Su ITALIA OGGI del 04/10/2013, a pag. 8, con il titolo " Un anti-utopista sopravvissuto all'orrore della caccia al giudeo ", Diego Gabutti recensisce il libro di memorie di Aldo Toscano "Io mi sono salvato. L'olocausto del Lago Maggiore e gli anni dell'internamento in Svizzera 19431945, Interlinea 2013, pp. 280, 15,00 euro"
In copertina Aldo Toscano
Tra tutte le utopie del Venteimo secolo, ce n'è stata una che non si è proposta di riedificare il mondo daccapo, cancellando gli ebrei o la borghesia o gl'infedeli dalla faccia del mondo, ma che s'è vietata, al contrario, ogni proposito: è l'utopia della normalità, l'utopia di chi scampa per un soffio all'abbraccio mortale delle utopie, come spiega Alberto Toscano nella prefazione al libro di suo padre, Aldo Toscano," Io mi sono salvato. L'olocausto del Lago Maggiore e gli anni dell'internamento in Svizzera 19431945, Interlinea 2013, pp. 280, 15,00 euro." Ebreo in fuga dai nazifascisti dopo l'8 settembre del 1943, salvo nel corpo, un po' meno nell'anima, Aldo Toscano visse il resto della propria vita, passata la notte della guerra mondiale, in un modo che «sembrava semplicemente normale». Adesso, un'età del mondo più tardi, «rileggendo gli appunti di mio padre, grazie al meticoloso lavoro di ricerca compiuto da mia sorella Laura, mi rendo conto di cosa si celasse dietro quel fischiettare allegro e soddisfatto (era sempre lo stesso motivetto) con cui Aldo Toscano apriva la porta la sera, rientrando a casa. Quelle note erano per lui un inno alla pace». Normalità. Niente SS, nessun Gulag, l'orizzonte sgombro fin dove arriva lo sguardo. Aldo Toscano stava fischiando insieme «la Marsigliese, l'Inno di Mameli e l'Inno alla gioia di Beethoven». Secondo Karl Kraus, tentato e insieme atterrito dalle utopie, «c'è un'oscura regione della terra che manda per il mondo degli esploratori». Non si è mai ben capito chi fossero di preciso questi esploratori, da dove venissero e quale segreto esattamente custodissero. Ma forse erano - perché no - degli antiutopisti, che esorcizzavano i demoni dell'utopia con i riti della normalità: «una cena della classe, una partita alle bocce, una passeggiata tra i campi». In quest'ultimo caso, Aldo Toscano potrebbe ben essere uno di loro, e così gli altri scampati. Per operare l'esorcismo, infatti, bisogna aver visto il demonio. Toscano, come i suoi contemporanei sommersi e salvati, vide all'opera «il diavolo della storia», come l'avrebbe poi chiamato il poeta e saggista polacco Aleksander Wat (Il mio secolo, Memorie e discorsi con Czeslaw Milosz, Sellerio 2013, pp. 728, 28,00 euro). Lui fu uno dei salvati, ma, per approdare sano e salvo nel regno della normalità, dove si gioca a bocce e si passeggia tra i campi fischiettando sempre lo stesso motivetto, felici d'essere vivi insieme ai propri figli, Aldo Toscano dovette fuggire dall'Olocausto inseguito dai cani, dalle SS, dai burattini italiani della Gestapo e dall'indifferenza di chi chiudeva le finestre per non sentire l'eco delle raffiche di mitra che hanno fatto da colonna sonora al secolo breve. Sopravvissuto all'orrore della caccia al giudeo scatenata dagli hitleriani nell'Europa occupata, Toscano non si riprese mai del tutto dal trauma della fuga in Svizzera, dell'internamento, dello sterminio, della violenza politica. Ma chi potrebbe farlo? Perché, naturalmente, c'è un prezzo anche per l'utopia della normalità: i brutti sogni. Scrisse poesie, tenne diari, raccolse libri e memoriali e, sempre fischiettando lo stesso motivetto, parlò con altri scampati, scrisse resoconti sempre più precisi, tornando ostinatamente sul ricordo di quei giorni. In un contenitore di latta, che apriva e richiudeva per riporvi sempre nuovi reperti, conservò, per tutta la vita, documenti, fotografie, ritagli di giornale, a testimonianza di un'esperienza universale: «l'odissea senza fin, triste, dolente» dei perseguitati. Seguì con sguardo attonito (lo stesso sguardo che Hannah Arendt aveva rivolto pochi anni prima alla «banalità del male» incarnata da Adolf Eichmann, processato per crimini contro l'umanità a Gerusalemme) il processo per le stragi (di bambini, di donne) a Meina, Baveno, Arona, Stresa e Mergozzo (a volte, nell'aula, non c'era «neanche uno spettatore, e nemmeno un giornalista tedesco»). Scrisse: «La memoria della Shoah, prima che in noi tutti fatalmente si dissolva, ci induca almeno a riconsiderare le sue cause, le forme e le trappole dell'antisemitismo: una suggestione collettiva, che indusse al disprezzo dell'altro, al rigetto del «diverso», al crimine contro la nostra stessa natura».
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