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La Stampa Rassegna Stampa
10.09.2013 Aramaico: breve storia di una lingua
di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 10 settembre 2013
Pagina: 7
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Aramaico, la lingua di Gesù»

Nelle pagine sulla liberazione di Domenico Quirico, LA  STAMPA di oggi, 10/09/2013, a pag.7, pubblica una breve ma opportuna storia della lingua aramaica di Elena Loewenthal, con il titolo "Aramaico, la lingua di Gesù", titolo che sarebbe stato più corretto se accanto alla parola Gesù fosse stata premessa la parola "ebreo".

Elena Loewenthal           Gesù ebreo, di Riccardo Calimani

Poche lingue vantano una continuità come l’aramaico. Tremila anni – secolo più secolo meno – di storia: accidentata e in balìa dei rivolgimenti di cui il Medio Oriente è sempre stato generoso, ma pur sempre tale. Prende il nome dagli Aramei, quella etnìa che la Bibbia colloca nella remota regione posta fra i due fiumi, la Mesopotamia nordoccidentale, e che descrive con tratti più mitici che reali. Da quella lontananza il patriarca Abramo giungerà in terra di Canaan.

Al di là di tale vaghezza, nell’antichità l’aramaico divenne una sorta di lingua franca diffusa in tutta quella vasta regione, oltre che la lingua ufficiale dei documenti assiri. Con la caduta dell’antico impero persiano l’aramaico perse la dignità di lingua imperiale e si affratellò con l’ebraico: l’alfabeto con cui ancora oggi si scrive nella lingua di Israele è stato infatti mutuato dall’aramaico. Millenni di convivenza stretta hanno reso molto simili, quasi sovrapponibili, le due lingue, per lo meno nel dialetto «palestinese». Quello siriaco, ancora oggi parlato dalle antichissime comunità cristiane del paese teatro di guerra, è leggermente diverso. Ma per certo era l’aramaico la lingua parlata dai primi seguaci di Gesù, così come da tutti coloro che in quell’epoca abitavano in terra d’Israele. All’epoca della predicazione cristiana l’aramaico era una sorta di «volgare» (non in senso spregiativo, beninteso) contrapposto alla lingua scritta, l’ebraico dei testi sacri e non solo di essi.

E quando Gesù in croce prorompe in quel grido tanto umano, tanto straziante: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato?», lo fa in aramaico e così, intatto, lo tramandano i Vangeli.

Anche l’Antico Testamento, cioè la Bibbia ebraica scritta in ebraico, contiene alcuni – a dire il vero pochi – brani in aramaico, soprattutto nel visionario libro di Daniele; mentre il Talmud, cioè l’immenso corpus di commenti e riflessioni rabbiniche intorno al testo sacro di cui si completò la redazione fra il V e il VI secolo d.C. , è scritto più in aramaico che in ebraico. Ma chi non conosce queste lingue, scorrendo il testo non noterà alcuna differenza: l’alfabeto è lo stesso, la struttura della frase anche. L’aramaico ha una cadenza diversa, meno gutturale e più melodica, con la sua abbondanza di alef in fine parola. È una lingua dal sapore atavico, sopravvissuta a soprusi e traversie, abbandonata sul ciglio della Storia insieme alle sue voci.

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