Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 17/09/2013, a pag. 12, l'articolo di Gaia Cesare dal titolo "Londra, un giudice vieta il velo islamico in aula".
L'imputata Rebekah Dawson
L’ultima scintilla la fa esplodere il giudice di una corte londinese, con un ordine perentorio, che costituisce precedente, a una cittadina britannica convertita all’islam: Rebekah Dawson, 22 anni, avvolta in un niqab nero che le copre completamente viso e corpo, lasciandole scoperti solo gli occhi, dovrà togliere il velo integrale quando le toccherà testimoniare nel corso di un processo dove è imputata per intimidazione.
Sembrava impensabile nella Gran Bretagna multicult , madre di un’immigrazione basata sull’integrazione più che sull’assimilazione, sul rispetto e la difesa delle differenze etniche e religiose piuttosto che sulla determinazione a far abbracciare agli immigrati valori e tradizioni locali. Eppure sta accadendo anche qui, a Londra, come già avvenuto nella vicina Parigi, che con una legge fermamente voluta da Nicolas Sarkozy mise al bando nei luoghi pubblici - era il 2011 - i simboli religiosi, come burqa e niqab , che nascondono l’identità delle persone. Il velo islamico entra nel dibattito nazionale, la discussione sulla sua possibile messa al bando nelle scuole, nei tribunali o nei luoghi pubblici non suona più come una bestemmia nella patria del politically correct , nel Paese la cui politica delle «porte aperte» ha contribuito a regalare al Labour una storica tripletta elettorale prima dell’avvento della coalizione Tory- LibDem.
Da ieri Rebekah Dawson è il simbolo di un braccio di ferro che da giorni infiamma il Regno Unito, casa di quasi tre milioni di musulmani, più numerosi qui che in Libano (come ricorda uno studio Pew Research), terza comunità in Europa dopo quella tedesca e francese. «Il processo accusatorio richiede apertura e comunicazione e sono fermamente convinto che il niqab intralci entrambe » , ha dichiarato in aula, dal tribunale londinese di Blackfriars, il giudice Peter Murphy. È «cruciale» per la giuria poter vedere il viso dell’imputata mentre sta testimoniando, ha aggiunto il giudice dopo aver ottenuto il riconoscimento della giovane grazie all’intercessione di una poliziotta che ne aveva visto il volto al momento dell’arresto. Il magistrato, dopo aver concesso alla ragazza di indossare il velo integrale durante il resto del processo, deposizioni a parte, ha auspicato che «il Parlamento o una corte più alta possano fornire al più presto una risposta definitiva» sul tema.
Sull’argomento, in realtà, lo scontro si è appena aperto. A scatenarlo era stato un altro caso, quello di una scuola superiore di Birmingham, città del nord dell’Inghilterra a fortissima immigrazione islamica, dove la scorsa settimana era stato vietato alle studentesse di indossare il velo per motivi di sicurezza, per ottenere cioè il riconoscimento degli studenti, che nel Regno Unito subiscono stretti controlli prima dell’ingresso in aula.Una petizione on-line, a cui hanno aderito quasi novemila persone in circa 48 ore, ha costretto poi l’istituto a fare marcia indietro, per evitare l’accusa conclamata di«islamofobia ». La cosa non è stata gradita dalla parlamentare conservatrice Sarah Wollaston, che ha chiesto invece di estendere il divieto a tutte le scuole britanniche, perché «il velo integrale rende le donne invisibili». Il caso di Birmingham e l’uscita della deputata Tory hanno tirato per la giacchetta il premier e il suo vice, costringendoli a intervenire sull’argomento, mentre anche il sottosegretario agli Interni Jeremy Browne, liberaldemocratico, chiamava i colleghi all’apertura di un dibattito nazionale.
Con destrezza David Cameron, che aveva da subito difeso il divieto al velo imposto a Birmingham, ha fatto sapere, dopo la marcia indietro dell’istituto, che «supporta il diritto delle scuole» di decidere sui regolamenti interni e sulle uniformi da far indossare ai propri studenti ma che non sarebbe contrario a un divieto, se volesse la scuola e se fosse anche la scuola dei suoi figli. La battaglia sul velo è appena cominciata.
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