Il commento di Claudia De Benedetti
Claudia De Benedetti, Presidente Agenzia Ebraica - Sochnut Italia
Nonostante i rischi annunciati di guerra e terrorismo che sempre si annunciano durante le feste ebraiche, la settimana appena trascorsa è stata tranquilla per Israele e per le comunità ebraiche della diaspora. Vorrei dunque approfittare di questa occasione per richiamare l'attenzione su un tema rilevante e attuale, di cui si è parlato però molto poco anche fra gli amici di Israele. Si tratta dei provvedimenti adottati dall'Unione Europea per contrastare la presenza ebraica in quella regione che nell'uso dei giornali è chiamata Cisgiordania o West Bank, o addirittura "territori palestinesi occupati", e che costituiscono le regioni storiche della Giudea e della Samaria, quelle in cui si è formato il popolo ebraico e uno stato ebraico ha governato per più di mille anni. Dal punto di vista giuridico non si tratta di "territori occupati", dato che Israele li ha ottenuti in una guerra difensiva nel 1967, togliendoli alla Giordania che li occupava illegalmente, non riconosciuta da nessuno se non dai paesi arabi dalla fine del mandato britannico e dalla guerra di indipendenza del 1948. Negli accordi di Oslo essi non sono attribuiti ai palestinesi, ma la loro futura delimitazione è rinviata ad accordi fra le parti. In questo momento, come è noto, si svolge una trattativa promossa dagli Stati Uniti ed è evidente che una presa di posizioni che ne anticipi la conclusione nel senso voluto da una delle parti (i palestinesi) non può che indurli ad irrigidire le proprie posizioni e dunque rendere più difficile il negoziato. E' quel che ha detto lo stesso Kerry, chiedendo in sostanza all'Unione Europea di non interferire.
L'Unione Europea però non ha perso occasione di mostrare il proprio tradizionale orientamento filoarabo e ha emesso dei provvedimenti o linee guida che hanno il senso di delegittimare ogni presenza e attività ebraica al di là della linea armistiziale del 1949, dove oggi vivono circa 600 mila persone, vi sono numerose imprese che danno lavoro anche a molti arabi, un'università, tre o quattro piccole città e decine di villaggi. Il primo punto critico nega l'attribuzione di ogni possibile fondo o contratto europeo a entità ebraiche che abbiano anche parte della loro attività al di là della linea. Il provvedimento non "punisce" dunque solo le iniziative di Giudea e Samaria, come l'Università di Ariel; ma anche molte di quelle di Gerusalemme: basta che un'impresa abbia un magazzino o un centro di ricerca abbia un dormitorio in un quartiere di Gerusalemme come la città vecchia o Gilo, ed è subito esclusa.
La cosa è resa più grave dalla seconda decisione europea, cioè che i contratti futuri con entità israeliane debbano contenere il riconoscimento di questi principi territoriali. Queste scelte rendono impossibile, allo stato dei fatti, la partecipazione israeliana al grande progetto di innovazione Horizon 2020, cui Israele era stato il solo stato fuori dalla comunità ad essere invitato. Se l'accordo previsto saltasse, ci sarebbe un danno per Israele, che perderebbe i fondi di ricerca che gli sarebbero stati assegnati; ma anche un danno molto grave per il progetto, dato che nei suoi settori di punta (informatica, biotecnologie, tecnologie di risparmio energetico e di "smart city"), Israele è spesso parecchio più avanti dell'Europa e non si avrebbe il progresso tecnico sperato. Per questa ragione sono in corso contatti intergovernativi per cercare di arrivare a una formulazione delle linee guida europee che siano accettabili per Israele.
Un altro provvedimento dello stesso pacchetto richiede che i prodotti israeliani prodotti anche solo in parte in Giudea e Samaria siano etichettati a parte, in modo da consentirne il boicottaggio e da togliere loro i vantaggi degli accordi commerciale fra Unione Europea e Israele. Si tratta del classico boomerang, dato che la discriminazione della produzione in quei territori colpirà innanzitutto la manodopera palestinese, che riceveva dalle imprese israeliane paghe di livello israeliano, molto più alte delle retribuzioni nei territori amministrati dall'Anp e soprattutto vi trovava lavoro. Ma si tratta anche di provvedimenti che rischiano di discriminare sul mercato europeo l'intera produzione israeliana, chiedendo certificazioni di "non origine", suscitando sospetti e possibili boicottaggi, che in alcuni paesi europei hanno già cercato di danneggiare le imprese israeliane. Per questa ragione oltre al governo israeliano anche le organizzazioni ebraiche europee hanno presentato richieste di revisione, contrastate peraltro da appelli di politici e intellettuali di estrema sinistra che hanno chiesto all'Unione Europea di proseguire nella sua azione di boicottaggio.
Anche in questa battaglia si gioca il rapporto, nella storia sempre molto difficile ma oggi davvero molto critico, fra Europa e popolo ebraico.