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Antropologia italica
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Cari amici,
ne converrete, viviamo in uno strano paese. Non sto parlando di quello strano miscuglio di opera buffa e di "Cavalleria Rusticana" che è la nostra politica, né di quella parafrasi del "Processo" di Kafka che è impersonata dalla nostra burocrazia, in particolare giudiziaria, né di una rappresentanza parlamentare di comici, impresari, magistrati a mezzo servizio, velisti fuori crociera, nipoti, arrampicatori di tetti e di carriere. Ci vorrebbe la penna di Balzac o Gogol, o forse quella di Karl Valentin per darne un ritratto adeguato. Io manco di queste doti, e comunque non lo farei qui.
No, intendo continuare a parlarvi di politica estera, o di quella strana cosa che l'Italia produce al posto di essa. Di nuovo, non voglio parlarvi di quell'oggetto misterioso e ammiccante che è la politica estera ufficiale italiana, un colpo al cerchio e uno alla botte, un po' di demagogia della Bonino (la più grande delusione di chi ha avuto qualche illusione radicale), un po' di diplomazia di Letta. Definirla inesistente è il massimo complimento che le si può fare, se no vengono in mente certe somiglianze con Andreotti e con d'Alema che fanno pensare a un'antica antropologia levantina...
No, quel che parla sono altri piccoli fatti, non necessariamente ufficiali.
Renzo Piano
Pensate per esempio a Renzo Piano, un architetto che fino all'altro ieri sembrava soprattutto interessato a tirar su grattacieli (e conti in banca, mi permetto di immaginare), pur mantenendo la necessaria affiliazione di sinistra che è una patente necessaria per chiunque in Italia voglia fare l'intellettuale. Nominato senatore a vita da Napolitano, ha subito annunciato di aderire al “digiuno per la pace” indetto dal papa, perché "Da laico seguo il gesto del Papa: la pace è come una città" . La pace è come una città? In che senso, scusi? Che ha le strade? le case? Un sindaco? La speculazione edilizia? Mi sembra una sciocchezza “piramidale”, ma certo che è una furbata pazzesca. Nessuna meraviglia che accanto a lui, a digiunare dopo essere stati zitti per due anni di guerra e centodiecimila morti, c'erano l'eterno Celentano, questa volta per fortuna silenzioso, Vendola, e una paccata di ministri del governo italiano, naturalmente Bonino e Kyenge, il presidente del consiglio Letta, ma anche il ministro della difesa Mauro (http://www.huffingtonpost.it/2013/09/07/digiuno-papa-francesco-renzo-piano-morandi_n_3884970.html?utm_hp_ref=italy ). Anche lui, non ha dichiarato che la pace è come un reggimento o un carrarmato, ma certamente un ministro della Difesa che annuncia di digiunare per la pace è un ossimoro vivente straordinario, del tutto degno del “partito di lotta e di governo” di berlingueriana memoria. Notevole l'assenza di intellettuali qualificati, forse per l'invidia dei nuovi senatori a vita, ma naturalmente non mancavano Laura Boldrini, De Magistris e Marino, una delegazione della Repubblica Centraficana e Carlin Petrini, il fondatore di “slow food”, che a furia di mangiar piano è rimasto evidentemente senza appetito. (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/07/siria-con-lappello-del-papa-musulmani-e-cristiani-uniti-in-preghiera-in-piazza-san/704266/ ). Naturalmente anche in questo caso di “politica estera” personale o di immagine, vale il detto “passata la festa, gabbato lo santo”, per cui oggi Piano continua a costruire grattacieli e Petrini a deglutire con calma. Ma sulla Siria qualcosa l'hanno detta, qualcosa di nuovo anzi e di antico come “Yankee go home”. Anche in questo caso, consentitemi di pensare che tutte queste manifestazioni di compunta buona volontà esprimano soprattutto un'antropologia, un modo di fare “relazioni in pubblico” per dirla con Goffmann, o se volete una “morale