La balma delle streghe Stella Bolaffi Benuzzi
L’eredità della mia infanzia tra leggi razziali e lotta partigiana
Prefazione di Paolo Rumiz
Giuntina euro 15
Esce il diario della figlia di Giulio (il comandante Laghi) “In Val di Lanzo, tra streghe e giochi, aspettavo la libertà”
E così, la memorialistica subalpina, accanto a Natalia Ginzburg, Virginia Galante Garrone, Lalla Romano, si arricchisce di un’ulteriore orma femminile: Stella Bolaffi Benuzzi, una signora ruotante intorno a un intimo filo di ferro, nonché ramo orgoglioso di un albero genealogico costellato di francobolli, di rarità in rarità risalendo al 1890, quando nonno Alberto fondò la pregiata ditta torinese, cedendo il testimone nel 1944 al figlio Giulio, il comandante Laghi, alla guida in Val Susa della divisione di Giustizia e Libertà «Stellina», come la figlia. «Ha una sua (!) borghesissima paura della parola “politica” - lo ritrarrà Ada Gobetti -. La guerra la combatte e la paga generosamente». Nel nome del padre è il journal di Stella Bolaffi Benuzzi La balma delle streghe (Giuntina, pp. 184, €15, prefazione di Paolo Rumiz). Ovvero «l’eredità della mia infanzia tra leggi razziali e lotta partigiana», bagaglio che permeerà le future stagioni, dagli studi al matrimonio, alla professione. Una fanciullezza braccata, fuggendo da SS e repubblichini in Val di Lanzo, a Vonzo, una frazione di Chialamberto, come istitutrice, angelo custode, mentore, la maestra Gabriella Foà, un Augusto Monti delle classi elementari. Psicoanalista freudiana, Stella Bolaffi subito evoca il dottore di Zeno, «l’autobiografia, buon preludio alla psico-analisi». Nella Balma alternandosi (e intrecciandosi) il racconto e la sua «lettura», seduta dopo seduta. «No, non concordo con Svevo. È una considerazione semplicistica, la sua. In analisi, sono due i protagonisti, artefici di un dialogo che culmina nel transfert».Inseparabile da Alberto, ieri e oggi, la signora Stella, poco importa la distanza geografica, in Alberto riconoscendo l’eco nitida del padre, del «depositum» Bolaffi che si trasmette di generazione in generazione. «Mio padre, una figura cardinale, nel male e nel bene. Nel male: come subiva la madre, la possessiva nonna Vittoria, come era geloso della mamma, come era drastico con me, nessuna discussione ammessa, com’era ostile, per esempio, a qualsivoglia, innocente vanità. Ricordo quando, sposata, gli feci visita con i due bambini, sulle labbra appena un velo di rossetto. Mi intimò: “Ora andrai nella toilette, a lavarti il viso”». E nel bene? «Una forza d’animo eccezionale, anche nelle occasioni più tragiche, mai smarrendo la flemma».Mai abdicano, papà Giulio, all’identità ebraica: «”Onora tuo padre e tua madre”, il comandamento per lui sommo. Quando il nonno muore, nel diario di cui presto uscirà un’edizione scientifica, non esiterà a definirlo “il mio più grande amico”. No, non era un ebreo ortodosso, di sabato lavorava, ma andava al Tempio, faceva l’offerta, diceva le preghiere la mattina e la sera, indossando il cappello e il tallèt, il manto».L’attesa dela libertà, nella Balma delle streghe, è l’attesa del padre. Il suo ritorno alla vita civile, dopo la clandestinità, è l’aurora che scardina la notte, che incenerisce il colore nero. La bomba fatta esplodere sulla strada per Torino simboleggia il punto e a capo, l’addio alle armi, la speranza di veder nascere una diversa Italia.È grazie all’ebreo Freud che Stella Bolaffi Benuzzi è riuscita «a dare una spolverata alla Balma», all’età che forse fu nonostante tutto favolosa sotto falso nome: «Che poi lassù lo chiamassero “balma” e Freud “inconscio”, sempre di streghe si tratta e delle loro mele avvelenate» (balma che è un grosso masso, di masso in masso formando, rotolando, delle caverne...). Freud scoperto nella biblioteca della nonna materna a Acqui: «Le ore passate sulla dormeuse leggendo L’interpretazione dei sogni...».Perché solo adesso La Balma? «Non mi sembrava corretto, verso i pazienti, sollevare il sipario su di me quando esercitavo la professione». Sciolta la riserva, «immagino un seguito, La grotta della foca monaca, restaurando le giornate alla Capraia, quando c’era il tetro carcere, ma non la luce elettrica, assaporando le tregue, che la vita della psicologa è ardua. Nel frattempo ho voluto comporre una sorta di esercizio di ammirazione, in onore del cardinal Martini». Occorre, per capire, riandare alla stagione universitaria. «A quando mi laureai con Augusto Guzzo, controrelatore Benvenuto Terracini, sul’etica dei Salmi. Il Padre ha voluto scolpito sulla tomba nel Duomo milanese un salmo: “La tua parola è lampada ai miei passi / luce sul mio sentiero”. A un idem sentire ho voluto rendere omaggio».Carlo Maria Martini, il ponte solido, finalmente mondo di ogni incrostazione, perfidia, infamia, fra cristiani ed ebrei. Selvatica come suole narrarsi, mentalmente sempre nei boschi, per mano al comandante Laghi che le insegna a riconoscere i funghi, sorretta da una cordiale ironia, due pupille che hanno visto le streghe, Stella (in ebraico Kokhbà) Bolaffi Benuzzi posa lo sguardo sulla vera, commuovendosi: «E’ un dono di papà. Che emozione leggerne la scritta all’interno: Giulio e Mina 21 maggio 1933 - 25 iyar 5693. Era la fede di mia madre. Nell’anello è riunito in me l’amore per i miei genitori come loro avevano riunito in quelle due date ebraismo e cattolicesimo».
Bruno Quaranta
La Stampa