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La Stampa Rassegna Stampa
12.10.2013 Libia & Siria, dalla rivolta anti-Occidente alla strage di alawiti
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 12 ottobre 2013
Pagina: 18
Autore: Giordano Stabile-La Redazione
Titolo: «Libia, bomba contro gli occidentali- Siria, strage di alawiti compiuta dai ribelli»

Sulla STAMPA di oggi, 12/10/2013/. a pag.18, due articoli su  Libia e Siria, di Giordano Stabile il primo, a cura della redazione il secondo.

Giordano Stabile: " Libia, bomba contro gli occidentali"

Brucia il consolato svedese a Bengasi

A 24 ore dal sequestro lampo del premier libico Ali Zeidan, in Libia è il caos. Mentre a Tripoli le milizie di ex rivoluzionari possono permettersi di prelevare il capo del governo a casa sua, a Bengasi si susseguono con cadenza quotidiana attentati dinamitardi ed esecuzioni sommarie. Unica nota positiva, per il traballante governo di Tripoli, è la decisione della Corte penale internazionale dell’Aja di dare l’ok a che l’ex capo dei servizi segreti di Gheddafi, Abdullah al Senoussi, sia processato in patria. Una boccata di ossigeno per Zeidan, in enormi difficoltà dopo il blitz americano e la cattura del terrorista Abu Anas Al Libi, che ha fatto saltare il fragile (e ipocrita) equilibrio fra un premier filo-occidentale e un potere reale, delle armi, in mano a milizie islamiste. Al Senoussi, anima nera del regime gheddafiano, è odiatissimo. Un processo pubblico è anche un modo, per Zeidan, di guadagnare qualche consenso. La Corte penale internazionale accusa Al Senoussi di crimini di guerra e contro l’umanità. È considerato il responsabile di uno dei peggiori massacri del regime, l’uccisione di 1200 detenuti nel carcere di Abu Salim, a Tripoli, nel 1996. I prigionieri furono fatti radunare nel cortile della prigione e falciati con le mitragliatrici. Un orrore che alla lunga ha portato all’insurrezione del 2011. Il processo ad Al Senoussi, come quello al secondogenito di Gheddafi, Saif, ne sono l’atto finale. Per il resto è un fallimento totale. Il premier Ali Zeidan non potrebbe essere definito neppure «sindaco di Tripoli». Non controlla neanche la capitale. A Tripoli l’uomo forte è il capo dei Comitati supremi di sicurezza (una milizia) Hashim Bishr, salafita duro e puro formato in Arabia Saudita. E alla guida del Congresso, il parlamento, c’è Nuri Abu Sahmain, altro salafita protettore dei reduci di Al Qaeda tornati in patria. Ali Zeidan, sequestrato giovedì per alcune ore a Tripoli, ha detto ieri che il suo rapimento, «un golpe», era stato organizzato da un «partito politico». Cioè Sahmain, che subito dopo la cattura del qaedista Al Libi aveva accusato Zeidan di complicità con gli Usa. Le forze filo-occidentali sono sotto assedio in Libia. A Bengasi ieri mattina un’autobomba ha devastato l’edificio che ospita il consolato della Svezia. Per puro caso non ci sono state vittime. Nel pomeriggio è stato gravemente ferito un imam filo-governativo. In Cirenaica spadroneggia la brigata jihadista Ansar al Sharia, mentre l’ordine pubblico è gestito dagli ex rivoluzionari della Brigata «Scudo», infiltrati da islamisti. All’inizio del mese la Russia ha evacuato l’ambasciata a Tripoli dopo l’assalto di un gruppo di uomini armati. A maggio la Gran Bretagna ha ridotto lo staff al minimo. E a Bengasi circolano tranquilli soggetti come Ahmed Khattala, considerato uno degli organizzatori dell’assalto al consolato americano dell’11 settembre 2012 che costò la vita all’ambasciatore Chris Stevens. Almeno fino al prossimo blitz dei Navy Seals.

" Siria, strage di alawiti compiuta dai ribelli"

 

È il peggior massacro di civili documentato commesso dai ribelli che combatto contro il regime di Bashar al Assad. Quasi duecento vittime, tutte della minoranza alawita schierata con il governo di Damasco e per questo nel mirino dei militanti jihadisti. La strage è avvenuta all’inizio di agosto durante un’offensiva contro villaggi pro-governativi nella provincia di Latakia. Ed è stata denunciata ieri dalla ong occidentale Human Rights Watch in un rapporto di 105 pagine. Gli abitanti dei villaggi erano quasi tutti alawiti, la corrente sciita alla quale appartiene anche Assad, considerati degli eretici dagli estremisti sunniti. Almeno 67 delle 190 vittime sono state uccise a distanza ravvicinata, mentre cercavano di scappare, e ci sono indizi che anche gli altri civili siano stati uccisi «intenzionalmente o indiscriminatamente », ma il gruppo ha sottolineato che ci vorrebbero ulteriori indagini per confermarlo. I ribelli hanno anche catturato 200 ostaggi e chiesto di scambiarli con prigionieri detenuti dal regime. Secondo alcuni testimoni, i ribelli sono andati di casa in casa, in alcuni casi uccidendo intere famiglie e in altri assassinando gli uomini e prendendo le donne e i bambini in ostaggio. Uno dei sopravvissuti, Hassan Shebli, ha raccontato di essere fuggito mentre i militanti si avvicinavano al villaggio di Barouda all’alba,ma ha dovuto lasciare indietro la moglie, che non poteva camminare senza le stampelle, e il figlio 23enne, completamente paralizzato. Shebli era ritornato nel villaggio qualche giorno dopo, quando le forze governative ne avevano ripreso il controllo, e aveva trovato la moglie e il figlio sepolti vicino casa. Nella camera da letto, ha riferito l’uomo, c’erano segni di proiettili e macchie di sangue. Lama Fakih, di Human Rights Watch, ha detto che gli abusi commessi dai ribelli nella provincia di Latakia «sono da considerare i crimini di guerra».

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