Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 02/10/2013, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Netanyahu all'Onu: Rohani mente ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Tatiana Boutourline dal titolo " C’è un trucco nella 'flessibilità eroica' di Khamenei, e sa di pollo ". Da REPUBBLICA, a pag. 19, l'articolo di Alberto Flores D'Arcais dal titolo " Netanyahu: pronti ad agire da soli contro l’Iran ".
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Netanyahu all'Onu: Rohani mente"
Fiamma Nirenstein Bibi Netanyahu
Ha camminato sul sottile filo della verità e della diplomazia Benjamin Netanyahu ieri all’Onu: di fronte a lui, un’assemblea che non aveva voglia di sentire suonare la sveglia del premier israeliano preferendo credere nei sorrisi del presidente iraniano Rohani. Dopo l’incontro con Obama, Netanyahu lo ha assecondato almeno dicendo che desidererebbe la strada diplomatica, e anche credere a Rohani. Ma poi ha sparato una raffica di ragioni per non credergli affatto: attentati in 26 città site nei cinque continenti, violazioni dei diritti umani, bugie sull’arricchimento dell’uranio e sulle testate balistiche per trasportare l’arma atomica, citazioni di tutti gli inghippi inventati per acquistare tempo, stesso obiettivo che Rohani sta perseguendo oggi: vuole una situazione di quiete per proseguire il programma atomico e anche che cadano le sanzioni che uccidono la sua economia. Le tre intenzioni di Israele sono scritte nella pietra: pressare l’Iran con le sanzioni finché non si vedono risultati concreti (e qui Obama è di opinione diversa) e niente piccoli accordi: si deve arrivare all’eliminazione di tutto il programma nucleare. Se del caso, Bibi ha scandito, Israele si leverà contro il nucleare iraniano anche con mezzi militari, e lo farà persino da solo perché sa che il fanatismo degli ayatollah è una minaccia reale per tutti. Alla fine ha ricordato come suo nonno, in Europa, fu aggredito, ferito, gettato per terra da un gruppo di antisemiti e disse: «Che vergogna, il figlio dei Maccabei giace nel fango senza la possibilità di difendersi». Poi, immigrò in Israele.
www.fiammanirenstein.com
Il FOGLIO - Tatiana Boutourline : " C’è un trucco nella 'flessibilità eroica' di Khamenei, e sa di pollo "
Tatiana Boutourline Ali Khamenei
Milano. Dopo giorni in cui a Teheran tutto è parso possibile – aprire un Kentucky Fried Chicken in un incrocio tra murales di martiri e gigantografie della stretta di mano che ancora non c’è stata tra Hassan (Rohani) e Hussein (Barack Obama, ma di questi tempi è solo Hussein) – sul cielo della pace iraniano-americana è passata la nuvola che tutti temevano, il guastatore Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano era a New York, ma ogni sua parola e ogni reazione di Obama alla sua “verità” è stata vivisezionata e commentata dagli iraniani. Poi i più hanno tirato un sospiro di sollievo: la comprensione Obama-Bibi, un salto di qualità rispetto alle freddure dei precedenti incontri, non mette a rischio la pax rohaniana. Il ministro degli Esteri, Javad Zarif, ha rimarcato il suo disappunto nei confronti di Obama (dire “le opzioni sono sul tavolo” è una cosa sbagliata, da macho) e ha fustigato il “bugiardo” Netanyahu, che ieri all’Onu ha fatto un gran discorso contro il bluff iraniano sul nucleare e contro Rohani “lupo vestito da agnello”. Ognuno ha i suoi guastafeste, ha lasciato intendere Rohani in questi giorni, ma l’accordo si può fare e gli inciampi – i falchi iraniani, Netanyahu, il Congresso americano, i sauditi – non lo fermeranno. L’ottimismo iraniano è confortato dall’atteggiamento propositivo del capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, che auspica per l’appuntamento del 5+1 a Ginevra del 15 ottobre “la migliore atmosfera possibile”, e dai segnali positivi del segretario di stato americano, John Kerry. “Le cose si stanno muovendo davvero velocemente, più velocemente di quanto non ci aspettassimo”, ha detto il giornalista conservatore Amir Mohebbian al New York Times all’indomani della telefonata tra Obama e Rohani. Resta da capire quanto spazio di manovra sul dossier nucleare si è conquistato il team Rohani-Zarif. Secondo quanto trapelato da un incontro tra Rohani e un gruppo di analisti all’Asia Society, il presidente iraniano ha ribadito la volontà di