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La Stampa Rassegna Stampa
13.09.2013 Obama-Putin: l'inadeguatezza del primo e l'astuzia del secondo
Cronaca di Maurizio Molinari, che intervista Ian Bremmer

Testata: La Stampa
Data: 13 settembre 2013
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Putin sale in cattedra ' America, basta bullismo'-Strategia chiara e iniziativa. Così ha riempito lo spazio lasciato vuoto da Obama-»

Obama-Putin, chi perde e chi vince,almeno per ora. Sulla STAMPA di oggi, 13/09/2013, da New York, la cronaca di Maurizio Molinari, che firma anche l'intervista con Ian Bremmer, nella quale appare con grande chiarezza l'inadeguatezza del presidente americano in politica estera.

La Stampa-Maurizio Molinari:"Putin sale in cattedra, America, basta bullismo"


Maurizio Molinari

Vladimir Putin sorprende l’America con un articolo sul «New York Times» in cui demolisce le posizioni di Barack Obama sulla Siria ma la Casa Bianca reagisce con prudenza, perché "«ciò che conta è l’impegno della Russia per il disarmo chimico di Assad» al tavolo dei negoziati in corso a Ginevra fra John Kerry e Sergei Lavrov.

La sorpresa dell’articolo del capo del Cremlino piomba sull’America alla mezzanotte di mercoledì, quando il «New York Times» lo mette online, collocandolo nella sezione degli «Op-Ed», i commenti. È un testo che sfida Obama su più fronti perché va ben oltre la riaffermazione della «responsabilità dei ribelli» nell’uso dei gas a Damasco lo scorso 21 agosto. «Milioni di persone in tutto il mondo vedono sempre più nell’America non un modello di democrazia ma di forza bruta che aggrega coalizioni solo sulla base del principio “con me o contro di me”» scrive il presidente russo, contrapponendo la minaccia dell’intervento americano in Siria alla «legalità internazionale» sostenuta «dalle posizioni di molti leader politici e religiosi incluso il Papa». «Ciò che allarma è l’abitudine americana a intervenire militarmente nei conflitti in nazioni straniere» continua Putin, citando «l’Afghanistan nel caos, la Libia divisa fra tribù e clan, e l’Iraq dove la guerra civile continua», spingendosi fino a evocare il rischio che l’Onu «fallisca come la Società delle Nazioni».

L’accusa a Obama è di voler trasformare la Siria in una altro fallimento sanguinoso, ignorando che «vi è in atto un conflitto armato fra governo e opposizione alimentato dalle forniture di armi straniere aduna delle opposizioni più sanguinose del mondo« che include «Al Qaeda». Putin porta alle estreme conseguenze la condanna delle politiche di Washington esprimendo «disaccordo» su quanto detto da Obama martedì sera nel discorso tv in merito all’«eccezione americana» nella politica internazionale. «È estremamente pericoloso incoraggiare le persone a sentirsi eccezionali - termina il capo del Cremlino - ci sono Stati grandi e piccoli, ricchi e poveri, democratici e che cercano la democrazia, siamo tutti differenti ma non dobbiamo dimenticare che Dio ci ha creato uguali».

La pubblicazione di un simile teso a poche ore dall’inizio dei colloqui a Ginevra fra i ministri degli Esteri di Usa e Russia sul disarmo siriano viene percepito dagli americani alla stregua di un’offesa nazionale. Il presidente della Camera John Boehner lo definisce «un insulto», il senatore democratico Robert Menendez dice che «leggendolo mi è venuto da vomitare», per il senatore repubblicano Jim Inhofe «Ronald Reagan si starà girando nella tomba» e l’ex capo della Cia e del Pentagono Leon Panetta aggiunge: «Putin vuole dividere l’America per indebolire la nostra determinazione a intervenire in Siria e dunque per essere in vantaggio nei negoziati in corso a Ginevra». Network tv e siti Internet dei maggiori quotidiani ricevono migliaia di commenti indignati contro Putin descritto come «leader di una nazione che viola i diritti umani», dove «le elezioni non sono libere» e «i gay vengono arrestati».

Ma la Casa Bianca sceglie di non condividere la reazione polemica. Quando Obama incontra i reporter esprime «forte sostegno» ai colloqui di Ginevra ignorando l’articolo di Putin e il portavoce Jay Carney spiega così la posizione americana: «Ciò che conta oggi è che la credibilità di Putin e della Russia è legata alla scelta della Siria di rinunciare a un arsenale di armi chimiche che fino a due giorni fa non ammetteva neanche di possedere». «La Russia è isolata nel mondo nel sostenere che sono stati i ribelli a usare i gas aggiunge Carney - e ora è garante del disarmo del regime». Come dire, Putin sfida l’America per nascondere di aver fatto per la prima volta da due anni un significativo passo indietro sulla Siria obbligando Assad a cedere i gas. Quando a Ginevra Kerry partecipa con Lavrov all’apertura dei colloqui per concordare il piano del disarmo di Assad, conferma l’approccio di Washington: «Siria e Russia devono mantenere le promesse, le parole non bastano, serve un programma credibile, puntuale e verificabile, se l’accordo fallisce il ricorso alla forza sarà necessaria». Ovvero, ciò che conta è il disarmo. Lavrov reagisce sfoderando l’humor anglosassone appreso negli anni passati a New York: «Siamo qui per trovare un piano comune, sui temi politici è già intervenuto il presidente Putin sul “New York Times”».

