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Ugo Volli
Cartoline
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Per chi si farà (o non si farà) l'intervento americano in Siria 10/09/2013
Per chi si farà (o non si farà) l'intervento americano in Siria
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici, 

mi ha scritto una lettrice che ha digiunato per la pace, in altri termini contraria alla punizione che Obama vuole infliggere alla Siria per contrastare l'uso dei gas velenosi e delle altre armi di distruzioni di massa, chiedendomi che cos'altro si sarebbe potuto fare per non lasciare solo Israele.. A parte la discussione nel merito che ho condotto direttamente con lei, senza riuscire a convincerla, temo, c'è un punto essenziale che questa lettera solleva e che emerge anche da resoconti di stampa e interventi su internet, che è importante chiarire.

Se fra qualche giorno Obama darà l'ordine di un “intervento limitato in Siria” (e come Mina 'sottolineo se'), se lo farà, non sarà né per richiesta né per interesse di Israele. Si può essere favorevoli o contrari a questa scelta (IC è favorevole, io personalmente sono perplesso perché mi sembra che non sia chiaro il suo obiettivo strategico), ma una cosa dev'essere chiara: questa, se ci sarà, sarà una guerra americana (o franco americana, come quel famoso paté di allodola e cavallo), ma non israeliana. Israelele non l'ha sollecitata, non l'ha promossa, eviterà di parteciparvi se non sarà tirato per i capelli (cioè con i missili).
Da tre anni, quando ancora i Candide d'Europa e d'America si esaltavano sui destini magnifici e progressivi del mondo arabo colto da improvvisa primavera, Israele ha assistito in prima fila allo spettacolo assai inquietanti della guerra di tutto contro tutti nelle rivolte arabe, all'emarginazione immediata dei pochi liberali che si erano illusi di condurre la rivoluzione, alle stragi, all'affermazione contemporanea della Fratellanza Musulmana, di Al Queida e del tribalismo e nei limiti del possibile se n'è tenuta fuori.

Magari sperava in cuor suo che le cose non finissero come ingenuamente voleva Obama, con governi islamisti in tutta l'area, che si presentavano all'inizio come “moderati” ma appena al potere incominciavano a cercare di islamizzare la società, a cacciare tutti gli altri, a reprimere ogni altra posizione, a scoprire legami vecchi e nuovi col terrorismo. Ma anche nel caso più chiaro, quello dell'Egitto, Israele non ha fatto nulla per deporre Morsi e vede il potere di al Sissi come probabilmente più ragionevole, ma non certo davvero amico. Soprattutto perché un amico vero dovrebbe dire al suo popolo che il nemico non è Israele, ma la miseria e ciò che la provoca: burocrazia, costumi antiquati, parassitismo, educazione medievale... e verrebbe subito eliminato dai suoi.

In particolare in Siria, Israele si è limitato a rispondere al fuoco dei governativi e dei ribelli sul Golan quando “sbagliavano mira” e facevano cadere i loro colpi di artiglieria oltre frontiera e ha impedito o limitato con quattro raid aerei mirati i trasferimenti di armi russe con tecnologia avanzata e gas velenosi ai terroristi di Hezbollah, che ormai sono la principale massa d'urto militare di Assad.
Senza gridarlo ai quattro venti, senza neppure riconoscerlo dopo averlo fatto, senza farsi coinvolgere nel conflitto, Israele si è difesa e ha stabilito anche la sua capacità di deterrenza. Il risultato è che da quella parte non vi è stato finora alcun assalto, nonostante le minacce sia di Assad che dei ribelli. Mentre proprio ieri l'aviazione siriana ha inscenato una provocazione vicino alla base inglese di Cipro (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/171700 ), con Israele non ci hanno proprio provato.

Dunque Israele può benissimo difendersi da sé dai siriani, e anche da Hezbollah, nonostante il lavoro assolutamente nullo del contingente dell'Onu (a guida italiana, purtroppo), che dovrebbe sorvegliare la demilitarizzazione del Libano meridionale e invece non ha affatto impedito che Hezbollah se ne facesse il suo stato privato, con depositi d'armi nelle case e lanciarazzi nelle scuole.
Grazie alla sua capacità di risposta militare e deterrenza continua ad essere un'isola di tranquillità in un contesto di stragi, colpi di stato, crudeltà, repressione delle società civili. Non è per difendere Israele che l'America deve intervenire. Come non è stato per Israele che l'America ha combattuto in Iraq (due volte) e in Afagnistan. E' stato nell'interesse suo e dell'Europa, così come lo percepiva a torto o a ragione la presidenza di allora. Israele non era minacciato, anche perché aveva prevenuto la minaccia atomica bombardando il reattore nucleare di Saddam (e anche quello di Assad, più di recente).
Non l'avesse fatto e magari avesse ceduto il Golan al regime siriano come voleva la Turchia e i pacifisti nel paese e all'estero, oggi i guai sarebbero molto, ma molto più grossi.