dei principi” proclamata senza conseguenza e tenuta accuratamente distinta da quella della responsabilità di weberiana memoria: io dico quel che è buono, o quel che mi dicono essere buono, senza occuparmi di ciò che potrebbe venirne fuori. Pereat mundus, se non ha di meglio da fare. Intanto io continuo a occuparmi dei fatti miei. C'è un'altra bizzarria che vorrei raccontarvi. L'Italia, che a dire di alcuni ospita il 60% dei berni storici artistici del mondo, ama farsi rappresentare in giro da qualche opera d'arte. Una di questa è un'”Annunciazione” di Botticelli, un affresco staccato, quindi molto più fragile di un quadro normale su tela. Di recente gli è stata fatta fare un'escursione in Giappone, ed era stata promessa anche per una mostra molto propagandata al Museo di Israele a Gerusalemme. C'è una qualche stranezza, per chi crede che l'arte sia anche comunicazione, nell'offrire a Israele proprio un'annunciazione, cioè un'opera religiosa molto densa di echi evangelici. Si poteva fare di peggio, naturalmente, mandare per esempio un quadro piuttosto antisemita come “Il miracolo dell'ostia” di Piero... ma lasciamo andare. Il punto è che alla vigilia dell'inaugurazione si è deciso di annullare il prestito (http://www.agenziaimpress.it/news/cultura/lannunciazione-di-botticelli-resta-a-firenze-sospeso-il-viaggio-in-israele_13043.html ) perché, ha dichiarato il ministero della cultura «alcune riflessioni consigliano in questo momento di non spostare l'opera l'Annunciazione di San Martino alla Scala di Sandro Botticelli al Museo di Israele di Gerusalemme». Alcune riflessioni, non è una motivazioni fantastica? Bisogna dire che queste “riflessioni” certamente non riguardano la fragilità dell'opera, come auspicano due storici dell'arte in una lettera al “Corriere” (http://80.241.231.25/ucei/PDF/2013/2013-09-08/2013090825497534.pdf ): sarebbe stato facile rendersene conto prima. Invece, come titola “La Nazione” (http://www.lanazione.it/firenze/cultura/2013/09/05/945621-notticelli-annunciazione-uffizi-gerusalemme-israele.shtml ) “la guerra blocca” il viaggio del quadro. Sarà anche prudente, non discuto. Un ministero della cultura deve tutelare le opere d'arte affidate alla sua sorveglianza. Ma scusate, ditemi una cosa, voi e il ministero e magari anche “La nazione”: Israele che voi sappiate ha dichiarato guerra a qualcuno? Intende intervenire in Siria? Certo che no. E allora, perché la guerra riguarda il museo di Gerusalemme? Forse perché si prevedono rappresaglie siriane e iraniane sulla città - dove oltre a molte opere d'arte vive anche un milioncino di persone? Temo proprio anch'io che sia possibile. Ma se è questo che si prevede, l'aggressione a un paese terzo, non varrebbe la pena di dirlo anche in maniera politica e non solo museale? Non avrebbero dovuto il papa e tutta la compagnia cantante che ho citato prima denunciare questo, invece di parlare genericamente di pace? E non dovrebbero intervenire i nostri militari italiani in Libano, membri di un contingente dell'Onu che avrebbe dovuto curare la smilitarizzazione del Sud del Libano, da dove probabilmente potrebbero partire gli attacchi - perché Hezbollah che vi regna è oggi la principale forza armata del regime siriano? Massimo D'Alema Emma Bonino Ma già, dimenticavo. L'Italia è amica di Hezbollah, d'Alema ci ha fatto pubbliche passeggiate a braccetto coi leader e Bonino ha cercato in tutti i modi di impedire la loro iscrizione nella lista europea dei terroristi, anche se hanno fatto saltare degli autobus di turisti dentro il territorio dell'Unione. Quando c'è una guerra noi digiuniamo perché “la pace è come una città” e ritiriamo i quadri. Per il resto che si arrangino, i morti gasati, i bombardamenti delle città e tutto il resto. “Italiani brava gente”, come ci piace dire. Che schifo.
Ugo Volli
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