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La Stampa - Il Sole 24 Ore - Il Foglio Rassegna Stampa
27.09.2013 Iran: un errore grossolano prendere sul serio Rohani
commenti di Maurizio Molinari, Christian Rocca, Bret Stephens, editoriale del Foglio

Testata:La Stampa - Il Sole 24 Ore - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Christian Rocca - Editoriale del Foglio - Bret Stephens
Titolo: «Dietro l’accelerazione diplomatica gli attriti fra Khamenei e Pasdaran - Perché Rohani non ha riconosciuto l'Olocausto - Decriptare l’iraniano Rohani - Yalta ci dice quant’è pericolosa la tentazione iraniana di Obama»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 27/09/2013, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Dietro l’accelerazione diplomatica gli attriti fra Khamenei e Pasdaran ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 16, l'articolo di Christian Rocca dal titolo " Perché Rohani non ha riconosciuto l'Olocausto ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Decriptare l’iraniano Rohani ", l'articolo di Bret Stephens dal titolo " Yalta ci dice quant’è pericolosa la tentazione iraniana di Obama ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Dietro l’accelerazione diplomatica gli attriti fra Khamenei e Pasdaran "


Maurizio Molinari    

La contestazione dei contenuti dell’intervista di Hassan Rohani alla Cnn, il giallo dell’incontro con Obama saltato all’ultim’ora e la citazione da parte di Ali Khamenei di un accordo del VII secolo descrivono i contorni dei conflitti interni alla Repubblica Islamica sullo sfondo del viaggio del leader iraniano a New York.

Traduzione contestata L’intervista alla Cnn nella quale Rohani parla di «Olocausto» definendolo «un crimine riprovevole e condannabile commesso dai nazisti contro gli ebrei» viene contestata dall’agenzia Fars di Teheran, secondo la quale nelle espressioni in persiano del presidente non figura il termine «Olocausto» e la traduzione più corretta è «crimine commesso dai nazisti contro ebrei e non ebrei». Per giustificare la smentita il sito di Fars mette a confronto le due versioni, affiancandole al video di Rohani, per sostenere che si è trattato di una imboscata tesa dalla tv, complice la reporter Christiane Amanpour impegnata a «fabbricarne» il contenuto. La replica della Cnn è nell’indicare il traduttore di Rohani «in una persona scelta dal governo iraniano» suggerendo un conflitto di interpretazione delle parole di Rohani fra il suo staff e la Fars, agenzia di stampa considerata vicina alle Guardie della rivoluzione.

Niente stretta di mano Proprio il quotidiano iraniano più vicino al fronte conservatore di Teheran che include le Guardie della rivoluzione, «Kayahn», si era detto contrario all’incontro fra Rohani e Obama parlando di «orrore» per la possibilità che «la mano pulita del nostro presidente potesse stringere quella insanguinata» del presidente americano. E sempre le Guardie della rivoluzione avevano fatto precedere la partenza di Rohani per New York da un comunicato nel quale si chiedeva «all’apparato diplomatico della nazione un esame accorto dei comportamenti della Casa Bianca» proprio al fine di scongiurare l’«interazione» fra Obama e Rohani. Tali pressioni hanno avuto successo perché martedì all’Onu la stretta di mano fra i leader è saltata all’ultimo minuto a causa della «dinamica dei rapporti interni iraniani», come affermato dai portavoce della Casa Bianca.

Obiettivo Zarif Se le Guardie della Rivoluzione stanno ostacolando il percorso di Rohani a New York è «perché temono che il ministro degli Esteri Mohammed Javad Zarif lo spinga a fare troppe concessioni sul nucleare» spiega Ray Takeyh, iranista del Council on Foreign Relations, ricordando che proprio il corpo dei pasdaran ha la responsabilità di sviluppare e sorvegliare il programma atomico. Rohani è ben al corrente di tale rivalità perché la nomina di Zarif, ex ambasciatore all’Onu, si è accompagnata a quella di Ali Shamkahni, ex pasdaran e fiero sostenitore del nucleare, alla guida del Consiglio nazionale per la sicurezza. A scuotere il delicato equilibrio fra Shamkani e Zarif è stata la scelta di Rohani di arrivare a New York con una raffica di aperture agli Stati Uniti, in segno di rottura con il predecessore Mahmud Ahmadinejad, che era assai legato ai pasdaran.

Le parole di Khamenei L’interrogativo è perché Rohani abbia accelerato con gli Usa e dunque dove si posizioni il Leader Supremo della Rivoluzione, unico a poter decidere sul nucleare. Patrick Clawson, iranista del Washington Institute, ritiene che Khamenei «ha usato Ahmadinejad per ampliare il programma nucleare e ora vuole sfruttare Rohani per farlo accettare al mondo». Tuttavia il discorso che Khamenei ha pronunciato il 17 settembre apre altri scenari perché il plauso all’«eroica flessibilità» dimostrata nel VII secolo dal secondo imam sciita Hassan nel firmare la pace col rivale Muamiyah, a cui consegnò il dominio sui musulmani, lascia supporre che «Khamenei abbia voluto suggerire altrettanta flessibilità a Rohani» osserva Clawson.

