priebke?
«A mio avviso è la soluzione più idonea affinché non resti nulla di un criminale nazista come Erich Priebke. Anche quello di Hitler finì bruciato, nel bunker di Berlino, e si è poi rivelata la soluzione migliore perché rappresenta la totale distruzione di ciò che il nazismo ha rappresentato».
Perché ha tanta fiducia nelle autorità tedesche?
«Soprattutto per le leggi che vi sono in Germania contro il neonazismo. E’ una nazione dove l’esposizione della svastica è proibita ed ogni riferimento nostalgico al nazismo e ad Adolf Hitler viene perseguito. Sono molto severi in questa materia. Mentre in altri Paesi europei la situazione è ben differente, c’è una tolleranza che può diventare pericolosa».
A quali Paesi europei fa riferimento in particolare?
«Penso anzitutto a quelli dell’Est dove spesso ex nazisti, o loro ex collaboratori responsabili di orrende atrocità, sono stati sepolti con tutti gli onori. Ad esempio la Croazia che nel 2008 ospitò a Zagabria il funerale di Dinko Sakic, ex comandante ustascia del lager di Jasenovac, che si trasformò in una lugubre manifestazione neonazista di piazza con tanto di insegne, saluti nazisti e benedizioni religiose. E’ esattamente ciò che deve essere evitato».
Come vennero sepolti i criminali nazisti di Norimberga?
«Molti di loro nella prigione di Hameln, vicino Hannover, in tombe senza nome. Allora era una prigione britannica ma la gestione di quelle tombe ha poi dimostrato negli anni, anche in questa occasione, la capacità della Germania di affrontare simili situazioni”.
E Ivan Demjanjuk, il guardiano di Sobibor morto nel 2012 in Germania?
«Anche in quel caso la Germania, assieme agli Stati Uniti, trovò una soluzione idonea. Visto che la famiglia reclamava la salma venne spedita a Cleveland in Ohio ma con la condizione che il luogo di sepoltura rimanesse segreto. E così è avvenuto».

CORRIERE della SERA - Paolo Conti : " Teniamo viva la memoria. Non coltiviamo vendette "


Paolo Conti                    Liliana Segre          

Ha ragione o torto il grande «cacciatore di nazisti» Serge Klarsfeld quando dice al Corriere della Sera , in un’intervista a Stefano Montefiori: «Dobbiamo essere in grado di fermarci, di non accanirci. I grandi colpevoli non ci sono più. resta qualche pesce piccolo, e il problema con loro è accertarsi che abbiamo davvero commesso crimini contro l’umanità... la prospettiva di condannare un innocente mi spaventa tanto quanto quella di lasciare indisturbato un massacratore»? Lo chiediamo a Liliana Segre, 83 anni, deportata il 30 gennaio 1944 dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Il numero di matricola sul suo avambraccio è il 75190. Riuscì a sopravvivere. Venne liberata il 1 maggio 1945 a Malchow.
«Credo che Serge Klarsfeld abbia ragione. Quando vediamo che personaggi di cent’anni non solo non si pentono ma nemmeno cambiano idea sugli orrori che hanno compiuto.... Gente che non ha mai avuto pietà per i vivi. Priebke definì “briganti” i morti delle Fosse Ardeatine, e invece sappiamo benissimo che non è certo così. E meno che mai ebbero pietà dei morti, io stessa posso testimoniarlo»
Anche lei ritiene che sia inutile accanirsi? Cioè che sia in qualche modo chiusa un’epoca, una stagione del dopo-Olocausto?
«Non si può parlare di chiusura di un’epoca, né mai si potrà farlo per ciò di cui stiamo parlando. Adesso è essenziale non dimenticare, preservare la memoria. Questo è il vero impegno. Raccontare bene alle nuove generazioni cosa hanno fatto certi personaggi che sono arrivati a cent’anni d’età bevendo birra la sera e facendo belle gite, del tutto indisturbati, dopo aver ucciso gente innocente. Io ho molto ammirato Simon Wiesenthal per il suo lavoro. Così come ho ammirato lo stesso Klarsfeld. Quindi capisco il suo pensiero. Adesso bisogna aiutare a non far dimenticare chi è stato sterminato, e in che modo, semplicemente per la colpa di essere nato».
Klarsfeld dice: forse c’è ancora qualche pesce piccolo, in giro. Lei che ricordi ha di quei «pesci piccoli»?
«Io li ho conosciuti. li ho visti con i miei occhi. Tutto il personale dei lager di sterminio era convintissimo di ciò che stava facendo. Da venticinque anni vado nelle scuole a raccontare e spesso i ragazzi mi chiedono: “Ha mai visto pietà nei loro occhi?”. E rispondo sempre con la verità: “No, mai”. Ho incontrato tante guardiane secondarie, io ero in un lager femminile. Non avevano poteri decisionali. Ma erano sempre belve pronte a picchiare, umiliare, uccidere»
Per Klarsfeld il testamento di Priebke ha suscitato un generale disgusto. Teme che quelle agghiaccianti parole possano invece aver alimentato il negazionismo?
«Io ho una terza tesi. Cioè che ci sia stata tanta indifferenza. È la parola che ho chiesto fosse scritta a grandi caratteri al Binario 21 a Milano. Tutto accadde in mezzo all’indifferenza. E anche oggi, più che l’analisi delle parole di Priebke, interessa sicuramente il gossip».
«Condannare un innocente mi spaventa tanto quanto quella di lasciare indisturbato un massacratore», dice Klarsfeld.
«Sono d’accordo. Senza esitazioni».
Ritiene che tutti i «pesci grandi» siano stati presi?
«Non so rispondere. Sono stata contenta quando hanno catturato Priebke così come Klaus Barbie o Adolf Eichmann. Ma non sono mai stata una persecutrice. Sono stata già molto impegnata a leccarmi le ferite della mia vita precedente. Ho cercato l’amore, intorno a me. Non l’odio. Ho tentato di essere me stessa senza coltivare sentimenti di vendetta. Non volevo diventare come i miei persecutori. Io sono diversa da loro, per mia fortuna».
È soddisfatta di questa scelta di vita, guardandosi indietro?
«Ho semplicemente agito come mi sentivo di dover fare. Ho cercato di essere una testimone veritiera di quanto mi era accaduto e di quanto avevo visto in tv, nelle università, soprattutto nelle scuole affinché non si dimentichi. Mi piace in particolare andare tra i ragazzi. Io sono nonna. Sono idealmente tutti miei nipoti. E una nonna non parla d’odio».

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