Su REPUBBLICA di oggi, 10/10/2013, a pag. 1/21, con il titolo "L'Apollo che divide Gaza", Fabio Scuto rivela attraverso una cronaca l' arretratezza culturale del fondamentalismo di Hamas.
RAMALLAH
È una notte di luna piena di metà settembre, Mounir mette in acqua la sua modesta barchetta di pescatore nella spiaggia antistante Deir al-Balah, la cittadina a metà della Striscia di Gaza. Ma quella notte nella sua sciabica, una reticella da pesca lunga duecento metri, qualcosa rimane impigliato a pochi metri dalla riva. Affiora, illuminato dalla luna, il braccio di una meravigliosa statua di Apollo a grandezza naturale, che brilla al punto da sembrare oro.
Aiutato dai figli, Mounir in qualche modo la libera dalla sabbia che l’ha protetta per venticinque secoli, la carica sulla sua barchetta a remi e la nasconde nella sua casa, persa nel termitaio di palazzine e strade sterrate dove città e campo profughi ormai si impastano nella stessa tragedia urbana. Apollo viene mostrato a qualche parente, ma nessuno è in grado di dire se è d’oro come spera il pescatore. Possono essere settanta-ottanta chili d’oro che nella realtà disperata di Gaza moltiplicano il suo valore.
Ma nessuno può andarsene in giro per la Striscia con una statua del periodo ellenistico nel bagagliaio. Alla statua che è (era) in perfette condizioni, viene mozzato alla bell’è meglio un dito, da poter mostrare a qualche intenditore per farne valutare la purezza e la qualità. I sogni di Mounir si infrangono rapidamente, il dito mostrato in “giro” si rivela di bronzo, la statua ha “soltanto” uno straordinario valore archeologico come molti reperti che affiorano qua e là nella Striscia.
Il suo nome adesso evoca guerre, bombardamenti e sofferenze, ma sotto le sabbie di Gaza ci sono cinquemila anni di storia affascinante. Sulle sue rive hanno marciato egizi, filistei, romani, bizantini e crociati. Alessandro
il Grande assediò la città, l’imperatore Adriano vi soggiornò a lungo. Era il più importante porto romano per il commercio dell’incenso. Riccardo Cuor di Leone la strappò a un sultano ayyubide, poi la conquistarono i mongoli. Ha fatto parte dell’Impero Ottomano, fu attraversata dall’esercito di Napoleone che andava dall’Egitto in Siria, è stata campo di battaglia della seconda Guerra Mondiale. Ovunque si scavi nella Striscia saltano fuori vestigia antiche.
Mounir però con quel dito di metallo mostrato in giro per Gaza ha attirato l’attenzione delle spie di Hamas, sempre ben introdotte in ogni ambiente. In poche ore il pescatore viene arrestato e la statua, che potrebbe risalire al IV secolo a. C., sequestrata. Sarebbe un gran colpo per Hamas poter mostrare al
mondo questa meraviglia dell’arte greca — paragonabile per fattura ai Bronzi di Riace — ma chi ce l’ha per le mani capisce subito che
Apollo deve restare un segreto. L’Islam vieta la riproduzione della figura umana nel-l’arte, accetta solo elementi floreali e decorativi nella pittura.
E poi Apollo in conformità allo stile dell’epoca è nudo: impossibile per gli zelanti integralisti mostrarlo in pubblico. La statua deve scomparire, suggerisce qualcuno, meglio venderlo — come moltissime altre antichità — sul mercato nero e mettere i soldi nelle casse disastrate di Hamas, che non è più in grado di pagare gli stipendi ai suoi uomini dopo il blocco dei tunnel del contrabbando con l’Egitto.
La storia dell’Apollo di Gaza entra così, qualche giorno fa, in un’altra dimensione. Fatta di grandi alberghi, collezionisti malati, ambiziosi uomini d’affari, cacciatori di antichità. Perché un noto “mediatore” internazionale è al lavoro per trovare un compratore per Apollo. Stime approssimative parlano di 20-40 milioni di dollari e in corsa ci sarebbe già un importante museo americano.
Spalanca le braccia e guarda con attenzione le foto di
Repubblica
Hamdan Taha, il viceministro per la Cultura e le Antichità dell’Autorità nazionale palestinese, nel suo ufficio di Ramallah. «La Striscia è un eldorado per gli archeologi», commenta serio, «ma anche per i tombaroli palestinesi, più di una fortuna è stata possibile grazie alla vendita sul mercato nero di reperti trafugati poi all’estero». La rigira, la foto di Apollo fra le mani: «Vede, se esce dalla Striscia non la prendiamo più, perché la Palestina non è ancora uno Stato e non siamo ammessi nell’Interpol: anche se scoprissimo nelle mani di chi andrà non potremmo mai riaverla indietro». L’unica strada per salvare l’Apollo di Gaza è quella di raccontare la sua storia, far circolare le sue immagini, perché nessuno possa dire: «Non sapevo da dove venisse».
Per inviare a Repubblica la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante