DallaSTAMPA di oggi, 22/09/2013, a pag. 1, riprendiamo, in occasione della strage a Nairobi, i commenti di Maurizio Molinari e Domenico Quirico sul terrorismo che si sta diffondwndo in Africa. Di Molinari anche l'intervista a Robert Rotberg.
Maurizio Molinari: " Il terrore ora parla africano "
Maurizio Molinari Ayman al Zawahiri
L’ assalto a Nairobi nasce dalla volontà del comandante jihadista Godane di imporre la ferrea guida di Al Qaeda agli al-Shabaab somali: è questa l’analisi prevalente fra gli esperti di antiterrorismo su quanto sta maturando nel Corno d’Africa.Godane è il nome di battaglia di Sheikh Moktar Ali Zubeyr, nato nel Somaliland nel 1977, appartenente alla prima generazione dei capi al-Shabaab, il gruppo militante sunnita salafita dei “Giovani” dal 2006 protagonista della guerra civile in Somalia.
Gli al-Shabaab condividono un’ideologia fondamentalista ma nascono da una fusione di più tribù e clan che genera molteplici rivalità interne, rendendoli vulnerabili agli avversari. La svolta arriva nel febbraio 2012 quando Ayman alZawahiri, successore di Osama bin Laden alla guida di Al Qaeda, annuncia la formale adesione del «movimento Shabaab al-Mujaheddin» nello stesso video in cui si vede Godane giurargli fedeltà. Se è vero che sin dal 2009 gli al-Shaabab avevano mostrato legami con Al Qaeda nella Penisola Arabica - e soprattutto con le cellule in Yemen - il video è un momento di passaggio perché Godane riceve un’investitura a leader che implica la necessità di assumere il controllo di un movimento assai diviso.
Da quel momento gli analisti di intelligence occidentali che seguono il Corno d’Africa hanno osservato una crescente aggressività di Godane contro gli altri capi al-Shaabab, con una campagna di eliminazioni culminata la scorsa settimana nell’agguato in cui sono stati uccisi Omar Hammami, denominato «l’americano» perché originario dell’Alabama, e Usama al-Britani, di origine britannica. In precedenza era stato Sheik Hassan Dahir Aweys, uno dei leader spirituali al-Shaabab, ad essere eliminato in circostanze simili. «Godane sta consolidando il potere rimuovendo ogni rivale interno, inclusi i leader ideologici e religiosi del movimento» spiega Emma Gordon, analista dell’Africa Orientale per «Ihs Country Risk». Hammami era uno dei terroristi più ricercati da Washington - con una taglia di 5 milioni di dollari sul capo - per via della pericolosità del reclutamento di volontari jihadisti nella comunità somala di Minneapolis, in Minnesota, e tale potere interno lo ha trasformato nel nemico più pericoloso di Godane. «L’intento di Godane è unificare gli al-Shaabab sotto il suo comando per farne uno strumento più efficiente per Al Qaeda in Africa Orientale», aggiunge Juan Zarate, ex viceconsigliere per la sicurezza del presidente George W. Bush. Al-Zawahiri cerca così di costruire una continuità strategica fra le cellule in Yemen e quelle che operano nel Sahel. L’aumento dell’attività militare contro i nemici esterni serve a Godane per consolidare il potere interno. Il 12 settembre una potente autobomba è esplosa a Kismayo uccidendo almeno 20 persone e mancando di poco il vero obiettivo: il neopresidente del Jubaland, una regione semiautonoma della Somalia sostenuta da Nairobi per creare una zona cuscinetto fra il Kenya e i territori degli al-Shaabab.
Quell’attacco è stato una sorta di dichiarazione di guerra a Nairobi, considerata da Godane il maggiore alleato di Washington per l’importante sostegno - 5000 uomini - alla missione di pace dell’Unione Africana in Somalia. E otto giorni dopo è arrivato il blitz proprio nel cuore di Nairobi, accompagnato dalla feroce selezione delle vittime fra i non-musulmani in ottemperanza alle disposizioni ricevute da Al-Zawahiri sulla «lotta contro i sionisti ed i crociati». Ad avvalorare i timori di Washington sul disegno di Al-Zawahiri di sfruttare i jihadisti somali con maggior efficacia ci sono le indagini del procuratore del distretto orientale di New York, secondo il quale tre jihadisti arrestati nell’agosto del 2012 in Somalia «hanno confermato il tentativo degli al-Shaabab di sviluppare armi chimiche». I tre vennero arrestati mentre tentavano di raggiungere lo Yemen, dove opera Nasser alWuhayshi - detto Abu Basir - nominato questa estate da Al-Zawahiri nuovo numero 2 di Al Qaeda.
