Sul CORRIERE della SERA di oggi, 10/10/2013, con il titolo " Iran, dopo i sorrisi l'ora dei fatti ", la cronaca di Franco Venturini sull'Iran del dopo Onu ai negoziati di Ginevra.
Venturini conclude con ottimismo,scrivedo che l'Iran sta per passare ai fatti. In tutti questi anni la teocrazia iraniana ha preso bellamente in giro l'Occidente, prima di trarre conclusioni è saggio aspettare.

Tra cinque giorni, il 15 e 16 ottobre a Ginevra, il nuovo presidente iraniano Hassan Rouhani dovrà togliersi la maschera. Sin qui la sua è stata una offensiva del sorriso volta a sottolineare presunte nuove disponibilità di Teheran sul contenzioso nucleare, e Barack Obama ha restituito la cortesia dedicando al collega iraniano, dopo oltre trent’anni di silenzio, una cordiale telefonata. Ma il tempo dei gesti e delle parole sta per scadere, perché a Ginevra saranno i complessi dettagli di un negoziato sin qui infruttuoso a tenere banco e a far capire al mondo quanto di sostanziale ci sia dietro la mano tesa di Rouhani.
Secondo le anticipazioni pubblicate ieri dal Wall Street Journal la svolta di Teheran sarebbe non soltanto reale, ma persino più avanzata di quanto immaginato dagli ottimisti. Secondo le fonti del quotidiano Usa, l’Iran sarebbe disposto a fermare la sua produzione di uranio arricchito al 20 per cento, e accetterebbe di trasferire all’estero (esiste su questo una vecchia proposta russa) le scorte sin qui accumulate. In realtà per costruire un ordigno nucleare l’arricchimento deve essere dell’ottanta/novanta per cento, ma il gran numero di centrifughe moderne di cui ormai dispone l’Iran potrebbe consentirgli di passare rapidamente dal venti al livello necessario. È per questo che i negoziatori del 5+1 (i cinque membri del Consiglio di sicurezza più la Germania) hanno sempre reclamato che l’arricchimento iraniano non superi il 3/5 per cento. La posizione di Israele, poi, è di vietare completamente l’arricchimento. Una eventuale intesa su questo punto fondamentale andrebbe di pari passo con verifiche ben più intrusive di quelle consentite sinora da Teheran, e con la limitazione del numero delle centrifughe a titolo di garanzia.
Non solo. L’Iran accetterebbe di chiudere la centrale di Fordo, nei pressi della città santa di Qom, che da tempo preoccupa particolarmente i 5+1 e Israele non soltanto perché lì si trovano le centrifughe più moderne ma anche perché la sua posizione sotto spessi strati di roccia la rende difficilmente vulnerabile a un attacco aereo o missilistico.
In cambio, l’Iran vorrebbe una sollecita cancellazione delle sanzioni che hanno duramente colpito le esportazioni di petrolio e il settore finanziario internazionale. E resterebbe intransigente sul suo diritto ad arricchire l’uranio per scopi pacifici, nei limiti concordati e verificati.
Se davvero a Ginevra e nelle riunioni successive si arrivasse a uno scambio di questo genere, il cambio di linea da parte iraniana risulterebbe radicale. E condurrebbe a una serie di indicazioni, nonché a qualche superstite dubbio.
Le sanzioni, forse per la prima volta, avrebbero svolto egregiamente il loro compito: quello di indebolire l’economia iraniana fino a costringere la dirigenza politica a cambiare rotta. Rouhani avrebbe così preso il posto di Ahmadinejad al momento giusto, ma occorre ricordare che in Iran l’autorità appartiene alla Guida suprema Khamenei. Per ora egli sembra appoggiare le aperture del presidente, ma nella complessa geografia politica dell’Iran nulla può essere dato per scontato. Quando Rouhani è rientrato a Teheran dal Palazzo di Vetro, ad accoglierlo c’erano manifestanti ostili cui qualcuno deve aver coperto le spalle. Il comandante dei Guardiani della Rivoluzione si è espresso apertamente contro concessioni «all’America e a Israele» , e sono proprio i suoi uomini a garantire la sicurezza della centrale di Fordo. È possibile che la fretta di concludere un accordo manifestata da Rouhani a New York abbia sì a che fare con lo stato dell’economia e con il desiderio di approfittare del clima negoziale sulla crisi siriana, ma sia anche legata al timore che gli equilibri interni iraniani possano cambiare e risospingere Khamenei verso posizioni meno innovative. E poi, va ricordato che Obama non ha mai esplicitamente accettato l’arricchimento dell’uranio da parte iraniana (si è limitato a riconoscere il diritto a un nucleare civile) , né tantomeno lo ha fatto Israele. E ancora, che un accordo di Washington con Teheran, benché preferibile a un pericolo di guerra o di proliferazione nucleare, creerebbe problemi con le monarchie del Golfo a cominciare dall’Arabia Saudita.
La partita che si apre è ancora incerta. Ma almeno si passerà dalle telefonate ai fatti.
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