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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.10.2013 Libia: al Qaeda sempre più potente. Rapito e rilasciato il premier Ali Zeidan
Cronache di Fausto Biloslavo, Guido Olimpio

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Fausto Biloslavo - Guido Olimpio
Titolo: «Prove di golpe islamico: rapito il premier libico. È allarme rosso in Italia - Mercanti di schiavi e trafficanti d’armi. Le 1.700 'brigate'»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 11/10/2013, a pag. 12, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " Prove di golpe islamico: rapito il premier libico. È allarme rosso in Italia ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Mercanti di schiavi e trafficanti d’armi. Le 1.700 «brigate»".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " Prove di golpe islamico: rapito il premier libico. È allarme rosso in Italia "


Fausto Biloslavo, Ali Zeidan, premier libico
 

Il sequestro per mezza gior­nata del premier libico Ali Zeidan a Tripoli, da parte di miliziani governativi, era un tentativo di colpo di stato. Lo stesso capo del governo libico, poi liberato armi in pugno da unità fedeli, ha rivelato che «è stato il frutto di rivalità politi­che interne. Se l'obiettivo era che mi dimettessi non lo farò». Il blitz americano a Tripoli, che ha portato sabato scorso al­la cattura del super terrorista, Abu Anas al Libi, è stata la scin­tilla per cercare di destituire il premier con la forza. E dietro al fallito golpe ci sono gli estremi­sti islamici eletti in parlamento a cominciare dai Fratelli musul­mani. Il piano è scattato ieri prima dell'alba quando una colonna di fuoristrada con 150 miliziani governativi si è diretta verso l'hotel Corinthia, nel centro di Tripoli, dove alloggia Zeidan. Al 21esimo piano le quat­tro guardie del corpo da­vanti alla sua stanza si sono arrese e alle 5.15 di matti­na il premier è stato «arresta­to ».
L'azione è stata prima ri­vendicata e poi smentita dalle milizie della «Sala operativa dei rivoluziona­ri della Libia», che garantisce la sicurezza a Tripoli in nome del governo. Nei giorni precedenti avevano emesso un duro comu­nicato che annunciava
rappre­saglie per la cattura di Al Libi ac­cusando Zeidan di essere in combutta con gli americani.
Subito o in seguito il premier è stato preso in consegna dai mi­liziani del «Dipartimento anti crimine»,una specie di Digos lo­cale. E portato nel loro coman­do a Zanzour, nella zona nord ovest di Tripoli. «L'ordine di co­stringere Zeidan alle dimissio­ni è partito dal Parlamento. Non vogliono che disarmi le mi­lizie e che chiuda i cordoni del­la borsa per determinati gruppi armati» rivela un testimone libi­co del caos di ieri.
Il Dipartimento anti crimine che tratteneva il premier è stato istituito da Nouri Boushame­en, presidente del Parlamento. Un berbero accusato di strizza­re­l'occhio agli islamisti e ai Fra­telli musulmani. «È stato un se­mi golpe. La Fratellanza e gli estremisti islamici hanno infil­trato le forze di sicurezza com­poste da miliziani ed i servizi se­greti. Se non stiamo attenti la Li­bia è perduta» dichiara al
Gior­nale , Arduino Paniccia, presi­dente della task force sulla rico­struzione nel paese. Gli ameri­cani e i nostri servizi propendo­no per il colpo di stato fallito.
Ieri mattina con Zeidan in ostaggio il ministro della Dife­sa, Mario Mauro, ha convocato i vertici militari per affrontare
la crisi. A Tripoli abbiamo non solo il personale dell'ambascia­ta, ma una trentina di militari della missione di addestramen­to delle forze armate libiche. Questa settimana dovevamo cominciare con le prime 400 re­clute. «L'addestramento è ri­mandato- spiegano dalla Dife­sa - Abbiamo predisposto dei piani di evacuazione degli ita­liani in caso di necessità e au­menteremo il dispositivo nava­le per l'immigrazione illegale dalla Libia».
A Tripoli la situazione è rima­sta drammatica per ore. Guar­da caso alla riunione di emer­genza del governo non c'era il ministro della Difesa, Abdullah Al Thinni, in pellegrinaggio alla Mecca ed il dicastero dell'Inter­no è vacante.
L'allarme rosso è durato fino al primo pomeriggio quando il portavoce dell'esecutivo, Mohammed Kaabar, ha annun­ciato che Zeidan
«è stato libera­to, non rilasciato». Unità dell' esercito e di miliziani fedeli al premier erano intervenuti con la forza. Secondo Haitan al Tajouri, comandante del cosid­detto «Reparto di rinforzo», i suoi uomini hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con i mili­ziani che avevano in custodia il premier liberandolo.
«Il presidente del Parlamen­to il giorno prima aveva annun­ciato un nuovo voto di sfiducia al premier per la cattura Usa di Al Libi - spiega una fonte diplo­matica - Invece che convocare Zeidan davanti al congresso hanno agito per via miliziana pensando di farlo dimettere, ma non ci sono riusciti. Da oggi, però, la situazione sarà peggio di prima con fette della Libia fuori controllo e un premier
sempre più debole».