Maurizio Molinari: " Strategia per conquistare l'Africa "
Robert Rotberg è africanista dell’ateneo di Harvard e autore di «Terrorismo nel Corno d’Africa»
Professore, perché le cellule di AlShabaab hanno attaccato nel cuore di Nairobi?
«Perché in Somalia si trovano sotto un’intensa e crescente pressione militare da parte delle truppe dell’Unione Africana e dei soldati governativi. Shabaab deve dimostrare di essere ancora in grado di combattere con una certa efficacia, altrimenti i combattenti somali potrebbero andarsene, condannandolo alla dissoluzione. Gli serviva un risultato eclatante per tentare di risollevarsi e lo hanno trovato a Nairobi, che è il ventre molle della coalizione avversaria. Colpendola hanno cercato il colpo a sorpresa dopo i recenti smacchi militari subiti».
Dove sono avvenute queste sconfitte?
«I miliziani Shabaab sono stati espulsi sia da Chisimaio che da Merka. Anche a Mogadiscio si trovano adesso in forte difficoltà. Non hanno sufficiente capacità di fuoco per fronteggiare i blindati ed aerei delle truppe africane. Negli scontri hanno quasi sempre la peggio».
Chi è stato a guidare l’attacco al centro commerciale?
«Godane, il comandante fedele ad Al Qaeda, impegnato a tentare di ricompattare un movimento Shabaab diviso, con troppe anime, clan e capi etnicamente diversi, rivali fra loro».
Quale è l’interesse di Al Qaeda in Somalia?
«Vuole controllare gli Shabaab e riuscire ad impossessarsi di aree di territorio in Somalia per poter creare un ponte territoriale fra le proprie unità in Yemen e in Nordafrica. Al Qaeda vede la Somalia come un tassello di una riorganizzazione regionale lontano da Pakistan e Afghanistan».
Anche l’Etiopia fa parte della coalizione anti-Shabaab: perché i jihadisti non hanno attaccato Addis Abeba?
«Perché in Etiopia di somali se ne vedono assai pochi in circolazione. E quando ci sono, li riconoscono a un miglio di distanza. Nairobi invece è piena di somali. I jihadisti hanno potuto operare indisturbati nella preparazione dell’attentato».
Domenico Quirico: " La guerra che stiamo sottovalutando "
Eccola la prossima guerra che ci attende, si avvicina, già incombe, da una parte l’Occidente, noi, dall’altra l’Islam radicale determinato a vendicare i secoli dell’umiliazione, a ricostruire con i soldi dell’Arabia Saudita e del Qatar, grande invincibile, la terra del vero dio. Oggi ad essere colpita è Nairobi, e a colpire sono gli shebab. Domani sarà la Tunisia, la Siria, l’Egitto.
Epoi toccherà, almeno nei loro sogni, a Al Andalus, la Spagna che, come mi hanno raccontato gli uomini di Al Qaeda di cui sono stato prigioniero, è «terra nostra e la riprenderemo». All’Occidente, spaurito e volutamente distratto e saldamente deciso a seguire un mito di un Islam moderato, educato che esiste solo nei libri (e nelle bugie), disperatamente aggrappato al calendariuccio delle nostre nobili comodità, sfugge la semplicità brutale del problema. L’Islam fanatico che era un semplice guaio di polizia che ci costava soldi e rendeva complicata la vita, ma non era letale, sta per diventare un problema militare. Quando si è deboli e brutali, come lo è oggi l’Occidente, si è molto più odiati di quando si è forti e brutali ed è ciò che sta accadendo ora.
I folli di dio somali che separano i musulmani dagli «altri» e cominciano a giustiziare i secondi, sono il segno manifesto di questa dichiarazione di guerra, a Nairobi ci sono i primi morti della guerra che verrà. Gli shebab sono la metastasi della tragedia somala, il paradigma di un Paese dove il radicalismo religioso era in passato sconosciuto. Soltanto attraverso la brutalità di una guerra civile, approfittando dell’indifferenza dell’Occidente che non ha saputo intervenire, sono diventati padroni del Paese. Bisognava emarginarli, ma non distruggerli. Ci sono voluti molti anni, ora sono ricomparsi. Controllano ancora buona parte del territorio, possono colpire e vendicarsi nel vicino Kenya colpevole di aver occupato, con la scusa di riportare l’ordine, una parte del territorio somalo (tra l’altro ricco di petrolio). Una storia somala sta per ripetersi in Siria: una rivoluzione troppo debole, gli islamisti che si preparano dopo la cacciata di Assad a imporre la loro legge,
Il Califfato, una società olistica ripiegata su se stessa e sul passato, sembrava un sogno retorico, ma si materializza ogni giorno di più nei fatti. Il partito di dio e i suoi eserciti dimostrano di essere in grado di aprire nuovi fronti. In una guerra santa la morte diventa un combustibile, un mezzo per un fine in sé.
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