Il problema è un'altro. L'amministrazione Obama ha fatto una politica piena di giravolte e ambiguità, ha tradito i suoi amici a favore dei suoi nemici (il massimo della stupidità, se non proprio dell'abiezione), non è stata in grado di difendere i propri rappresentanti, si è inchinata fisicamente (il famoso saluto a schiena piegata di Obama al re dell'Arabia Saudita) sia simbolicamente a quelli che nell'ordine geopolitico dovrebbero essere i suoi “satelliti”, è stato bonariamente impotente rispetto ai capricci di moscerini come i vari movimenti palestinesi, ha lanciato allarmi e minacce non seguite da azioni corrispondenti, si è ritirato dall'Iraq e lo sta facendo dall'Afganistan senza aver ottenuto un controllo chiaro di quei paesi, anzi lasciando campo libero ai propri nemici. Tutto questo potrà essere motivato dalle più nobili ragioni, ma in un ambiente difficile come il Medio Oriente significa una sola cosa: decadenza, impotenza, mancanza di credibilità. 

Ora la Siria, probabilmente su istigazione della Russia, ha messo di fronte l'America alla violazione palese dell'ultimo paletto che Obama aveva stabilito, l'uso delle armi di distruzioni di massa. Se non fasrà rispettare questo paletto, l'irrilevanza americana in Medio Oriente sarà conclamata e difficilmente reversibile.
Bisogna considerare che abbiamo davanti nei prossimi mesi una crisi ben più decisiva della Siria, dov'è probabile che in ogni caso la guerra civile continuerà ancora a lungo, intervento o non intervento, con le spaventose conseguenze umanitarie che possiamo immaginare. Del resto, con minore intensità ma con vittime numerose e strazio della vita civile, la guerra prosegue in Iraq e in Libia, ben più che in Egitto dove si è appuntata l'attenzione masochista dei progressisti nostrani. 

La crisi si chiama “atomica iraniana”. Fra qualche mese è possibile si sappia che gli ayatollah hanno abbastanza combustibile per costruirne alcune (più che sufficienti a distruggere qualche città negli emirati, in Arabia Saudita, ancor prima che in Israele e dunque a mettere in mano degli ayatollah il Golfo Persico, prima sorgente energetica del mondo.
Obama dovrà allora minacciare di intervenire, evitare che i suoi alleati siano terrorizzati e si allineino al vincitore. Ma chi gli crederà dopo che avrà gridato “al lupo” dieci volte senza esito?
E in Europa, quando la pressione russa si farà sentire di nuovo, magari non con l'Armata Rossa, ma col gas, chi crederà più al soccorso di un'America che non difende i suoi stessi solenni ultimatum?
Non avremo solo un Medio Oriente iranizzato, ma un'Europa se non proprio riassorbita dal vecchio “patto di Varsavia”, finlandizzata, tendenzialmente neutralista, quella che hanno sempre sognato i capi dell'Urss.
E un'America sempre più irrilevante. Questo è il frutto del modo in cui Obama si è messo in trappola da solo con la politica suicida di appoggiare i suoi nemici. Io non sono un complottista e non mi faccio influernzare dalle dicerie messe in giro sul presidente americano. Ma certo se come in  un film di fantascienza il KGB avesse potuto infiltrare la presidenza degli Stati Uniti, non avrebbe potuto ottenere di meglio.

Tutti questi sono problemi degli Stati Uniti e dunque del mondo, di chi nel mondo spera ancora nella libertà e nella democrazia.
Non sono problemi speciali di Israele, che è l'unico Stato da parecchi anni a denunciare costantemente il pericolo iraniano e a prepararsi ad affrontarlo. Speriamo che non ce ne sia bisogno.
Ma quando vedo un papa che fa un digiuno per la pace seguito da architetti, atleti, cantanti rock e politici di sinistra, a me vengono in mente le manifestazioni dei “partigiani della pace” comunisti, che ho visto da bambino a Trieste. Da Giuseppe Stalin avevano imparato lo slogan “za mir”, per la pace - e volevano dire per l'estensione all'Italia della cortina di ferro. 
 

Ugo Volli 

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