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Mercanti di schiavi e trafficanti d’armi. Le 1.700 «brigate» "


Guido Olimpio   

WASHINGTON — Sotto Muammar Gheddafi esisteva solo il raìs, poche le istituzioni. Il sistema si reggeva sul clan, le unità scelte, la repressione. Caduto il raìs, l’equilibrio di forze non è cambiato di molto.
A dettar legge e a condizionare il governo sono le milizie. Ne hanno calcolate 1.700, presenti lungo la fascia costiera, sulle montagne e nel sud. Alcune con un’agenda politica, altre disposte a servire chi paga meglio, dall’Arabia Saudita al Qatar. Essere un miliziano vuole dire incassare uno stipendio pagato con il budget statale, un assegno integrato spesso con i traffici illeciti. Armi, clandestini africani, pe etrolio, zucchero. Si dice che siano quasi 200 mila i membri delle varie brigate. Un numero sulla carta. Il denaro, secondo un vecchio costume, è consegnato in base alle liste presentate dai leader che, ovviamente, gonfiano i reparti.
A rendere tutto più fumoso i cambi di sigla, i salti di campo, i zig-zag dei signori della guerra. Famosa la «Brigata Scudo», presente in numerose città e subordinata al ministero della Difesa. E’ divisa in tre comandi regionali, raccoglie militari di provenienza diversa. Dipende dalla Difesa anche la «Sala operativa dei rivoluzionari di Libia», il reparto coinvolto nel sequestro del premier Zeidan. Al suo interno pesano molto gli ex esponenti del «Gilc», il movimento jihadista contiguo in passato ai qaedisti. Tra questi Shaaban Massoud, alias Abu Obeida al Jarrah. Nelle file della «Sala» sono confluiti numerosi miliziani provenienti dalla «Scudo» dopo contrasti interni. Le tensioni concedono opportunità, aprono spazi a tutti. L’ex premier Mahmoud Jibril conta sull’appoggio della Brigata «Qaaqa», dove si sono raccolti — secondo molti — soldati della tribù Werfalla molto vicini al deposto regime.
Sempre a Tripoli agiscono la «Brigata di lotta anticrimine» e il «Consiglio Militare» per molto tempo guidato da Abdel Hakim Belhaj, di ispirazione islamista. Nel quartiere dell’aeroporto e sul Jebel Nafousa, fanno sentire la loro voce gli ex guerriglieri di Zintan. I servizi occidentali li tengono d’occhio in quanto ritengono abbiano venduto materiale bellico ad «Al Qaeda nella Terra del Maghreb» e al famigerato guercio, il terrorista algerino Mukhtar El Mukhtar. I miliziani hanno poi in mano il figlio del dittatore, Seif Islam, prigioniero simbolo e leva per manovre politiche.
Spostandoci a Misurata, città segnata dal conflitto e oggi base di molti trafficanti di migranti africani, troviamo gli «Al Faroug». Gli uomini della Brigata risultano legati ai mercanti dei nuovi schiavi e badano ai loro affari. Ben più importante la «Sadun al Sawayli». Ha diviso le proprie forze tra Misurata e la capitale acquistando una certa autonomia rispetto alle autorità.
Tumultuosa la realtà nella Cirenaica sfregiata, quotidianamente, dagli attentati contro esponenti militari. Bengasi è un posto pericoloso. Per tutti, dai locali ai rappresentanti occidentali. In questo settore opera la «Brigata dei martiri del 17 febbraio», formalmente integrata nella Difesa. Quasi 3 mila soldati ai quali sono state spesso affidate missioni per riportare l’ordine. L’unità si è distinta anche per l’invio dei volontari in Siria al fianco degli insorti.
Ha fatto notizia di recente il «Consiglio militare di Cirenaica» capitanato da un libico d’origine ciadiana, Ibrahim Giadhran. Poche settimane fa è emerso che il boss ha ricevuto 30 milioni di dollari dalla Commissione Energia. Una tangente per togliere il blocco ai porti della regione orientale. Episodio che spiega bene come funzionino le cose in un’area così importante. Tra Derna e Bengasi si muovono alcune formazioni estremiste venute alla ribalta dopo l’uccisione dell’ambasciatore americano Christ Stevens a Bengasi. «Ansar al Sharia» di Sufian Bin Qummu, un passato nelle file di Al Qaeda e reinventatosi guardiano dei costumi. Avrebbe organizzato campi d’addestramento per islamisti. Poi ci sono la «Brigata dei martiri di Libia», sospettata di una lunga serie di omicidi, e la «Abu Salim» diretta da un veterano dell’Afghanistan, Salem Derbi.
Il proliferare delle milizie ha finito per aumentare l’insicurezza. E molte regioni del paese sono terra di nessuno. Nel profondo sud della Libia è cronica la rivolta di clan locali. Il triangolo al confine con Tunisia e Algeria è un santuario per i terroristi. Il 24 settembre gli americani hanno rivelato che equipaggiamenti sofisticati per milioni di dollari forniti dagli Usa alla Libia sono spariti. Parliamo di fucili, veicoli blindati, visori notturni. Un furto clamoroso. Con un’annotazione finale. Il quotidiano algerino Al Watan ha scritto che Al Libi, l’ex membro di Al Qaeda rapito dagli americani, sarebbe un agente doppio. Una talpa infiltrata per spiare gli estremisti. Provocazione o verità?

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