Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/09/2013,a pag.4, con il titolo "L'intelligence Usa senza la prova che inchioda Assad", la cronaca di Francesco Semprini sul fatto che sembra mancare la firma di Assad sull'ordine di usare il gas contro i ribelli.
Non si può rimanere altro che allibiti riflettendo sulla quasi inesistente cultura storica dell'intelligence americana.
E' mai possibile che a nessuno sia venuto in mente quanto hanno sempre sostenuto i filo-nazisti-negazionisti della Shoah ? "Manca la firma di Adolf Hitler", dicevano, dopo la decisione presa a Wannsee sulla 'soluzione finale' dello sterminio degli ebrei. Nessun documento reca la firma di Hitler, che era a Wannsee soltanto per godersi la vista del lago. Ridicolo, ma in tanti hanno preso per buono l'argomento.
La stessa storia si è ripetuta con Saddam Hussein, non avendo trovato gli alleati in qualche armadio bene in vista le armi chimiche usate dal dittatore per sterminare i curdi, hanno detto che non erano esistite e tutto il mondo si è bevuta la sonora bufala.
Adesso il caso si ripete con Assad, e nessun giornale a ricordare quanto è avvenuto di uguale nel passato.
Ecco l'articolo:
Adolf Hitler, Saddam Hussein, Bashar Assad, tutti attenti a non firmare
Si profila più duro del previsto il ritorno di Barack Obama negli Stati Uniti. Dopo aver incassato al summit del G20 solo un mezzo sostegno all’intervento militare in Siria, il presidente è alla ricerca del consenso interno. E deve vedersela con gli stretti margini numerici che oppongono interventisti e neutralisti a Capitol Hill, oltre a un’imponente mobilitazione di piazza dei «no-war», e ai limitati progressi da parte dell’intelligence nella ricerca della «smoking gun» che inchiodi Assad.
Gli 007 Usa, sebbene abbiano nuovi filmati che documenterebbero il ricorso alle micidiali armi, non sarebbero ancora in possesso della prova che confermi il «legame diretto» tra il raiss e l’impiego di testate chimiche nell’area di Ghouta, avvenuto il 21 agosto. In sostanza, non c’è certezza sul fatto che Assad fosse stato avvisato prima del presunto ricorso ai gas da parte dei governativi.
Sebbene l’amministrazione ritenga responsabile il presidente siriano pur non avendo ordinato in prima persona l’uso dei gas, di fatto non si riesce a individuare quella «catena di comando» che ne proverebbe anche un suo più vago coinvolgimento. Ciò rischia di minare il via libera del Congresso timoroso di ritrovarsi nella stessa situazione di dieci anni fa con le armi di distruzione di massa nell’Iraq di Saddam.
E proprio su questo aspetto è intervenuto ieri Obama nel consueto discorso radiofonico del sabato. «Non sarà un altro Iraq o un altro Afghanistan», ha sottolineato il presidente spiegando che «qualsiasi azione sarà limitata, in termini di portata e di tempo» e che l’America «non può chiudere gli occhi». «Come leader della più antica democrazia costituzionale so che il nostro Paese è più forte e le nostreazioni più efficaci se agiamo insieme».
Il pressing su
Capitol Hill era iniziato dall’Air Force One dove il presidente di ritorno da San Pietroburgo ha chiamato alcuni deputati e senatori indecisi. Obama deve però fare i conti con numeri assai più ristretti rispetto alla maggioranza su cui poté contare George W. Bush per l’Iraq. Dei 216 repubblicani alla Camera che diedero il proprio sostegno nel 2002 ne sono rimasti appena 55, mentre gli interventisti democratici sono scesi a 20 da 55. A questo si deve aggiungere un netto calo dei conservatori democratici e un forte aumento dei repubblicani libertari, isolazionisti.
Il presidente parlerà martedì alla Camera, dove nonostante l’appoggio dello speaker, John Boehner, del leader della maggioranza, Eric Cantor, e di quello dell’opposizione Nancy Pelosi, si trova dinanzi a una spaccatura del suo stesso partito. Oltre a una mobilitazione delle piazze in costante crescita, animata da organizzazioni vicine alla base di sinistra come quelle che ieri hanno manifestato in decine di città americane. Secondo John Kerry, a Parigi per un incontro con l’omologo francese Laurent Fabius, Obama non avrebbe ancora deciso se attendere o meno il rapporto degli ispettori Onu, visto che per lui, a questo punto, conta di più il voto del Congresso previsto la prossima settimana. Voto, peraltro, che non è ancora chiaro se sarà vincolante.
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