dissipare le ambiguità e assicurare trasparenza: Teheran aprirà i siti nucleari al monitoraggio degli ispettori dell’Aiea. Più esplicito Zarif in un’intervista all’Abc: dev’essere salvaguardato il diritto all’arricchimento dell’uranio e devono essere revocate le sanzioni americane. Sul resto Zarif ha fatto intravedere spiragli, soprattutto sui livelli di arricchimento (si parla di una rinuncia all’arricchimento al 20 per cento per uno al 5), ma Netanyahu si oppone all’ipotesi di lasciare all’Iran una qualsiasi possibilità di arricchimento e la sua posizione è condivisa dal Senato americano. Nonostante le incognite però tutto va avanti come se nessun terzo incomodo possa opporsi alla scintilla tra Hussein e Hassan. Il 30 settembre, il quotidiano Shargh ha pubblicato in prima pagina un’intervista ad Alan Eyre, un portavoce del dipartimento di stato americano, altri giornali iraniani hanno mostrato le foto sorridenti di Kerry e Zarif come fosse la cosa più normale del mondo. A Teheran si favoleggia di una camera di commercio Iran-Usa e, secondo l’Isna, Rohani ha già chiesto uno studio di fattibilità sulla ripresa dei voli diretti con gli Stati Uniti. Nei giorni scorsi la nipote di Khomeini, Naimeh Eshraghi, e il commentatore politico Sadegh Zibakalam hanno invocato un dibattito pubblico sull’uso del canto “Morte all’America” e la cosa più stupefacente è che l’imam della preghiera di Isfahan, Mohammed Taghi Rahbar, ha dato loro ragione. Gridare “Morte all’America” va contro il Corano. “C’è stato un tempo in cui abbiamo urlato “Morte all’Unione sovietica, poi le condizioni sono cambiate. Se l’America ci dimostrerà benevolenza, tutto sarà risolto”. Al di là del lancio di uova e di scarpe contro la macchina di Rohani al suo ritorno a Teheran (l’ex presidente Khatami ha fustigato la presenza di “gruppi distruttivi” e c’è chi imputa la contestazione all’ex negoziatore nucleare e grande sconfitto delle urne Said Jalili), le reazioni dei falchi sono state blande, controllate, in alcuni casi sorprendenti. Il generale dei pasdaran Naghdi ha benedetto la scelta di usare il “potenziale diplomatico iraniano”, persino il temuto capo di al Quds, Qassem Suleimani, ha avuto parole d’encomio per “una diplomazia che dimostra il rispetto del mondo per l’Iran”. Al leader delle Guardie rivoluzionarie Ali Jafari è toccato il ruolo della Cassandra, ma la sua critica alla chiacchierata tra Obama e Rohani (è stato un errore, bisognava ottenere qualcosa, prima di compromettersi in un contatto diretto) era inserita in un discorso in cui gli sforzi del presidente venivano avallati. Quando Rohani ha vinto le elezioni, gli iraniani, stupefatti che il loro voto fosse stato contato, dicevano che pareva che qualcosa fosse stato messo nell’acqua, che loro (il popolo) e gli altri (il regime) erano tutti ubriachi come se sull’Iran all’improvviso fosse disceso lo spirito di Omar Khayyam. Ma il fair play che pervade pasdaran e picchiatori è molto lucido e poco poetico: incombe la voragine economica e risuona l’avvertimento lanciato da Khamenei il 17 settembre a difesa del suo presidente. In un discorso molto commentato e altrettanto frainteso il leader supremo ha invocato la “flessibilità eroica”, una variazione sul tema dei bocconi amari da ingoiare nell’interesse del regime. Negli anni Settanta, la Guida suprema tradusse dall’arabo un libro intitolato “La pace dell’Imam Hassan: la più gloriosa ed eroica flessibilità della storia”. Hassan è il secondo imam della tradizione sciita, siglò la fine delle ostilità con il califfo Mu’awiya per evitare un bagno di sangue ed è spesso contrapposto al fratello Hussein che andò incontro a morte certa per combattere l’ingiustizia degli Omayadi. Nei momenti più delicati della storia postrivoluzionaria, come la decisione di Khomeini di porre fine alla guerra con l’Iraq, spunta fuori la dicotomia tra Hassan e Hussein. Così questa per Khamenei è una nuova era di Hassan e la flessibilità eroica è diventata il nuovo mantra di Teheran. La flessibilità però non va equivocata: Hassan non è uno sconfitto, ma un eroe che ha capito i suoi tempi. Il capo del Parlamento, Ali Larijani, lo ha ribadito: quello accettato da Khamenei è un cambiamento tattico e non strategico. Rohani sta esplorando la via del dialogo, “ma la strategia del regime riguardo al nucleare non muterà”.
