Riportiamo da SHALOM di settembre 2013 l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "La pace ? Solo attraverso un compromesso provvisorio ".
Angelo Pezzana J.Kerry tra Tzipi Livni e Saeb Erekat
L’unico punto di incontro fra israeliani e palestinesi sta nei sondaggi d’opinione, che rivelano il comune pessimismo sul risultato. Anche se alcuni analisti, soprattutto americani, ritengono che gli sforzi di Kerry saranno alla fine coronati da un qualche successo, spinti forse dal fatto che nulla trapela dagli incontri tra Tzipi Livni e Saeb Erekat, le novità tra gli incontri del defunto Arafat e quelli di Abu Mazen sono ben poca cosa. Abu Mazen – come il suo predecessore – smentisce quel che comunica in inglese mentre lo ripete, capovolgendolo, in arabo. Quando ha ricevuto una delegazione di deputati del partito Merez in agosto,ha ripetuto che “un accordo va assolutamente trovato entro sei mesi”, ha pure aggiunto che le delegazioni devono incontrarsi più sovente, ma ha poi affermato che non accetterà alcuna soluzione ad interim – vale a dire parziale – o tutto o niente, sapendo bene che i problemi da risolvere sono tanti, dopo che per 40 anni l’Olp non ha saputo far altro che dire di no. Abu Mazen sa benissimo che le condizioni che Israele era pronta ad accettare dopo gli accordi di Oslo del 1993, non sono più le stesse che si pongono oggi. In 20 anni il Medio Oriente è cambiato radicalmente, e in peggio. Oggi persino le forze di sinistra si rendono conto che i tentativi a dimostrazione della buona volontà di Israele non sono più riproponibili. Gaza doveva diventare una nuova Hong Kong o Singapore, sembrava che l’ostacolo fossero gli 8000 israeliani dalla Striscia, e il miracolo si sarebbe automaticamente realizzato. E’ stato dimostrato invece come questi ragionamenti siano estranei al mondo fondamentalista islamico, non importa come arriva al potere. A Gaza, Hamas ci è arrivato con elezioni democratiche, così come i Fratelli Musulmani in Egitto, instaurando però subito una teocrazia di una tale portata integralista da costringere il ritorno dell’esercito al potere per evitare che il paese finisse sotto il tallone della Shari’a. In più, la presenza di al Qaeda nella Penisola del Sinai, lascia prevedere un futuro denso di incognite a quel confine. Che dire della Siria, se Israele avesse dato retta a quella parte della pubblica opinione che chiedeva la restituzione delle alture del Golan, non nel 1967, ma ancora tre anni fa, nella convinzione che quell’atto avrebbe portato la pace al confine nord ? Qualunque sarà il risultato della guerra civile, chiunque conquisterà il potere in Siria, per Israele, se avesse dato retta a chi – in nome della pace – voleva restituire il Golan, in questi mesi si sarebbe trovata ad avere in casa – come succedeva prima della guerra dei sei giorni, o Assad e le sue armi chimiche o i ribelli jihadisti i quali, per quel poco che si sa, è che sono una accozzaglia di gruppi e movimenti terroristi, di certo non si presentano come un probabile soggetto di buon vicinato. Ecco allora che le parole di Abu Mazen vanno lette nel senso opposto a quello che appare come una affermazione positiva per raggiungere la pace. Raggiungere un accordo sullo stato finale dei rapporti fra Israele e uno Stato palestinese in Giudea e Samaria non è oggi proponibile se non con una soluzione ad interim, l’unica che può garantire a Israele la sicurezza che non si troverà con uno Stato distante una manciata di chilometri e che quasi sicuramente verrà fagocitato da gruppi e movimenti nello stile-Gaza. Come le ultime elezioni municipali dell’Anp hanno abbondantemente dimostrato, nella quali a prevalere erano le liste di Hamas, non quelle dell’Anp. Israele non può correre quello che più che un rischio è una certezza. E’ quindi compito del governo di Gerusalemme preoccuparsi, prima di qualsiasi altro aspetto, della sicurezza dei propri cittadini. In un Medio Oriente lacerato da guerre civili, stragi, colpi di stato, la permanenza di governi nelle mani di al Qaeda o dei Fratelli Musulmani, Israele – pur con tutti i problemi che derivano dall’avere quei vicini – è di fatto un’isola di pace, dove tutti i rapporti si svolgono nella totale trasparenza, è un paese aperto e democratico, che soltanto la cecità e l’odio del fanatismo arabo-musulmano impedisce quella che potrebbe essere una collaborazione di grande interesse soprattutto per i suoi vicini, che avrebbero tutto da imparare da questo piccolo paese che in neanche un secolo è diventato un esempio di modernità, cultura, ricchezza. Un accordo provvisorio ad interim, quindi, per verificare, prove alla mano, che una soluzione del conflitto è possibile, ma non più a parole, nemmeno una firma avrà valore se non verificata nel tempo, visti gli effetti degli accordi di Oslo. Dovranno trascorrere cinquant’anni di buon vicinato, nei quali si metterà in pratica la riconciliazione accompagnata da una ben studiata separazione. Nessuno verrà obbligato a lasciare la propria casa, non gli israeliani e non gli arabi in Giudea e Samaria, verranno studiate e applicate regole di vicinanza che tutti saranno obbligati a seguire. Solo il tempo dirà se un altro Stato arabo può esistere accanto a quello ebraico. Nel 1948 sarebbe stato già una realtà, se gli arabi non l’avessero rifiutato. Oggi Israele ha tutto il diritto di esigere una soluzione che ne garantisca la sicurezza. Abu Mazen è quindi pregato di tenerne conto, se davvero gli interessa che in un futuro neanche lontano possa esserci uno Stato palestinese. Deve fare le stesse affermazioni sia in arabo che in inglese, smetterla di dichiarare Gerusalemme est capitale, si adopri piuttosto a educare i propri concittadini al rispetto e non all’odio, prenda le distanze dal terrorismo invece di esaltarlo nei comportamenti, come quando onora i terroristi usciti dalle carceri israeliane quale pre-condizione per riprendere le trattative di pace. E se vuole rendere efficaci i colloqui, lasci perdere la balia americana, abbia coraggio e tratti faccia a faccia con Israele. Ignori, già che c’è, i tribunali internazionali, dove vuole trascinare Israele un giorno sì e l’altro pure, per via delle costruzioni che Israele ha tutto il diritto di erigere. Prima si deciderà a un compromesso – come farà anche Israele – prima contribuirà a fornire tutte quelle garanzie che lo Stato ebraico giustamente esige. Tragga lezione dagli errori commessi nel passato, dalle guerre, dal terrorismo, e si sforzi di capire che chiunque sarà Primo Ministro in Israele, mai accetterà di mettere a rischio la sicurezza dei propri cittadini. Israele non ha mai vissuto una dittatura, provi a pensare come vivrebbero meglio i palestinesi se fossero governati come lo sono gli israeliani. 50 anni per superare la prova, passano presto, ma bisogna crederci e lavorarci seriamente. Lo dica a Saeb Erekat, non c’è altra via alla pace.
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