Non si può dunque escludere che si stia aprendo un fronte di tensione a Teheran fra Khamenei e i Guardiani della rivoluzione, che rispondono solo ai suoi ordini. Ad avvalorare tale scenario c’è la scelta di Rohani di farsi difendere dalle critiche interne da Hassan Firouzabadi, capo di Stato Maggiore delle Forze armate, ovvero il rivale dei pasdaran nell’apparato di sicurezza.

Il SOLE 24 ORE - Christian Rocca : " Perché Rohani non ha riconosciuto l'Olocausto "


Christian Rocca

Chi nega l'Olocausto non nega che i nazisti uccisero gli ebrei. Nega le dimensioni dello Sterminio, la sistematicità della Soluzione fmale, l'unicità della Shoah. Quindi, piano con gli entusiasmi: il neopresidente iraniano Rohani è un negazionista come il predecessore. Un nega-zionista dal volto umano, certo. Capace di ammaliare chi insegue una trattativa purché sia (Rohani, per sua ammissione, li ha già fregati una decina di anni fa sul nucleare). L'agenzia Fars sostiene che la Cnn ha manipolato la traduzione, che la condanna specifica dello sterminio degli ebrei non c'è stata e che la parola «Olocausto» non è mai stata pronunciata. Il grande sollievo è ingiustificato: Rohani lascia agli storici il compito di valutare le dimensioni del crimine, paragonai crimini nazisti contro gli ebrei a quelli contro i non ebrei e traccia il falso parallelismo tra sterminio e sofferenze territoriali dei palestinesi. Il negazionismo soft di Rohani si ascolta con meno disgusto di quello rozzo di Ahmadinejad, ma è più pericoloso.

Il FOGLIO - " Decriptare l’iraniano Rohani "


Hasan Rohani

I media internazionali – a partire da quelli italiani – si sono innamorati della “moderazione” del presidente iraniano, Hassan Rohani, si sono fatti conquistare dalla “operazione charme” del leader di Teheran, la tentazione di dargli una chance, di credergli, è forte. Così la “grande apertura” di Rohani sull’Olocausto, durante l’intervista alla Cnn, ha occupato i titoli dei giornali, pareva di sentire anche il sospiro di sollievo che accompagnava la notizia. Secondo l’agenzia iraniana Fars, il presidente non ha detto la parola “Olocausto”, cosa probabile dal momento che i dirigenti iraniani non la usano mai in pubblico (la Cnn dice che il traduttore dal farsi era stato scelto dalla delegazione iraniana e conferma la traduzione del giro di parole che suona come “i crimini dei nazisti contro gli ebrei”), ma certo Rohani ha condannato i crimini dei nazisti contro gli ebrei e contro i non ebrei, anche se poi è andato avanti, è andato oltre. Ed è questo il punto: ha detto che “togliere la vita umana è contro la nostra religione”, soprattutto ha detto che “questo non significa che si può dire che i nazisti hanno commesso un crimine contro un gruppo, e allora loro devono usurpare la terra di un altro gruppo e occuparlo. Anche questo è un atto che deve essere condannato”. E’ la solita parificazione dell’incomparabile: il bilancio sessantennale della crisi arabo-israeliana conta 16.000 palestinesi (inclusi i militari) uccisi da israeliani, a fronte di ben 20.000 palestinesi uccisi per mano araba o addirittura palestinese. Più che un riconoscimento dell’Olocausto, si tratta di uno sfregio che conferma le ambiguità del neo presidente iraniano e della leadership di Teheran. Rohani vuole ribaltare l’immagine del paese data dal suo predecessore Ahmadinejad: deve uscire dall’isolamento e deve allentare quelle sanzioni che stanno distruggendo la sua economia, e lo fa con il suo tono felpato, ammiccante, elegante. Là dove Ahmadinejad sfidava, Rohani tratta. Là dove Ahmadinejad gridava, Rohani sussurra. Non a caso, è stato Rohani a siglare nel 2003 l’accordo con l’Onu per la sospensione dell’arricchimento dell’uranio che ha poi permesso a Teheran di sviluppare il programma clandestinamente per arrivare oggi alle soglie della bomba atomica. Ma Rohani si porta molto, anche se non offre nulla se non la trattativa per la trattativa, accompagnata dallo scherzo della sospensione dell’arricchimento a Fordo (mentre le altre 14.000 centrifughe continueranno a raffinare uranio) e dalla pretesa, come ha detto ancora ieri, che anche Israele aderisca al trattato di Non proliferazione.