La Stampa-Maurizio Molinari: "Strategia chiara e iniziativa. Così ha riempito lo spazio lasciato vuoto da Obama"

Ian Bremmer

DAL CORRISPONDENTE DA NEW YORK «Vladimir Putin sta vincendo la partita siriana perché ha tutto ciò che manca a Barack Obama»: parola di Ian Bremmer, presidente dell’«Eurasia Group», uno dei centri studi più apprezzati a Washington per le analisi sulla Russia che un’apposita newsletter recapita a membri del Congresso e dell’amministrazione.

Quali sono le carte vincenti del capo del Cremlino?

«Putin ha anzitutto una strategia chiara che sta funzionando perché vuole mantenere Bashar al Assad al potere a Damasco e gli sta riuscendo assai bene, dopo oltre due anni di guerra civile. È verosimile che Assad resti ancora in sella e questo evidenzia il successo di Putin. In secondo luogo Putin è l’unico leader a poter condizionare le mosse di Assad, che resta l’attore-chiave della crisi, come l’attuale partita sul disarmo chimico sta dimostrando. Infine, ma non per importanza, Putin ha il migliore ministro degli Esteri del G20: Sergei Lavrov è un formidabile conoscitore dei meccanismi delle Nazioni Unite, sa giocare molto duro ma è anche un diplomatico molto raffinato».

Sul fronte opposto quali invece sono le maggiori debolezze di Barack Obama?

«La più decisiva è l’assenza di una vera strategia siriana. Obama ha voluto soprattutto evitare gli sviluppi indesiderati: dall’intervento militare al voto del Congresso. Anziché costruire un percorso in positivo ha avuto come priorità evitare degli ostacoli. Il risultato è stato di apparire in continua contraddizione, ambiguo, incerto. E poi non ha vicino nessun consigliere paragonabile a Lavrov».

Perché Putin ha scritto l’articolo sul «New York Times»?

«Per sottolineare che sta vincendo la partita siriana. È stato come fare il giro della vittoria attorno al campo da gioco dopo aver sconfitto il rivale più importante. Incassando il sì siriano al piano russo sul disarmo Putin ha colto il suo maggiore successo internazionale da presidente e ha pensato di coronare la sconfitta politica inflitta agli Stati Uniti con un’incursione nel territorio di Obama: rivolgendosi direttamente agli americani. È stata una maniera per sottolineare il successo avuto. Uno show di forza».

Quale è il passaggio dell’articolo più rivelatore delle intenzioni di Putin?

«Quello in cui delegittima l’eccezione americana. Putin sa bene che l’Unione Sovietica nel Novecento è stata la vittima più illustre dell’eccezione americana nella politica internazionale. In ultima istanza è l’indispensabilità degli Stati Uniti nel mondo ad aver causato la sconfitta di Mosca nella Guerra Fredda e segnato poi gli anni seguenti, costringendo la Russia ad un ruolo secondario. Dunque il suo intento è cancellare tale eccezione, azzerarla. Giocando, in maniera spregiudicata, la carta del “siamo tutti uguali davanti a Dio”».

Putin è in grado di trasformare il successo politico sulla Siria in una vittoria geopolitica di più ampia portata?

«Non credo, perché guida una nazione debole. L’abilità di un leader conta ma poi a fare la differenza è la forza del proprio Paese. La partita sulla quale si giocano gli equilibri globali in questa fase del XXI secolo è l’energia e la Russia rappresenta il vecchio modello mentre sono gli Stati Uniti, grazie a nuove tecniche di estrazione e nuovi giacimenti trovati in Nordamerica, ad avere il vento a favore».

Eppure al G20 Putin ha fatto quadrato sulla Siria con le economie emergenti contro gli Stati Uniti: può essere la genesi di una nuova alleanza post-sovietica?

«Putin sta tentando di seguire questa strada ma non funzionerà perché i “Brics” sono troppo diversi fra loro: la Cina è autoritaria mentre l’India e il Brasile sono grandi democrazie. Ci possono essere situazioni di convergenza di interessi ma non al punto da diventare un’alleanza stabile a favore della Russia».

Con l’America di Obama è sulla difensiva, quale è la maggiore preoccupazione per il capo del Cremlino?

«La Cina di Xi Jinping. In Kazakhstan sta rubando sempre più terreno alla Russia, negli investimenti come nell’influenza politica. Si affaccia perfino in Ucraina. La Cina è il rivale più aggressivo della Russia sull’intero scacchiere euroasiatico ed è per questo che Putin tenta di rafforzare ogni tipo di legame con Pechino, a cominciare da quelli militare. Vuole neutralizzare una minaccia cinese che non riesce a contrastare».

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