La REPUBBLICA - Alberto Flores D'Arcais : " Netanyahu: pronti ad agire da soli contro l’Iran "
Alberto Flores d'Arcais
NEW YORK — Pronti ad agire anche da soli. Dalla tribuna delle Nazioni Unite Benjamin Netanyahu attacca l’Iran e il nuovo presidente Rohani («un lupo travestito da agnello»), chiede alla comunità internazionale di mantenere le sanzioni e avverte che se dovesse essere necessario Israele è pronto a colpire militarmente il regime degli ayatollah. A 24 ore dall’incontro alla Casa Bianca con Obama, il premier israeliano rende in modo ancora più chiaro quanto aveva detto ieri — tra le righe e il dovuto atteggiamento diplomatico — anche al suo potente alleato a Washington. Netanyahu non crede che ci sia alcuna svolta a Teheran («Hassan Rohani è come i suoi predecessori, un servitore leale del regime») e, dallo stesso podio in cui il presidente iraniano aveva aperto il “dialogo” con Usa e paesi occidentali, ricorda come dalla rivoluzione del 1979 si siano alternati in Iran «presidenti moderati e falchi, che hanno sposato e servito, tutti, lo stesso credo implacabile». Da quando è stato eletto Rohani «il programma nucleare iraniano è proseguito senza interruzione» e i fatti dimostrano («perché un paese con miliardi in petrolio dovrebbe avere un programma nucleare a scopi pacifici?») che quello che l’Iran fa «contraddice completamente » quanto il nuovo presidente sostiene. Il regime degli ayatollah vuole che vengano cancellate le sanzioni, ma in cambio non ferma il suo programma nucleare (alla Casa Bianca Netanyahu aveva detto, portando anche prove da parte dell’intelligence israeliana, che il nucleare pacifico è un bluff), quindi secondo il premier israeliano per capire se quanto afferma Rohani è vero, sono necessarie queste condizioni: lo «smantellamento completo e verificabile» del programma nucleare: la fine dell’arricchimento dell’uranio, il trasferimento all’estero dell’uranio arricchito, lo smantellamento delle infrastrutture per l’arricchimento, la fine dello sviluppo di un reattore ad acqua pesante. In caso contrario «Israele è pronto ad agire da solo», perché sanzioni «dure e minaccia militare credibile» sono l’unica strada percorribile per fermare «pacificamente lo sviluppo del nucleare». Con il suo intervento alle Nazioni Unite Netanyahu cerca di bloccare sul nascere un dialogo (tra Iran e Occidente) che agli occhi di Gerusalemme altro non è che un cedimento agli ayatollah in un momento in cui il regime iraniano è in grande difficoltà. Non va avanti neanche il disgelo tra Iran e l’altra potenza regionale islamica (Arabia Saudita). Rohani ha infatti respinto — su pressione dei falchi di Teheran — l’invito del re Abdullah a partecipare all’Hajj, il pellegrinaggio dei fedeli musulmani alla Mecca.
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