Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 15/09/2013, a pag. 48, l'articolo di Susanna Nirenstein dal titolo "Il piccolo ebreo che visse in un bordello".
Aharon Appelfeld, Fiori delle tenebre (ed. Guanda)
Ecco, ancora un prodigio scaturito dalle macchie della memoriae dai sognidell'ottantenne israeliano Aharon Appelfeld, dall'ordito del silenzio ascoltato quand'era un bambino di otto anni, solo, in fuga dal ghetto nei boschi e nelle pieghe della campagna ucraina durante la Shoah, per tre anni. Un miracoloso frutto letterario nato dal disastro, dalla perdita, dallo spaesamento conseguente, da un esilio per sempre: del resto Philip Roth ha definito la materia dei suoi romanzi il disorientamento di un eterno rifugiato in una terra di ebrei rifugiati. E' così: Appelfeld ci riporta nella faglia di quella solitudine sempre esposta ad essere travolta da una nuova frana, da nuove esperienze impensabili, schiavo, come è stato, di briganti, ladri di cavalli, contadini cattivi, prostitute, senza mai rivelare di essere ebreo, un isolamento chiuso a ogni idea di futuro, un nucleo creativo che ci cattura con la sua forza centripeta, dentro la foresta, le derive di Storia di una vita, unico tra i suoi 41 romanzi totalmente autobiografico, dentro la sua incredulità verso gli ebrei che per amore di assimilazione non volevano capire quel che gli stava succedendo (come in Badenheim 1939), nei ricordi familiari affiorati lungo il sonno catalettico de Il ragazzo che voleva dormire, nel suo faticoso approdo all'ebraico una volta arrivato in Israele, primo momento di una nuova identità densa di domani eppure così ardua: e noi ne vogliamo sapere di più, sempre di più, per capire gli abissi dell'umanità e i picchi del coraggio e della resistenza, forse anche perché Appelfeld ha vinto,, e sa narrarcelo senza mai ustionarci col fuoco, a bassa voce. In fondo, dopo aver letto tanti dei suoi libri, credevamo di conoscere tutto di quell'infanzia assurda e tormentosa come un'invenzione di Kafka, (e infatti Appelfeld ha una sorta di identificazione con lo scrittore di Praga), ma—e come poteva essere altrimenti? quanto si può sapere di un'esperienza tanto estrema?—non è così. Qui, nel nuovo Fiori delle tenebre, (accolto con grandi plausi da Ian Bunuma sulla New York Review of Books, piuttosto che da David Leavitt sul NewYork Times), eccoci per la maggior parte del tempo in uno sgabuzzino, al freddo, in silenzio, con Hugo, un ragazzinodi 11 anni, inperenne ascolto di suoni, movimenti, parole che possano rivelare una minaccia. Il tempo presente scandisce ogni piccolo avvenimento. Siamo Il. Aldilà della porta c'è la camera di Mariana, una delle puttane di un bordello ai margini di una città ucraina senza nome durante la seconda guerra mondiale. Tutto potrebbe precipitare da un momento all'altro. E' stata sua madre Giulia a portarlo in quel posto così strano per un bambino. Una mamma affettuosa, colta, una signora ebrea nota, come il suo sposo, per l'idealismo, la grande generosità mostrataversoibisognosieperla laicità assoluta, genitori simili a quelli di Appelfeld che non ha mai smesso di tormentarsi per quegli ebrei figli dell'Haskalà, l'illuminismo ebraico, che ruppero col passato e aspirarono solo a una totale completa integrazione, e, alla faccia della linguae della cultura tedesche conquistate, trovarono la persecuzione. Giulia per salvare Hugo dalla liquidazione progressiva del ghetto (suo manto è giàstato trasportato in un campo di lavoro), l'ha affidato a Mariana, una vecchia amica che le deve molto. Anche se fa la prostituta lo proteggerà. Un periodo di formazione animalesco: una sopravvivenza induemetriquadri, piegata ai ritmi innaturali di Mariana, che lavora di notte, dorme di giorno, si dimentica di portargli qualcosa damangiare, mapoiloriempiedi coccole e lo accoglie tra profumi e cuscini rosa. Senza capire Hugo ascolta nel buio al di là della porta, ansimi, risate, sussurri che scambia quasi per uno spettacolo, maanche grida dei soldati nazisti più violenti. E poi i pianti, la rabbia, i sorrisi di una Mariana che va a braccetto del cognac da quando ha 14 anni. Hugo guarda con meraviglia, e man mano con fiducia e poi con amore a questa figura morbida, affettuosa, svanita che lentamente finisce per sostituire ogni altro punto di riferimento, perfino le immagini e le parole dei genitori che pure lui ricerca ogni notte interrogandosi sulla sua ebraicità. Vaga come un cucciolo, aspetta il cibo e le cure di Mariana che da materne, col tempo, si tingono di erotismo, si fanno innamoramento, l'aspetta, gli si affida in tutto... Sarà stata così anche la vera prostituta da cui il ragazzino Appelfeld si nascose? Non lo crediamo, Aharon ha detto sempre che lui ne diffidava totalmente. I tedeschi arretrano, i sovietici avanzano: anche leputtanevengono considerate collaborazioniste. Le ammazzano come cagne. Libero, Hugo ha perso ogni innocenza, si aggiranellasuacittadina dove nessuno lo vuole. Non resta che muoversi nel punto di raccolta dei profughi ebrei, spettrali, quasi repellenti, ma a tratti solidali. Ora sa che la vita di un tempo è finita per sempre. Saranno loro la sua nuova casa.
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