Dopo la serie di articoli di Stefano Torelli disinformanti su Israele e pubblicati nella rubrica Medi Orienti, riportiamo con piacere da SETTE del CORRIERE della SERA di oggi, 27/09/2013, a pag. 80, l'articolo di Stefano Rodi dal titolo "L'ebraismo che scoprì l'ecologia 3mila anni fa".
Alberi nel Negev Kkl (Keren Kayemeth Lelsrael)
Vivere in armonia con la natura significa, a volte, fermarsi. E, magari, riflettere. Bruce Chatwin, uno che aveva girato il mondo e aveva imparato a conoscerlo, diceva che «se il futuro esiste, sta nella rinuncia». Una religione, l'ebraismo, tremila anni fa, con l'introduzione dello Shabbat, la festa del riposo, ha fissato per legge una pausa biblica, un "mai tutti planetario" che, nel tempo, ha assunto un valore simbolico che ha attraversato paesi, culture ed economie. Se ne parlerà a lungo quest'anno a Milano, nei quattro giorni del festival internazionale di cultura ebraica, dal 28 settembre al 1 ottobre. Uno dei temi centrali, in questa prima edizione dl Jewish and the City dedicata allo Shabbat, sarà quello del rapporto tra ebraismo e natura, in concomitanza con la giornata europea della cultura ebraica che si tiene il 29 settembre anche in molte altre città italiane ed europee. Il concetto del riposo, del "fermo biologico" e, più In generale, di una gestione oculata delle risorse del pianeta sono punti con cui la società moderna deve fare conti, anche perché sempre più spesso non tornano. Quest'anno, l'Earth Overshoot Day, quello che segna la data in cui l'umanità esaurisce le risorse naturali del pianeta disponibili per l'anno in corso, è caduto il 20 agosto, secondo quanto calcola il gruppo di ricercatori che fa parte del Global Footprint Network e che calcola questo "breakeven" dal 1993, anno in cui, per la cronaca, il giorno del "pareggio di bilancio" con la natura cadeva il 21 ottobre. E per il resto dell'anno? Negli altri mesi si vive accumulando debiti con la natura e, su questo fronte, non ci sono manovre finanziarie che tengano. Migliaia di anni fa, quando tutto su questo pianeta si poteva temere tranne l'esaurimento delle sue risorse, l'ebraismo "mise le mani avanti" e anticipò concetti che si ritrovano oggi al centro dell'attenzione ecologista. «Il problema dell'armonia tra uomo e natura», riflette Ella Richetti, rabbino della sinagoga di Milano di via Eupili, .non nacque sicuramente perché tremila anni fa esistevano preoccupazioni sull'esaurimento delle risorse naturali, ma per il fatto che D-o (nella religione ebraica Dio non può essere nominato, ndr) concede l'uso della sua opera all'uomo, e che la proprietà di quest'ultima resta nelle sue mani; come tale, deve essere tutelata nel migliore dei modi possibili. Il concetto chiave, attorno al quale ruota tutto il pensiero "ecologista" ebraico è quello dello Shabbat. Su questo concorda pienamente anche Roberto della Rocca, direttore scientifico di Jewish and the City. «L'interruzione del ciclo settimanale lavorativo appare preordinata a radicare il principio che il tempo deve essere visto e vissuto come momento e opportunità di superamento della schiavitù materiale quotidiana, che ci tiene avvinti alle esigenze della corporeità. E come ingresso in una dimensione di tutt'altra natura». Se nel primo capitolo della Torah scritta, Dio ordina all'uomo «empite la Terra e rendetevela» , pochi versetti dopo precisa che «Dio pose l'uomo nel Giardino (Il mondo intero, ndr) perché lo coltivasse e lo custodisse». Cè dunque il diritto di utilizzare la natura per le proprie necessità ma, allo stesso tempo, c'è il dovere di salvaguardarla. Come possono coesistere questi due aspetti lo spiega un versetto del quinto libro della Torah, con un esempio che sarà anche datato ma è efficace «Quando in una guerra un'annata stringe d'assedio una città e si prepara a usare un albero come ariete, non può usare a questo scopo un albero da frutto, ma solo uno non fruttifero».
Acqua e alberi. E proprio con gli alberi, e non solo quelli da frutto, la cultura ambientale israeliana ha mostrato nel recente passato di saper lavorare bene. Dal 1901 il Fondo Nazionale Ebraico, organizzazione no profit nota anche come Kkl (Keren Kayemeth Lelsrael), ne ha piantati 28o milioni. E nella zona di Yatir, in pieno deserto del Negev, dove il primo albero venne messo nel 1964, una foresta di pini copre adesso 3omila dune su un'area di 3o chilometri quadrati.
«E in quest'area», commenta Silvio Tedeschi, presidente dl Kkl onlus Italia, «la temperatura media annua è scesa di due gradi. Questi pini vivono con un bicchiere d'acqua all'anno, grazie al sistema dell'irrigazione a goccia». In una terra dove I miracoli sono passati alla storia, adesso resta una sapiente conoscenza della natura, la capacità di sfruttare le sue risorse ma anche e forse soprattutto di difenderle. Israele è un Paese che ha una sola fonte di risorsa idrica naturale: il lago dl Tiberiade. «Adesso possiamo contare su 22o bacini idrici che raccolgono l'acqua piovana che cade a gennaio e a febbraio e che viene poi ridistribuita durante il resto dell'anno», spiega ancora Tedeschi. Quando si sanno fare i conti con la natura non si butta via niente: il 95% delle acque nere, per esempio, viene filtrato, reso quasi potabile, e riusato per l'agricoltura. E poi si cerca, si prova, si impara. «E soprattutto ci si confronta con gli altri», conclude Tedeschi «Noi stiamo collaborando con Paesi africani subsahariani, mettendo a confronto le nostre rispettive esperienze in campo ecologico. Lo stiamo facendo anche con l'Australia, per esempio, in particolare sui possibili utilizzi della pianta dell'eucalipto». Vivere in armonia con la natura, sfruttare le sue risorse ma anche difenderle e farle proliferare. Dio - non solo quello degli ebrei - lo dice da tremila anni. Ma gli uomini faticano a capirlo.
Per inviare la propria opinione a Sette, cliccare sull'e-mail sottostante