Il commento di Giacomo Kahn
Giacomo Kahn, direttore del mensile Shalom e del settimanale Shalom7
Pronti allo scontro, ma tutto è sospeso. Nonostante minacce ed ultimatum
Uno strano clima di attesa ha attraversato le pagine dei giornali della scorsa settimana. Sembra tutto sospeso.
In Italia si attende – da posizioni politiche contrapposte – la decadenza da sentore di Silvio Berlusconi, lasciando alle ore e ai giorni successivi la decisione finale sulla sorte del governo Letta. Così, di data in data, si susseguono gli ultimatum non avendo fino ad ora Pd e Pdl il coraggio delle decisioni ‘irrevocabili’.
Analogo galleggiamento si percepisce leggendo le cronache della guerra civile siriana, in un rimbalzare di opinioni e commenti in triangolazioni tra Washington, Mosca, Damasco, Gerusalemme e Bruxelles. Anche in questo caso tra mille cautele diplomatiche la decisione di punire Assad per l’uso delle armi non convenzionali viene continuamente posticipata.
La politica degli annunci (fatta anche con inconsueti interventi sui media di Assad, di Putin e di Obama) e delle ferme dichiarazioni di principio ha per ora sostituito la politica dei fatti concreti. Un bene se si riesce a spaventare il dittatore e a fermare le stragi di civili; un male se si dimostrerà un bluff che non potrà che rafforzare il regime siriano e soprattutto il suo sponsor iraniano.
Così per molti commentatori la proposta russa del controllo e dello smantellamento da parte di Assad del suo arsenale non convenzionale, offre ad Obama– per la comprensibile difficoltà tecnica e soprattutto per la lunghezza del tempo necessario (sempre poi che Assad collabori e non giochi a perdere ulteriore tempo come fece Saddam Hussein) – la via di uscita da una crisi e da una guerra che lui stesso non vorrebbe, ma che deve minacciare per onorare gli ultimatum e le linee invalicabili che l’amministrazione USA ha sempre tracciato nel caso di uso di armi chimiche.
In questo clima sospeso ed incerto attorno alla crisi siriana esistono tuttavia alcune semplici certezze.
In primo luogo è stata seppellita definitivamente la credibilità di qualsiasi movimento, organizzazione, associazione pacifista. Per due anni – nonostante oltre centomila morti, di cui 5000 bambini e più di un milione di profughi – non abbiano sentito uno slogan, non abbiamo visto un corteo, un sit-in per quanto modesto, uno sciopero della fame anche di pochi minuti, uno sventolare di bandiere arcobaleno. Che fine hanno fatto gli scudi umani pronti ad immolarsi a Gaza? Questi ‘pacifinti’ politicamente schierati hanno cominciato ad agitarsi solo quando Obama ha alzato la voce minacciando l’azione militare.
In secondo luogo anche la credibilità dell’Onu ne esce ulteriormente frantumata. Pur di non ammettere e riconoscere che in Siria vi è stata una macroscopica violazione dei diritti umani, sta usando mille cautele, distinguo, dubbi, su chi abbia usato i gas, su chi ha dato l’ordine di sparo, sulla necessità di accurate analisi chimiche, sulla necessità della raccolta di prove certe e certificate. Questa stessa cautela l’Onu non l’ha mai usata nei confronti di Israele: nella guerra a Gaza contro Hamas, lo Stato ebraico fu posto sulla gogna e indicato al mondo come uno Nazione criminale fuori dalla legalità internazionale. Vedremo se il Palazzo di vetro saprà nominare una commissione di inchiesta sul l’uso dei gas, se produrrà un dossier e se adotterà qualche misura punitiva. Se non lo farà, qualsiasi regime dittatoriale si sentirà impunibile.
Vi è infine un terza considerazione. Il Paese che dovrebbe essere il più preoccupato di tutti dall’allargarsi del conflitto siriano vive le sue giornate nella spensieratezza, nella gioia e nella tranquillità che non è apparenza, ma la sostanza del proprio destino. In Israele e nell’intero popolo ebraico questi sono i giorni delle grandi festività (il Capodanno, il Kippur e la Festa delle Capanne). Anche quaranta anni fa, nel 1973, i nemici di Israele sferrarono nel giorno del digiuno e della preghiera una guerra nel tentativo di buttare a mare gli ebrei. Anche oggi quella minaccia si ripete. Ma Israele – che non può essere sicura dell’aiuto di alleati o amici timorosi – confida solo in se stessa, nella propria democrazia e nella consapevolezza che ogni minaccia è per lei mortale e definitiva. Solo per Israele non c’è il lusso di un tempo che corre sospeso in attesa di decisioni.