Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/10/2013, a pag. 16, l'intervista di Paolo Valentino a Yuli-Yoel Edelstein, speaker della Knesset, dal titolo " Il nucleare agli ayatollah? Come dare un’arma a un serial killer ".

Yuli-Yoel Edelstein
ROMA — «Quando si parla dei diritto dell’Iran ad avere un’industria nucleare, sento dire da ogni parte: ma voi israeliani, non avete firmato questa convenzione e quest’altra. Francamente, è un paragone che non regge. Vista la storia del regime iraniano, è come se un serial killer dicesse “che c’è di strano se porto una pistola”? Anche i poliziotti hanno le armi. Ci sono Paesi democratici e affidabili e Paesi che non lo sono. Detto questo sono favorevole a soluzioni diplomatiche, con mezzi pacifici, controlli stringenti e clausole applicabili».
Yuli-Yoel Edelstein è lo speaker della Knesset, il Parlamento d’Israele. Esponente dell’ala destra del Likud, il partito del premier Benjamin Netanyahu, Edelstein è originario dell’Ucraina, dove ai tempi dell’Urss fu un celebre refusenik, i dissidenti ebraici cui veniva rifiutato il permesso di emigrare. In Italia per una visita di 3 giorni, Edelstein ha incontrato ieri il ministro degli Esteri Emma Bonino.
Secondo lei bisogna prendere sul serio le aperture di Teheran?
«Ho appena detto al vostro ministro degli Esteri che essendolo stato io stesso, apprezzo tutta la portata della liberazione dei prigionieri politici in Iran. Detto questo, dobbiamo essere certi che ci siano cambiamenti sostanziali. La nuova situazione non è tanto frutto dell’elezione di Rouhani, quanto delle sanzioni dure, che hanno prodotto il loro effetto. Gli iraniani si sono accorti che fanno male. Quindi dobbiamo tenerle, fin quando verificheremo cambiamenti veri».
Ma l’Iran ha diritto ad avere un’industria atomica civile?
«Con una battuta, potrei chiedere perché, visto che è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo. Più seriamente, rispondo con le stesse parole di Rouhani: un Paese in grado di arricchire l’uranio al 3,5% può facilmente arrivare fino al 90%».
Ma se lei parla di soluzione diplomatica, è chiaro che lo sbocco sarebbe un Iran con il nucleare civile, sotto forte controllo internazionale. C’è una contraddizione…
«Non hai bisogno di avere le centrifughe o un impianto per il plutonio in casa, per avere un’industria nucleare civile. Ogni accordo dovrà assicurare che non ci sia nessun impianto o reattore nascosto. Su tutto il resto si può trattare».
Con quale stato d’animo andate al nuovo dialogo con i palestinesi? La coalizione di governo appare divisa al suo interno. Saprete superare i contrasti?
«Primo, io credo che i colloqui in corso siano seri. Lo so dal fatto che non ci sono troppi titoli sui media e le parti non si stanno lanciando accuse reciproche in pubblico. Secondo, ci sono problemi e ostacoli oggettivi: non parlo di Gerusalemme o dei rifugiati. Penso per esempio a Gaza: immaginiamo che domani ci sia l’accordo. “Comprende Gaza o meno?”, sarebbe la sua prima domanda alla conferenza stampa. E nessuna risposta sarebbe quella buona. È complicato. E quindi spero, terzo punto, che entrambi siano coscienti che non sarà possibile raggiungere un’intesa complessiva, senza buchi. E che bisognerà proseguire, soprattutto nella cooperazione. Vede, su temi sensibili come la sicurezza noi già cooperiamo, con buoni risultati. Ma dobbiamo anche farlo sull’economia, le risorse idriche, l’agricoltura».
La soluzione dei due Stati è la linea ufficiale di Netanyahu. È anche la sua?
«Qualsiasi soluzione seriamente negoziata dalle due parti e concretamente applicabile sarà accettabile. E ci sarà una maggioranza favorevole nella Knesset e nella popolazione. Non so quale sarà. Ma intravederla oggi è solo un esercizio teorico, per via di tutte le questioni aperte, cominciando da Gaza».
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