12 anni dopo
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Twin Towers Memorial
Cari amici,
ricorre oggi il dodicesimo anniversario della strage terroristica delle Torri Gemelle di New York. Abbiamo tutti presente le immagini degli aerei che si schiantavano contro i grattacieli, dell'incendio, del collasso delle costruzioni, di quella giornata tremenda in cui le televisioni trasmettevano notizie sotto il titolo “Attacco all'America”, riecheggiando il ricordo di Pearl Harbour.
Solo alcuni sciocchi che si sentono furbi inventandosi improbabili complotti - simili in questo e non solo in questo ai negazionisti della Shoà - rifiutano il dato storico di un atto di guerra islamista contro il centro della civiltà occidentale. C'erano stati altri attacchi analoghi contro l'America negli anni precedenti, a partire forse dall'attentato che uccise centinaia di marines a Beirut, con la firma di Hezbollah, o forse dall'occupazione dell'ambasciata americana in Iran; ma a me sembra probabile che gli storici del futuro dateranno dall'attentato delle Twin Towers l'inizio della Terza Guerra Mondiale, in cui siamo profondamente immersi senza volercene rendere conto.
Dopo un grande secolo americano, il Novecento, e dopo la grande vittoria della caduta del Muro di Berlino e della fine del socialismo reale, almeno di quello europeo, subito si è affermata l'evidenza di una spinta mondiale islamista per il predominio.
Prima ci sono state guerre regionali, in Cecenia, nella ex Jugoslavia, in Kashmir, guerre interne al mondo islamico per il predominio; poi gradualmente è emerso l'attacco alla metropoli occidentale, con gli attentati antiamericani, con quelli di Londra e di Madrid. Negli ultimi anni la guerra si è combattuta di nuovo soprattutto all'interno del mondo musulmano; una guerra intricata, che ha visto contrapposte fazioni sciite e sunnite, militari e islamisti, modernizzanti e medievaleggianti - tutte però accomunate dall'odio per l'America, l'Europa, l'ebraismo innanzitutto ma anche il cristianesimo, e in generale i valori di democrazia e di libertà che sono il nostro patrimonio comune.
Russia e Cina non hanno esitato a soffiare su questo fuoco nel tentativo di trovare vantaggi nella lotta per il predominio mondiale che li oppone agli Stati Uniti; tutte le dittature di “sinistra” (dalla Corea del Nord a Cuba, dal Venezuela alla Bolivia) non hanno esitato un attimo ad allearsi con i regimi islamisti più reazionari e clericali, in odio alla libertà, alla democrazia, all'Occidente.
Il risultato è che non siamo coinvolti solo in uno “scontro di civiltà”, come giustamente aveva previsto Huntington, ma presi in un accerchiamento, in un assedio che coinvolge mezzo mondo.
Nei dodici anni che sono passati dagli attentati, l'assedio si è fatto sentire. All'inizio c'è stata una reazione americana certamente giustificata e opportuna, ma non lucida. La guerra all'Iraq con l'occupazione del suo territorio non è stata risolutiva e ha inghiottito immense risorse ed energie, mentre forse Saddam poteva essere bloccato in maniera più facile e meno impegnativa; il tentativo di distruggere il rifugio afgano di Al Queida è certamente riuscito, ma al prezzo di un'altra guerra estremamente difficile, che si sta concludendo con una ritirata. Se l'obiettivo non era solo quello di scardinare alcuni santuari e centri di coordinamento della guerra contro l'America, ma di stabilire in quei paesi un minimo di democrazia e un buon rapporto con l'Occidente, bisogna ammettere che entrambe le guerre sono state perdute.
Finché il presidente americano è stato Bush, comunque, il tentativo di reagire c'è stato. La politica di Obama, dall'inizio, dal suo famoso discorso del Cairo, è stata la resa o se si vuole l'isolazionismo della Fortezza America e l'alleanza con l'ala dei propri nemici cui si intendeva dare una patente di moderazione. Per questo isolazionismo e per questa alleanza Obama si è visto assegnare il Premio Nobel per la pace, segno dell'adorazione iniziale della sinistra europea, perché realizzava i propri sogni disfattisti, apriva la strada al predominio russo sul nostro continente, antico sogno sovietico che si sta pian piano realizzando senza che noi ne vediamo i sintomi, segnava la vittoria “anticolonialista” del “Terzo Mondo” - e non importa che questo “Terzo Mondo” sia praticamente dappertutto costituito da dittature corrotte e razziste, nemiche di ogni libertà e in particolare delle donne e dei gay - quel che importava era prendersi la rivincita sulla vittoria americana nella Guerra Fredda, cioè sulla liberazione dei popoli dell'Europa orientale.
Quel che significa questa politica di resa, di isolazionismo, di alleanza con i nemici lo abbiamo visto bene negli ultimi anni: l'abbandono del Medio Oriente agli islamisti ha significato stragi immense e sofferenze senza fine delle popolazioni, la “cessione” dell'Egitto agli islamisti è fallita per la resistenza della popolazione e dell'esercito, l'Iraq per cui l'America aveva versato sangue e risorse è ora un satellite dell'Iran, che procede indisturbato verso la bomba atomica; in Turchia Erdogan sta continuando l'islamizzazione e una repressione durissima, nonostante le sconfitte a ripetizione in politica estera. Contro Israele l'amministrazione Obama ha continuato una politica di punture di spillo, diffusione di informazioni riservate, appoggi alle pretese dell'Anp, anche perché la determinazione di Israele a difendersi e non arrendersi deve sembrare offensiva a un governo americano che ha fatto del suicidio la propria politica estera.
Il risultato è che oggi l'America è immensamente più debole di tredici anni fa, nonostante l'immenso successo della sua industria nei settori di punta del nostro tempo: pensate a Google e Amazon e Apple e Facebook e Twitter e Intel e Microsoft, vedrete che l'innovazione americana, spesso costruita sulla base della tecnologia israeliana domina il mondo, per non parlare dei film di Hollywood, dei format televisivi, del cibo e dell'abbigliamento; ma tutto questo è soft power, non ha la massa d'urto per contare se non è sostenuto da una politica lucida e decisa. Il declino dell'America non riguarda solo lei, ma anche noi. Viviamo in un mondo più pericoloso, più insicuro, più instabile.
Ed essendo a contatto geografico e politico stretto con la Russia e il mondo islamico rischiamo di subirne per primi le conseguenze. Soprattutto se rifiutiamo di vedere la guerra, come fa la politica e l'intellighenzia europea, se quindi non sappiamo identificare nemici e alleati, se continuiamo nel vizio obamiano e dell'Europa di cercare di allearci coi nemici e di farci nemici gli amici. In questo il caso di Israele è esemplare. Brutti sono i tempi in cui la confusione non regna solo alle porte ma anche nella testa dei governanti.
A noi purtroppo accade di vivere in tempi del genere.
Ugo Volli