Riprendiamo da ITALIA OGGI del 09/10/2013, a pag.14, con il titolo " Il Papa andrà in Terra Santa ", l'articolo di Roberto Paglialonga.
L'articolo si presta a una doppia interpretazione.
Siamo abituati al linguaggio della chiesa cattolica, che esclude sempre la parola Israele per sostituirla con "Terra Santa", per cui ci aspettavamo che anche in questo progetto di viaggio in "Terra Santa" ci entrasse lo Stato ebraico. Invece no, c'è la Giordania essenzialmente, anche se nelle prime righe c'è un "anche", il che lascia supporre che non sarà il solo paese ad essere visitato. Se escludiamo gli altri, che a buon titolo dovrebbero interessare al Pontefice, viste le persecuzioni che vi subiscono i cristiani - Egitto, Siria,Yemen, Libano, ecc.- rimane soltanto Israele, dove per altro i cristiani non hanno bisogno di consolazioni perchè ci vivono benissimo. Ci andrà il Papa ? Nell'articolo di Paglialunga non se ne fa cenno, anzi, quando scrive " dalle crisi scoppiate nel resto del Medio Oriente " avrebbe dovuto specificare " con l'eccezione di Israele", ma non l'ha scritto. Non essendo mai stato citato, non dovrebbe essere incluso nel viaggio papale.
Vedremo.
Ecco l'articolo:
Che Papa Francesco possa recarsi in Terra Santa nella primavera del prossimo anno non costituisce, di per sé, una notizia clamorosa. Diversa sarebbe la prospettiva se, nel corso di quel viaggio, il pontefice dovesse recarsi anche in Giordania, dove pure si recarono i suoi predecessori Giovanni Paolo II nel 2000 e Benedetto XVI nel 2009. La tappa in Giordania - E non tanto perché, quest'ultima, costituisca oggi uno dei fronti della lotta al terrorismo o un epicentro delle cosiddette «primavere arabe»: tutt'altro, il Paese, dopo qualche sommossa dei mesi scorsi, è tranquillo e re Abdallah II, che in agosto è stato ricevuto in Vaticano da Papa Francesco, sembra essere riuscito ad ammorbidire i dissensi, sorti, più che altro, grazie a un effetto domino causato dalle crisi scoppiate nel resto del Medio Oriente. Il fatto assumerebbe rilievo internazionale, perché Amman è oggi la principale meta di destinazione dei profughi della Siria, che ammontano a circa un milione, e ospita uno dei più importanti campi di accoglienza dell'intera regione, Zaatari, che si trova a pochi chilometri dalla città di Mafraq all'incrocio dei confini tra Siria, Iraq e Giordania. Recandovisi, Papa Francesco riaffermerebbe, con un gesto simbolico, ma concreto, l'attivismo della diplomazia vaticana nelle iniziative di pace già avviate nel corso dell'estate, e culminate con la giornata di preghiera e digiuno del 7 settembre. Il Papa nel campo profughi dei siriani? Il condizionale in questi casi è d'obbligo, e il primo a saperlo è la fonte stessa dell'indiscrezione, raccolta dal Vatican Insider, ovvero il vescovo ausiliare di Amman, monsignor Maroun Lahham. Anzitutto perché la missione in Terra Santa per commemorare il 40esimo anniversario dello storico abbraccio tra Papa Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli Atenagora non è ancora stata confermata ufficialmente, e poi perché, nonostante l'attacco americano alla Siria sia stato stoppato anche grazie all'intervento del pontefice e il Consiglio di sicurezza dell'Onu abbia votato un piano per lo smantellamento delle armi chimiche di Damasco, accettato dallo stesso Assad, la situazione rimane estremamente convulsa, dopo il massacro di dodici bambini nella città di Raqqa, nel Nord est del paese, vittime di un bombardamento contro la scuola nella quale si trovavano.
Nella stessa città i ribelli jihadisti hanno bruciato due chiese, quella greco-cattolica «dell'Annunciazione» e quella armena dei «Santi martiri».
Tuttavia, conferma con una punta di speranza il vescovo Lahham, «se il Papa chiederà di andare anche al campo di Zaatari, tra i profughi siriani (che li ammontano a oltre 130mila, ndr), lo porteremo».
Nel frattempo, tutta l'area del cosiddetto «Grande Medio Oriente» e dell'Africa sub-sahariana continua a essere incendiata da focolai di violenza anticristiana Proprio in Siria, dopo l'attacco di metà settembre alla città di Maalula, milizie appartenenti al fondamentalismo islamico, hanno attaccato anche il villaggio di Sednaya, a nord di Damasco, che ha causato un morto e prodotto una nuova ondata di profughi. In Egitto, dopo il massacro di metà agosto, che ha visto l'uccisione di oltre 500 persone, e l'assalto a 20 chiese, i cristiani copti sono presi di mira in maniera sistematica, in virtù del loro appoggio al «golpe» che ha destituito il presidente Mohammed Morsi, espressione della Fratellanza musulmana. La provincia di Minya, che si affaccia sulle rive del Nilo, risulta essere quella più colpita. Solo due giorni fa il vescovo Anba Makarios è sfuggito miracolosamente a un conflitto a fuoco, mentre si trovava nella sua auto. Non più tardi di una settimana fa, a Peshawar in Pakistan, un doppio attentato kamikaze davanti alla chiesa anglicana di «Tutti i Santi» ha ucciso oltre 80 persone, tra cui sette bambini e 145 feriti, gettando nuove ombre su quello che per molto tempo è stato considerato il baluardo asiatico dell'occidente nella lotta al terrorismo jihadista.
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