Il FOGLIO - Bret Stephens : " Yalta ci dice quant’è pericolosa la tentazione iraniana di Obama "


Bret Stephens      W. Churchill, F. Roosevelt, Stalin  (Yalta)

Yalta. Perché i leader democratici si fanno fregare così facilmente dai dittatori quando si tratta di diplomazia? Ecco la domanda da porre all’Amministrazione Obama, uscita distrutta dalla Russia sulla questione delle armi chimiche, pronta a essere fregata dal presidente iraniano Hassan Rohani sulle ambizioni nucleari della sua nazione. Parte della risposta si può trovare qui, al Livadia Palace di Yalta, dove Joseph Stalin ha ospitato Franklin Roosevelt e Winston Churchill nel febbraio del 1945 per negoziare la mappa politica dell’Europa postbellica. Per i popoli dell’Europa centrale, specie per i polacchi, Yalta è stato a lungo sinonimo di tradimento: tradimento delle garanzie degli alleati, che avevano promesso loro l’autodeterminazione del proprio futuro in modo democratico; il tradimento degli ideali occidentali di libertà e diritti umani, sacrificati sull’altare del potere della politica. Eppure la verità su Yalta è più complicata, e più istruttiva. Roosevelt può aver tradito il principio della libertà polacca. Ma c’era poco che potesse fare per cambiare il fatto che l’Armata rossa occupasse la Polonia in ogni caso. Pensava che, in cambio dell’accettazione dei termini imposti da Stalin su un fronte, avrebbe ottenuto il via libera di Stalin su altri due: l’entrata sovietica nella guerra contro il Giappone, e la partecipazione sovietica alle Nazioni Unite – due grandi passi, pensava, per porre fine alla guerra più velocemente, e consolidare la pace. “Nei nostri cuori eravamo davvero convinti che fosse sorto un nuovo giorno”, ricorda Harry Hopkins, l’assistente più stretto di F. D. Roosevelt, riguardo a Yalta. “Eravamo tutti convinti di esserci assicurati la prima grande vittoria Damaper la pace… I russi avevano dimostrato di essere ragionevoli e lungimiranti, e né il presidente né alcuno di noi aveva il benché minimo dubbio sul fatto che potessimo convivere con loro, mantenendo rapporti di pace per lungo, lungo tempo”. Le cose non andarono esattamente così. Ma contrariamente all’idea che Yalta sia stata un esempio del cinismo o della codardia degli americani, penso sia stata la rappresentazione di uno stile di diplomazia americana che combinava idealismo infinito con ingenuità fatale e fiducia esagerata nel potere della persuasione nel mediare le differenze – più un’indifferenza fatale nei confronti dell’importanza dell’ideologia nel creare tali differenze. Vi ricorda un altro presidente americano? Era vero per Roosevelt. L’uomo che ottenne tutto ciò che voleva dagli americani potrebbe essere perdonato per aver pensato di essere in grado di capire le persone e le loro motivazioni. Tornando dal suo incontro con Stalin a Teheran nel 1943, Roosevelt disse ai reporter: “Sono andato d’accordo con il maresciallo Stalin. E’ un uomo che combina una determinazione incredibile con un’ironia tagliente. Credo sia il vero simbolo del cuore e dell’animo della Russia; e credo anche che andremo molto d’accordo”. Il problema negli incontri fra i democratici e i despoti è che, mentre i primi capiscono la psicologia della motivazione e della seduzione, i secondi sono maestri nell’arte della dominazione e della truffa. Milioni di americani piansero per F. D. Roosevelt quando morì nel 1945, perché aveva donato loro la speranza. Milioni di russi piansero per Stalin quando morì nel 1953, perché aveva donato loro il terrore. Il cuore umano può essere un luogo oscuro, anche se le persone nate in nazioni felici raramente ne sono consapevoli. Gli storici della Conferenza di Yalta hanno spesso sottolineato come i russi avessero messo cimici in ogni stanza del palazzo, in modo che ogni mattina Stalin avesse a disposizione la trascrizione delle discussioni private di Roosevelt e Churchill con i loro staff. Ma il vantaggio di Stalin a Yalta non era l’avere più informazioni a disposizione. Era il suo essere uno psicologo migliore: sapeva come trasformare le illusioni di Roosevelt, convogliandole sui suoi scopi. Prima fra tutte, l’illusione che Roosevelt accarezzava maggiormente era che, attraverso la partecipazione all’Onu, la Seconda guerra mondiale potesse essere quello che la Prima non era stata: la guerra che ponesse fine a tutte le guerre. Stalin era più che disposto a nutrire l’idealismo di Roosevelt – a patto che egli restituisse il favore garantendo a Stalin via libera per le sue ambizioni. Lo stesso accade con un grande numero di negoziati fra democratici e tiranni: quando c’è un accordo, spesso finisce con uno scambio fra il teorico e il tangibile, la concessione immediata e la promessa di lungo periodo, l’accordo su carta e il premio territoriale. Obama in cinque anni ci ha già dato prove del suo desiderio di riconciliarsi con i despoti, così come ha fatto con il suo reset russo; di superare la malafede dimostrando la purezza del suo intento, così come ha fatto con il discorso al Cairo; di sfruttare qualsiasi finzione gli permetta di essere sollevato dai suoi impegni, così come ha fatto con la Siria. Un accordo con l’Iran è una tentazione ideologica e personale cui Obama è incapace di resistere. Se dovesse succedere (e io scommetto che succederà), Obama verrebbe santificato come diplomatico di razza e trionfante custode della pace. Come con Yalta, non ci metteremo però molto a scoprire chi sarà tradito, e cosa sarà perso, in nome di un’illusione.

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